Locali storici e vincoli di destinazione d’uso Corte Costituzionale, 26 – 28 marzo 2003, n.94

13.03.2003

Corte Costituzionale, 26 – 28 marzo 2003, n.94

Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Lazio 6 dicembre 2001 n. 31, intitolata “Tutela e valorizzazione dei locali storici”. Questa legge si propone di individuare e valorizzare unità immobiliari che, adibite ad attività commerciali ed artigianali rievocative di antiche tradizioni , si caratterizzano per il loro valore storico, artistico, culturale. A questo scopo la Regione istituisce un elenco dei “ locali storici”: per effetto dell’ inclusione in questo elenco è possibile beneficiare di finanziamenti regionali per la manutenzione o il restauro di questi immobili, o per far fronte ad eventuali aumenti del canone di locazione. Pertanto l’ inserimento di tali immobili in questo elenco, comporta semplicemente l’acquisizione della qualifica di “locale storico” e l’ accesso alla disciplina dei finanziamenti agevolati.
Secondo la Presidenza del Consiglio la legge impugnata violerebbe la competenza esclusiva dello Stato in tema di tutela dell’ ambiente, dell’ ecosistema e dei beni culturali (art. 117 Cost., comma 2, lett. s). Le censure d’ incostituzionalità muovono dalla distinzione tra  “tutela dei beni culturali” che rientra nella competenza esclusiva dello Stato, e la “valorizzazione” dei medesimi che compete , ciascuno nel proprio ambito, a Stato, Regioni ed enti locali (artt. 149 e 152 del d.lgs. n.112 del 1998): in questa seconda ipotesi il legislatore regionale nell’esercizio della sua potestà legislativa concorrente è comunque tenuto a rispettare i principi fondamentali della materia stabiliti dallo Stato con propria legge, e ad astenersi dal legiferare in assenza di una determinazione legislativa statale dei principi fondamentali della materia [*].
La Corte non concorda su questa impostazione. Osserva infatti, che qui non si tratta di distinguere tra tutela o valorizzazione dei beni culturali, o tra competenza esclusiva dello Stato e competenza concorrente Stato-Regioni; gli immobili storici qui in esame non sono, come pare credere lo Stato nel proprio ricorso, beni culturali stricto sensu (cioè quelli rilevanti ai fini dell’ applicazione del d. lgs. n. 490 del 1999 e , rispetto ai quali lo Stato esprime l’esclusività della propria competenza); si tratta invece di beni che, in quanto rappresentativi di tradizioni storico culturali legate ad antichi mestieri ancora vivi nelle realtà locali, sono destinatari di iniziative di salvaguardia e valorizzazione poste in essere a loro tutela dalle Regioni e dalle comunità locali.
Lo Stato denuncia inoltre la lesione della competenza esclusiva dello Stato in tema di ordinamento ed organizzazione amministrativa dello Stato, nonché di ordinamento civile (art. 117 Cost., comma 2, lett.g, lett. l). In particolare, ammettendo al finanziamento il gestore del negozio, che non sia anche il proprietario, si rischia di sottoporre un immobile ad un vincolo di destinazione d’uso prescindendo dal consenso del proprietario, violando tra l’altro la disciplina giuridica vigente del diritto di proprietà (privata e pubblica). Ma la legge regionale è chiara: il gestore, persona diversa dal proprietario, intanto è ammesso al finanziamento in quanto provveda previo consenso del proprietario alla trascrizione nei registri immobiliari dell’ atto con cui unilateralmente si obbliga a destinare le somme ricevute “….al mantenimento della destinazione d’uso, ….dei caratteri salienti degli arredi…,…della conformazione degli spazi interni…”(art. 7, comma 1).
La natura costitutiva propria di questo atto (rispetto al vincolo di destinazione d’uso ed alla concreta erogazione del finanziamento), la propedeuticità del consenso del proprietario rispetto alla trascrizione, la possibilità di risolvere il vincolo di destinazione d’uso (previa restituzione del finanziamento) conformemente a quella che è la tendenziale temporaneità dei vincoli al diritto di proprietà, confermerebbe che sono comunque fatti salvi i diritti dominicali del proprietario e le norme di legge che li tutelano (art. 7, comma 2).
Un’ultima osservazione concerne l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla Regione e respinta dalla Corte.
Abbiamo fin qui visto come i rilievi di incostituzionalità sollevati dal Governo, evidenzino che la legge regionale impugnata sarebbe inficiata da un vizio di competenza : oltrepassato l’ambito materiale delle competenze regionali, essa invade quello delle materie di competenza esclusiva dello Stato. La Regione Lazio, invece, eccepisce che il ricorso dello Stato si fonderebbe su presunte violazioni di legge (costituzionale e non) ad opera della legge regionale impugnata, laddove il nuovo art. 127, limitando la denunzia di incostituzionalità in via principale al solo vizio di competenza, esclude che essa possa contemplare violazioni di norme costituzionali o interposte. La Corte, invece, osserva che “i rilievi di costituzionalità sollevati sono tutti relativi o riconducibili all’ art. 117 Cost.”, cioè alla norma costituzionale che disciplina più diffusamente il nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni. Il ragionamento della Corte dovrebbe essere più o meno questo : la violazione dell‘ art. 117 (e delle norme interposte che ad esso fanno capo), viene in considerazione non in quanto violazione di norma di legge , ma in quanto violazione del rinnovato riparto di competenze in esso statuito. Alla stregua di questo ragionamento, la Corte potrebbe considerare ammissibile qualsivoglia denunzia d’ incostituzionalità che nominalmente fondata su un vizio di competenza, si risolva in concreto in una denunzia per violazione di legge.


[*] Per consolidata giurisprudenza è ormai superata la concezione della cronologica subordinazione, rispetto ad una data materia, della legge regionale rispetto a quella dello Stato. In particolare, Corte Costituzionale, sentenze n. 39 del 1971 e n.282 del 2002

a cura di Giuliana Bianchi