Il rapporto di lavoro a tempo determinato negli enti locali e il d.lgs. n. 368/2001

27.03.2003

Introduzione
La normativa recente sulle assunzioni a tempo determinato negli enti locali è stata dettata da tre successivi interventi della contrattazione nazionale di comparto.
Alla regolamentazione dell?art.16 del CCNL comparto Regioni ? Autonomie Locali del 6.7.1995, così come modificata ed integrata dall?art.4 del CCNL del 13.5.1996, si è recentemente sostituita la disciplina prevista dall?art.7 del CCNL del 14.9.2000.
Su questa disciplina verterà l?analisi del presente lavoro, la quale non mancherà di integrare le previsioni contrattuali con alcune considerazioni generali sui contratti di lavoro a termine e con le modifiche apportate alla materia a seguito dell?entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2001 n.368.

1. Il problema dell?apposizione del termine dopo il d.lgs. n. 368/2001

Nell?ordinamento giuslavoristico italiano del secondo dopoguerra, l?apposizione del termine al rapporto di lavoro è stata vista con decisa avversione dal legislatore, nella considerazione che la temporaneità del rapporto finisse per ledere la posizione del lavoratore.
La legislazione, conseguentemente, considerava come ?regola? il rapporto a tempo indeterminato, mentre l?apposizione del termine era ammessa solo in via eccezionale e nelle ipotesi tassativamente previste dall?ordinamento (picchi stagionali, sostituzione di personale, ecc.).
La illegittima apposizione del termine da parte del datore di lavoro veniva sanzionata pesantemente proprio in virtù della richiamata impostazione.
Successivamente, ed in considerazione del mutamento delle condizioni produttive e del mercato del lavoro, il legislatore ha concesso un?apertura ad ulteriori ipotesi di legittima apposizione del termine, stabilendo con l?art.23 della legge 28 febbraio 1987, n.56, che la contrattazione collettiva potesse prevedere ulteriori cause giustificative dei contratti a tempo determinato oltre quelle già previste da norme di legge.
Capitolo a sé stante ha sempre fatto il pubblico impiego, dove leggi e leggine hanno introdotto di continuo nell?ordinamento deroghe alla disciplina del tempo determinato, ammettendo assunzioni a termine per le ragioni più svariate, facendo spesso seguire interventi c.d. ?a sanatoria? per la stabilizzazione del rapporto di lavoro, nell?intento evidente di eludere le norme sull?accesso per concorso al pubblico impiego.
Una equiparazione parziale tra settore pubblico e privato è avvenuta quando il rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni è stato regolamentato in via contrattuale, a seguito della c.d. ?privatizzazione? del pubblico impiego, operata con vari interventi succedutisi nel tempo a partire dalla legge delega 23 ottobre 1992, n.421 e dal relativo provvedimento di attuazione, il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29.
Con la riforma del sistema delle fonti, la disciplina del tempo determinato è stata trasferita alla contrattazione collettiva, riservando alla disciplina legislativa la sola determinazione dei principi generali della materia.
Detti principi generali sono ora raccolti  dall?art.36 del D.lgs. 30 marzo 2001, n.165, ?Norma generali sull?ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, definito impropriamente testo unico delle norme sul pubblico impiego (in merito alla genesi del testo unico cfr. la rivista ?Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni? supplemento al n.2/2001).
La norma da ultimo citata dispone che le pubbliche amministrazioni si avvalgono, nel rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale, delle forme contrattuali flessibili di assunzione e impiego dei lavoratori.
La stessa normativa demanda la disciplina relativa ai singoli istituti di flessibilità alla contrattazione collettiva nazionale, tenuto conto di quanto previsto dalla normativa in vigore per i datori di lavoro privati.
Il secondo comma dell?art.36 d.lgs. n. 165/2001 stabilisce poi delle disposizioni particolarmente importanti in tema di violazione da parte delle amministrazioni delle norme sull?assunzione o l?impiego dei lavoratori, come vedremo meglio nel successivo paragrafo.
Veniamo ora alla disciplina delle assunzioni a tempo determinato così come sviluppata nella contrattazione collettiva del comparto Regioni ? Autonomie Locali.
Negli enti locali le cause di apposizione del termine sono state dettate prima dai contratti collettivi di comparto del 6/7/1995 e del 13/5/1996, e poi dalle disposizioni di cui all?art. 7, comma 1° del CCNL del 14.9.2000.
Questa ultima normativa fa una elencazione delle varie tipologie di rapporti di lavoro attivabili dagli enti locali e dalle Regioni, con indicazione anche della durata massima del rapporto in relazione a ciascuna tipologia di assunzione.
Tutto il pregevole lavoro della contrattazione collettiva su questo punto deve ritenersi, però, in buona parte superato dall?evoluzione della materia dovuta all?approvazione del d.lgs. 6 settembre 2001 n.368, con cui è stata data attuazione della direttiva della Comunità Europea 1999/70/CE.
A seguito delle modifiche apportate, il criterio tradizionale della eccezionalità dell?apposizione del termine, viene se non completamente rivisto, quanto meno fortemente attenuato.
Il d.lgs. n. 368/2001, infatti, stabilisce che la temporaneità del rapporto viene ammessa ?a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo?, venendosi, così a sostituire ad una serie tassativa di ipotesi per l?apposizione del termine ai contratti di lavoro una vera e propria ?clausola generale di legittimazione del contratto a tempo determinato? (cfr. circolare Ministero Welfare 1.8.2002, n. 42, pubblicato in G.U. n. 189 del 13.8.2002 ).
Le ragioni sopracitate sono sostanzialmente rimesse alla valutazione discrezionale dal datore di lavoro, con specificazione che le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro con cui sono  state introdotte nuove ipotesi di assunzione a termine, conservano la loro efficacia fino alla data di scadenza del relativo contratto collettivo (art.11, comma 2° del d.lgs. n.368/2001).
Per quanto sopra evidenziato deve ritenersi che, dal 1.1.2002, termine di validità del contratto collettivo del 14.9.2000, le Regioni e gli enti locali, possano attivare rapporti di lavoro a termine motivandoli esclusivamente con le sopra richiamate ragioni tecniche, produttive, ecc., così come i datori di lavoro del settore privato. In questo senso dispongono anche i pareri interpretativi dell?Aran C3.9 del 14.2.2001 e C3.33 dell?8.1.2003, disponibili, come gli altri che via via verranno segnalati, sul sito www.aranagenzia.it, nella parte relativa ai quesiti del comparto autonomie locali.
Come requisito formale del contratto, il d.lgs. n.368/2001 prevede che non solo l?apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto, ma che in questo devono essere anche indicate specificatamente le ragioni che hanno indotto al ricorso al rapporto di lavoro a tempo determinato.
Al riguardo, precisa la già citata circolare del Ministero del Welfare n. 42/2002 che le ragioni addotte dal datore di lavoro, pur se insindacabili dall?organo giudiziario sotto il profilo del merito, devono essere oggettivamente verificabili al fine di evitare abusi a scapito del lavoratore.
Limitatamente agli enti locali si deve ritenere ancora sussistente, nell?ambito delle ragioni di tipo sostitutivo quella particolare tipologia di assunzioni definibile di sostituzione ?a scorrimento? (in questo senso anche il parere ARAN C3.33 dell?8.1.2003, sopra citato).
Questa ipotesi di apposizione del termine, indicata dal comma 4 dell?art.7 del CCNL Comparto Regioni ? Autonomie Locali del 14.9.2000, prevede, nel caso di assenza di un dipendente con diritto alla conservazione del posto di lavoro, una duplice ?manovra? di sostituzione:
a) l?attività propria del lavoratore assente viene svolta da altro dipendente dell?Amministrazione, inquadrato in categoria inferiore, a cui vengono temporaneamente assegnate mansioni superiori corrispondenti a quelle dell?assente;
b) l?attività normalmente svolta dal ?sostituto? nella categoria di appartenenza viene assegnata ad un diverso soggetto, esterno all?amministrazione, assunto con rapporto a tempo determinato;
In tutti i casi di assunzioni a tempo determinato per sostituzione di personale, gli enti locali possono prevedere, ed è una novità rispetto alla precedente disciplina, un periodo di ?affiancamento? tra il soggetto ?entrante? e quello ?uscente?, per il necessario passaggio delle consegne (art. 7, comma 5, del CCNL del 14.9.2000).
Sempre in caso di assunzione per sostituzione, compresa l?ipotesi di sostituzione ?per scorrimento? devono essere indicati nel contratto individuale, la causa della sostituzione e il nome del dipendente sostituito sia esso il lavoratore assente o quello a cui sono state temporaneamente assegnate mansioni superiori.
Esulano dalla disciplina del tempo determinato vero e proprio sia le assunzioni a termine di personale a supporto delle strutture politiche, che quelle di personale con qualifica dirigenziale disciplinate dagli art.90 e 110 del d.lgs. n. 267/2000. Pur con l?intervenire del d.lgs n. 368/2001, bisogna, pertanto, ritenere che gli enti locali possano procedere ad assunzioni a termine nei due casi presentati (cfr. in proposito il parere ARAN C3.37 del 14/03/03).

2. Le sanzioni per rapporti illegittimamente attivati e il problema della prosecuzione di questo oltre il termine stabilito

L?ordinamento italiano sanziona differenti violazioni della normativa sul tempo determinato. Oltre che il mancato rispetto delle norme sull?apposizione del termine, viene, infatti prevista la illegittima prosecuzione del rapporto di lavoro a tempo determinato e la successione di contratti a termine, fatta allo scopo di eludere le norma a tutela del lavoratore.
Conservando il favore rivolto al contratto a tempo indeterminato (anche in attuazione del principio comunitario contenuto nella direttiva n.70/99; cfr. in merito la sentenza 9.11.2001- 21.5.2002, n. 7468 della Suprema Corte di Cassazione, Sez. Lavoro disponibile su www.altalex.com), il legislatore stabilisce che nei casi in cui il rapporto a termine debba ritenersi illegittimamente avviato, l?apposizione del termine è priva di effetto ed il contratto, pertanto, si reputa stipulato a tempo indeterminato.
Ugualmente a tempo indeterminato fin dalla stipulazione del primo contratto deve essere considerato il rapporto di lavoro in caso di successione fraudolenta di contratti a termine, avente come scopo quello di eludere di eludere la normativa sulle assunzioni a tempo indeterminato.
Vi è su questo punto una netta distinzione tra settore pubblico e settore privato. La sanzione della trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, prevista per i datori di lavoro privati, non si applica alle pubbliche amministrazioni, per le quali vale il disposto dell?art.36, comma 2°, del d.lgs. n. 165/2001 secondo cui ?in ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l?assunzione o l?impiego, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato (?)?.
Similmente il CCNL enti locali del 14/9/2000, art. 7,  comma 13, prevede che ?il rapporto di lavoro a tempo determinato non può mai trasformarsi in rapporto di lavoro a tempo indeterminato?.
Dall?illegittimità dei rapporti a termine avviati dalle pubbliche amministrazioni, discendono, però, alcuni effetti peculiari.
Innanzitutto sempre secondo l?art.36, comma 2° del d.lgs. n.165/2001, citato, il lavoratore interessato dalla assunzione illegittima ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro espletata in violazione di norme imperative.
Per effetto della stessa normativa, l?amministrazione si rivale dei costi avuti dai rapporti illegittimamente attivati direttamente sul dirigente responsabile dell?assunzione, qualora questo abbia agito con dolo o colpa grave.
Anche il CCNL enti locali del 14.9.2000 interviene sul punto stabilendo la nullità del contratto a tempo determinato, e l?intervenire degli effetti previsti dall?art.2126 del codice civile per la prestazione lavorativa di fatto, avvenuta in violazione di legge, quando:
a) l?apposizione del termine non risulti da atto scritto;
b) quando il contratto individuale sia stato stipulato al di fuori delle ipotesi previste dalle norme contrattuali, ovvero, per l?intervenire del d.lgs. n. 368/2001, quando sia stipulato al di fuori delle ipotesi previste in detto decreto.
La stessa disciplina spetta anche nei casi di illegittima prosecuzione del rapporto oltre il termine iniziale o successivamente prorogato, con la specificazione che ai lavoratori spetterà, per i giorni illegittimamente lavorati, una maggiorazione della retribuzione come disposto dal d.lgs. n.368/2001.

3. La selezione del personale a tempo determinato

L?entrata in vigore del CCNL comparto Regioni ? Autonomie Locali del 14.9.2002 ha modificato profondamente le regole per la selezione del personale a tempo determinato negli enti locali.
Ricordiamo che il CCNL del 6/7/1995, richiamava, per le prove selettive del tempo determinato, la disciplina prevista dal DPCM 30 marzo 1989, n. 127. Questo prevedeva procedure pubbliche di selezione piuttosto complesse.
All?iniziale predisposizione di una graduatoria provvisoria per soli titoli, sulla base di quanto dichiarato dai concorrenti nella domanda di concorso, faceva seguito l?effettuazione di una prova selettiva a cui venivano ammessi il quintuplo di candidati rispetto al numero di lavoratori per il quale la selezione era stata attivata.
La graduatoria definitiva nasceva dalla somma del punteggio ottenuto per i titoli e di quello riportato nella prova scritta. Anche ad uno sguardo superficiale, risulta evidente la farraginosità dell?intera procedura, che comportava notevoli perdite di tempo prima di poter dare, finalmente, corso alle assunzioni richieste.
Restavano escluse dalla predetta procedura le assunzioni per sostituzione di personale o per temporanea copertura di posti vacanti, per le quali gli enti locali potevano attingere dalla graduatoria per titoli senza l?espletamento della prova selettiva.
Va anche specificato che, per le qualifiche funzionali inferiori alla ex 4^ q.f., corrispondente alla cat. B1 del nuovo ordinamento professionale degli enti locali approvato con CCNL di comparto del 31.3.1999, le amministrazioni che intendevano effettuare assunzioni a tempo determinato dovevano rivolgersi agli uffici territoriali del collocamento, avanzando richiesta di avvio a selezione, disciplina mantenuta anche dopo le modifiche del CCNL del 2000, salvo quanto diremo più avanti.
L?art. 7 del CCNL del 14.9.2000, non fa più riferimento alla disciplina del DPCM n. 127/89, e lascia alle singole amministrazioni la determinazione dei criteri di selezione del personale e a tempo determinato.
L?unico vincolo è quello del rispetto dell?art.35 del d.lgs. n. 165/2001 che prevede, da un lato il ricorso all?avviamento dei lavoratori disposto dai servizi per l?impiego per le categorie professionali per accedere alle quali è richiesto il requisito della scuola dell?obbligo e dall?altro la pubblica selezione, improntata al principio di imparzialità, pubblicità e celerità nello svolgimento, per i dipendenti delle categorie più elevate.
Con questa nuova normativa contrattuale è data la possibilità agli enti locali, nel rispetto dei principi stabiliti, di attivare procedure sperimentali per la selezione di personale a tempo determinato. È pensabile, ad esempio,  a procedure di valutazione comparativa dei curricula presentati dai candidati, o a colloqui di selezione, più simili a quelli utilizzati dalle aziende private che non agli ?esami? dei concorsi pubblici, ferma restando la possibile assunzione  mediante la sola presentazione di titoli da parte dei candidati.
In merito alla giurisdizione in materia di selezioni per il tempo determinato citiamo qui la pronuncia del Tar Campania, Sez. III, n.2661 del 10/05/2002, con cui si afferma la competenza del giudice ordinario in merito alle stesse, qualora esse si svolgano tramite avviamento dei lavoratori da parte dei servizi per l?impiego.
Seppure, infatti, l?art.63, 4° comma del d.lgs. n.165/2001 attribuisca la competenza in materia concorsuale al giudice amministrativo, per il citato organo giudicante si intende per ?concorso? ?il procedimento amministrativo volto, in ossequio all?art. 97 della Costituzione, alla individuazione,  mediante lo svolgimento di prove da parte dei candidati ovvero valutazione di titoli dei candidati medesimi, dei soggetti più idonei a stipulare un contratto di lavoro con la P.A., e, conseguentemente, ad instaurare il relativo rapporto di lavoro a tempo indeterminato?.
Da ciò discende che ?esulano dalla nozione di concorso (e quindi dalla giurisdizione del giudice amministrativo), tutti i casi in cui (?) la costituzione del rapporto di lavoro con la P.A. consegue non già allo svolgimento di concorso, ma a forme di avviamento al lavoro, previste dalla legge ma non concorsuali, come nel caso di utilizzazione di liste di collocamento e simili?.

4. Attivazione dei rapporti e periodo di prova

Il CCNL Regioni- Autonomie Locali del 14.9.2000, prevede che anche per la costituzione dei rapporti a termine sia necessaria una ricognizione degli effettivi bisogni di personale, operata dagli enti, previa concertazione con le organizzazioni sindacali, preliminarmente alle assunzioni vere e proprie, anche al fine di garantire un miglioramento dei livelli qualitativi nella erogazione dei servizi pubblici.
Queste assunzioni, pertanto,  devono essere inquadrate in una programmazione complessiva dell?utilizzo del personale,  allo scopo di realizzare un più razionale impiego delle risorse umane a disposizione degli enti.
Le assunzioni a termine negli enti locali possono avvenire per tutte le categorie e profili previsti dal contratto di comparto del 31.3.1999, sia con rapporto a tempo pieno, che con rapporto a tempo parziale.
Ai sensi dell?art. 7, comma 1 del d.lgs. n. 368/2001, i contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi possono individuare limiti quantitativi di utilizzazione dell?istituto del contratto a tempo determinato.
Il CCNL enti locali del 14.9.2000 ha, infine, previsto, innovando rispetto alla precedente normativa contrattuale, che le amministrazioni hanno facoltà di sottoporre il lavoratore a tempo determinato ad un periodo iniziale di prova, durante il quale ciascuna delle parti è libera di recedere dal rapporto senza obbligo di preavviso.
Il periodo di prova non può essere stabilito in misura superiore a due settimane per i rapporti di durata fino a sei mesi e di quattro settimane per quelli di durata superiore (art.7, comma 9 del CCNL del 14.9.2000).

5. Le particolarità nello svolgimento del rapporto

Una prima deroga alla disciplina generale del CCNL enti locali per le assunzioni a tempo determinato è prevista per la presentazione dei documenti richiesti ai lavoratori al momento dell?assunzione.
Le amministrazioni possono assumere il dipendente, prescindendo da detta presentazione quando, per la brevità del rapporto a termine o per le straordinarie esigenze sottese al rapporto sia necessario procedere all?assunzione con urgenza.
Il contratto viene allora stipulato con riserva di acquisizione successiva dei documenti prescritti dalla normativa vigente.
Nel caso di mancata o tardiva presentazione, il rapporto è risolto con effetto immediato, salva l?applicazione dll?art.2126 del codice civile, sui rapporti lavorativi di fatto.
Una volta attivato il rapporto, questo segue, nel suo svolgimento, la disciplina contrattuale prevista per i rapporti a tempo indeterminato, salvo le particolarità dettate dalla natura temporanea del rapporto e le specificazioni indicate nell?art.7, comma 10 del CCNL di comparto del 14.9.2000.
Per le assenze per malattia, ad esempio, il CCNL detta una disciplina incentrata da un lato, sulla determinazione del periodo di comporto spettante al lavoratore, dall?altro, sulla determinazione della retribuzione spettante al dipendente in malattia
Il periodo di comporto, ovvero di conservazione del posto in caso di malattia, è per i lavoratori a tempo determinato, pari alla durata del contratto e non può, in ogni caso, superare i 18 mesi complessivi nel triennio previsti dall?art.21 del CCNL di comparto del 6/7/1995 per i dipendenti a tempo indeterminato.
Sul trattamento economico in caso di malattia viene dettata una disciplina piuttosto complessa, che si rifà in parte alla legge 11 novembre 1983, n. 638 ed in parte all?art.21, comma 7 del CCNL del 6/7/1995, sopra citato.
Fermo restando che non può essere attribuito alcun trattamento economico dopo la cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore a tempo determinato avrà diritto ad un periodo retribuito di malattia per un periodo non superiore ai giorni di attività lavorativa svolta nei dodici mesi precedenti l?evento morboso.
Vengono comunque riconosciuti almeno trenta giorni di trattamento economico di malattia anche se il lavoratore non abbia effettuato alcuna attività lavorativa nel periodo precedente.
Nell?ambito dei giorni di malattia retribuiti vanno applicati i principi di gradazione del trattamento economico, già previsti per la retribuzione di malattia dei dipendenti a tempo indeterminato, salvo che non si tratti di periodi inferiori a due mesi.
Così, per fare un esempio, se ad un soggetto che abbia lavorato sei mesi o più nel periodo precedente la malattia, qualora s?ammali per un periodo pari a 180 giorni nell?arco di valenza del contratto a tempo determinato, spetterà una retribuzione così ripartita: 90 giorni saranno pagati al 100%; 30 giorni al 90%; gli ultimi 60 giorni al 50%.
Com?è ovvio, le ferie sono maturate dal lavoratore a tempo determinato in maniera proporzionale al servizio prestato.
La disciplina dei permessi retribuiti per i lavoratori a termine del comparto ed in particolare l?applicazione agli stessi delle disposizioni di cui all?art.19 del CCNL enti locali del 6/7/1995 è sicuramente uno dei punti più controversi dell?intera materia e sia l?ARAN che il Dipartimento della Funzione Pubblica sono stati subissati di richieste di chiarimenti in merito.
Senza pretesa d?essere esaustivi, tenuto conto dell?estrema varietà dei casi che nella pratica possono verificarsi, possiamo stabilire alcuni punti centrali, seguendo le indicazioni sia dell?ARAN che del Dipartimento Funzione Pubblica.
Innanzitutto, i permessi previsti dall?art.19 del CCNL comparto enti locali del 6.7.1995 e successive modifiche ed integrazioni, ?non sono applicabili, per espressa esclusione, ai rapporti a tempo determinato, eccezion fatta per il caso di matrimonio? (parere ARAN C3.2 del 4.12.2000), in cui spettano 15 giorni consecutivi di permesso retribuito dalla data delle nozze.
I lavoratori a tempo determinato possono comunque fruire di permessi retribuiti per motivate esigenze fino ad un massimo di 15 giorni (art.7, comma 10, lett. c) del CCNL enti locali del 14.9.2000).
Spettano in ogni caso, anche ai dipendenti a tempo determinato, i permessi previsti da specifiche disposizioni di legge per i lavoratori dipendenti.
In questo ambito ricadono, ad esempio i periodi di congedo per maternità e congedo parentale previsti dal d.lgs. n.151/2001.
Una particolarità di queste astensioni dal lavoro è che il trattamento economico continua ad essere corrisposto alla lavoratrice anche dopo la scadenza del termine previsto dal contratto, per i periodi di assenza obbligatori dal lavoro, mentre per i congedi facoltativi lo stesso viene corrisposto solo in costanza del rapporto di lavoro.
Con due successivi pareri (C3.27 del 5.4.2002 e C3.36 dell?8.1.2003), l?ARAN è intervenuto sul problema dell?applicabilità dei permessi per lo studio previsti dall?art.19 del CCNL enti locali del 6.7.1995 e dall?art.10 della legge 20 maggio 1970, n.300, c.d. statuto dei lavoratori.
Con l?ultimo dei pareri richiamati, l?ARAN specifica che:
a) non spettano ai lavoratori a termine, per espressa esclusione contrattuale, i permessi di cui all?art.19 del CCNL del 6.7.1995, comprensivi delle 150 per motivi allo studio e dei permessi giornalieri per esami;
b) agli stessi spettano, però, i permessi retribuiti di cui all?art.10 della legge n.300/70, limitatamente ai giorni in cui devono sostenere le prove d?esame.
Per quello che riguarda gli obblighi di formazione dei lavoratori a tempo determinato, viene in rilievo quanto previsto dall?art.7 del d.lgs. n.368/2001 allo scopo di garantire un pari trattamento con i lavoratori a tempo pieno.
Si deve, infatti, ritenere che detta normativa, con cui si impone ai datori l?obbligo di garantire la necessaria formazione ai dipendenti a tempo determinato, con riferimento sia alla conoscenza da parte di questi dei rischi  propri delle mansioni espletate, che alla necessità di dotare i lavoratori di strumenti formativi per aumentarne la qualificazione professionale per incrementarne la possibilità di carriera e migliorarne la mobilità occupazionale, sia direttamente applicabile anche agli enti locali.
Per cui, ai dipendenti a tempo determinato deve essere garantita non solo una necessaria formazione iniziale, ma anche interventi di aggiornamento e approfondimento, in particolare per i rapporti di lavoro di durata più lunga.

6. Cause di risoluzione del rapporto e periodo di preavviso

Il CCNL enti locali del 14.9.2000 indica come cause ?naturali? di risoluzione del rapporto a tempo determinato la scadenza del termine fissato nel contratto di lavoro, ovvero, nei rapporti a causa sostitutiva, il rientro del dipendente sostituito.
In queste ipotesi, naturalmente, la cessazione del rapporto di lavoro avviene senza necessità di previo periodo di preavviso.
Altre cause di risoluzione del contratto a termine, applicabili anche negli enti pubblici, sono ravvisate dalla dottrina e dalla giurisprudenza del lavoro nell?intervenire d?una giusta causa di recesso da parte del lavoratore o di licenziamento da parte del datore, ovvero per mutuo consenso.
Secondo l?art. 2119 del codice civile si ha giusta causa di recesso dal contratto di lavoro o di licenziamento quando intervengono circostanze tali, causate da una delle parti del rapporto, da non consentire la prosecuzione, neanche momentanea dello stesso. Data la gravità della mancanza di una delle due parti, l?altro contraente non è tenuto al rispetto del periodo di preavviso.
Negli enti locali per dar corso al licenziamento senza preavviso è necessario che il lavoratore, sia esso a tempo indeterminato o a tempo determinato, commetta una delle infrazioni specificamente previste dal codice disciplinare di cui all?art.25, comma 7 del CCNL di comparto del 6/7/1995 (es. recidiva di vie di fatto contro superiori o terzi o altri dipendenti, gravi delitti commessi in servizio, ecc.), ovvero dia luogo ad altre violazioni intenzionali dei doveri d?ufficio di estrema gravità.
Altra causa, pacificamente ammessa come legittima risoluzione del contratto di lavoro è il mutuo consenso manifestato dalle due parti contraenti ai sensi dell?art.1372 del codice civile.
Poiché la normativa contrattuale non disciplina in maniera specifica la materia della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, semplicemente raffigurando la possibilità di rinuncia al preavviso lavorato nei casi di dimissioni che prevedano questo obbligo, è opportuno che gli enti locali, per evitare disparità di trattamento, predispongano una apposita regolamentazione in merito, in cui siano puntualizzate cause e modalità dello scioglimento consensuale.
Il CCNL enti locali del 14.9.2000 ha previsto anche la possibilità d?un libero recesso dal rapporto di lavoro a tempo determinato da parte di uno dei due contraenti, previo rispetto d?un periodo di preavviso, applicando ai rapporti a tempo determinato la disciplina contrattuale, risalente al CCNL di comparto del 6.7.1995, propria dei soli rapporti a tempo indeterminato.
La norma contrattuale prevede, un periodo di preavviso pari ad un giorno per ciascun periodo di lavoro di 15 giorni contrattualmente stabilito, con un termine massimo di 30 giorni di preavviso nei casi di contratti a termine di durata superiore ad un anno.

7. La proroga ed il rinnovo del contratto a tempo determinato

Per ciò che riguarda la proroga del rapporto di lavoro a tempo determinato, la normativa contrattuale degli enti locali, sia quella del biennio 1995/1996, che quella del 14.9.2000, richiamava direttamente quanto previsto per il settore privato dall?art.2 della legge n. 230/62, che stabiliva: ?Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, eccezionalmente prorogato, non più di una volta e per un tempo non superiore alla durata del contratto iniziale, quando la proroga sia richiesta da esigenze contingibili ed imprevedibili e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato (?)?.
Su questa materia è, però, intervenuto il d.lgs. n. 368/2001, che ha abrogato le disposizioni in merito dettate dalla legge n. 230/62
Anche nella nuova regolamentazione, dettata dall?art.4 del decreto di riforma, elemento essenziale della proroga è il consenso del lavoratore, senza il quale non può darsi corso alla prosecuzione del rapporto.
Occorre inoltre un dato obiettivo, consistente nel fatto che il rapporto iniziale abbia durata inferiore a tre anni.
Qualora ci si trovi in presenza delle condizioni sopra indicate, la proroga è ammessa una sola volta a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato.
La durata complessiva del rapporto a termine successivamente prorogato non può essere superiore ai tre anni.
L?onere della prova relativa all?obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano la proroga del termine è a carico del datore di lavoro.
L?ente locale che voglia prorogare un rapporto di lavoro a tempo determinato deve, quindi, prestare particolare attenzione alla corretta motivazione del provvedimento di proroga se vuole evitare spiacevoli contenziosi con i lavoratori.
Venendo ora al rinnovo del contratto a termine, vediamo che questa problematica investe sia la sfera delle procedure selettive che quella della responsabilità dirigenziale per eventuali irregolarità nella costituzione del rapporto.
Il rinnovo, infatti, non consiste in una mera prosecuzione del rapporto già avviato, come nel caso della proroga, bensì nella costituzione di un nuovo rapporto con i medesimi soggetti, una volta che sia esaurito il primo contratto a termine.
Fermo restando che per la legittimità del rinnovo occorre che tra un rapporto e l?altro intercorra un periodo superiore a 10 giorni (se il rapporto scaduto aveva durata inferiore o uguale a sei mesi) ovvero  a 20 giorni (se il rapporto scaduto aveva durata superiore a sei mesi), per gli enti pubblici si pone il problema dell?utilizzo plurimo delle graduatorie formate in vista del primo rapporto a tempo determinato.
È chiaro, infatti, che il rinnovo del contratto a termine non può avvenire in violazione dei principi stabiliti dall?articolo 35 d.lgs. n. 165/2001 per le selezioni del personale, esplicitamente richiamati dall?art.7 CCNL del 14.9.2000 per i rapporti a tempo determinato.
A questo proposito sarebbe opportuno che i criteri per l?utilizzabilità plurima d?una medesima graduatoria per le assunzioni a tempo determinato sia oggetto d?una apposita disciplina all?interno del regolamento dell?ente locale sugli accessi e che detta opportunità sia stata esplicitata nel bando di concorso (cfr. il parere ARAN C3.31 del 24/9/2002, ultimo capoverso, relativo all?utilizzo di graduatorie a tempo indeterminato per assunzioni a termine).
In ogni caso, per potersi legittimamente procedere al rinnovo del contratto, trattandosi di un nuovo rapporto, è necessaria la presenza dei presupposti, oggetti e soggettivi, previsti in generale per le assunzioni a termine.
Dal punto di vista della responsabilità per i rapporti illegittimamente rinnovati, valgono le considerazioni già fatte in precedenza per le nuove assunzioni e per i rapporti che proseguano oltre il termine fissato.
Nel caso del rinnovo si aggiungono, però, altre due possibili fonti di violazione delle norme sul tempo determinato. L?amministrazione sarà, infatti in difetto, con le conseguenze tratteggiate (nullità del rapporto, intervenire dell?art.2126 cod. civ., e risarcimento del danno), sia per il mancato rispetto del periodo di intervallo tra un rapporto a termine e l?altro, sia, eventualmente, per violazione delle norme sull?accesso al pubblico impiego, quando si evidenzi che il rinnovo abbia avvantaggiato in maniera illegittima un soggetto piuttosto che un altro.

di Gianluca Di Pofi