La Sanità italiana tra livelli essenziali di assistenza, tutela della salute e progetto di devolution – Resoconto convegno

24.02.2003

La Sanità italiana tra livelli essenziali di assistenza, tutela della salute e progetto di devolution

Convegno Nazionale di Studio

Università degli studi di Genova
Facoltà di Scienze Politiche

in collaborazione con

Centro di Ricerca sulle amministrazioni pubbliche ‘Vittorio Bachelet’
Osservatorio sulle politiche sociali e sanitarie
Luiss ‘Guido Carli’ – Roma

Genova, 24 febbraio 2003

(a cura di Lorenzo Cuocolo, Elena Griglio ed Enrico Menichetti)


Sintesi – a cura di Lorenzo Cuocolo

Lunedì 24 febbraio 2003 si è tenuto, nella sala del Consiglio provinciale di Genova, il Convegno nazionale di studi su “La sanità italiana tra livelli essenziali di assistenza, tutela della salute e progetto di devolution”, organizzato dalla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Genova, in collaborazione con l’Osservatorio sulle politiche sociali e sanitarie del Centro V. Bachelet dell’Università LUISS – Guido Carli di Roma.
L’intenso calendario, affidato al coordinamento scientifico del prof. Renato Balduzzi, ha previsto tanto interventi di operatori del settore sanitario e sociosanitario, quanto relazioni di studiosi dei diritti sociali.
Dopo il saluto del Presidente della Provincia di Genova, dott. Alessandro Repetto, del Rettore dell’Università prof. Sandro Pontremoli e del Preside della Facoltà di Scienze politiche, prof. Adriano Giovannelli, il prof. Balduzzi ha illustrato le finalità del Convegno ed ha sottolineato la scelta di premettere trattazioni di taglio pratico alle riflessioni consuntive dei giuristi.
La sessione mattutina, presieduta dal prof. Giovanni Cocco, ordinario nell’Università dell’Insubria ed esperto di problematiche attinenti alla salute e all’ambiente, è stata dedicata ai “Livelli essenziali di assistenza sanitaria e sociosanitaria”, ed ha visto gli interventi della dott.ssa Laura Pellegrini, direttore dell’Agenzia per i Servizi sanitari regionali, del dott. Claudio De Giuli, dirigente generale del Ministero della salute, della prof. Anna Banchero, dirigente del Settore sociosanitario della Regione Liguria e della dott.ssa Paola Cermelli, direttore dei Servizi alla persona del Comune di Genova.
L’apertura della prof. Banchero, sulla posizione di Regioni e Comuni di fronte ai livelli essenziali in materia sanitaria e sociosanitaria, ha inquadrato la dimensione di esame della problematica oggetto del Convegno, sottolineando le nuove prospettive sorte a seguito della riforma costituzionale adottata con l. cost. n. 3 del 2001, ma ponendo grande attenzione anche al ruolo incisivo dei Comuni che, soprattutto in riferimento alla dimensione sociosanitaria, sono protagonisti della concreta realizzazione dei L.E.A.
Le relazioni della dott.ssa Pellegrini e del dott. De Giuli, rispettivamente dedicate ai L.E.A. in un ordinamento decentrato e ai L.E.A. nel settore farmaceutico, hanno posto in luce il quadro nazionale, quale emerso da studi statistici svolti dall’Agenzia per i servizi sanitari regionali e dal Ministero della Salute. Di particolare stimolo si è rivelata la presentazione – in esclusiva per il Convegno genovese – di un approfondito studio comparativo tra le Regioni italiane in merito ai singoli parametri riconducibili ai livelli essenziali di assistenza sanitaria, effettuato dall’Agenzia per i servizi sanitari regionali.
È poi seguita la relazione della dott.ssa Cermelli che ha illustrato, con il supporto di un inedito studio statistico elaborato dall’Assessorato alla Città solidale del Comune di Genova, le principali criticità dell’applicazione alla realtà comunale del sistema dei livelli essenziali.
Il quadro operativo è stato completato dalle testimonianze degli Assessori alla sanità e alle politiche sociali della Regione Liguria (Roberto Levaggi e Luigi Morgillo) e dell’Assessore alla Città solidale del Comune di Genova (Paolo Veardo).
La seconda sessione, dedicata a “La tutela della salute nell’art. 117, terzo comma, della Costituzione”, è stata presieduta dal Fausto Cuocolo, professore di Diritto costituzionale nell’Università di Genova, che ha introdotto la relazione del prof. Angelo Mattioni, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
La relazione del prof. Mattioni ha analizzato il nuovo sistema delle competenze legislative, con particolare riferimento alla legislazione concorrente. L’ampia ed approfondita trattazione ha ripercorso le tappe maggiormente significative dell’esperienza regionale dagli anni ’70 alla riforma del Titolo V e ha tracciato diverse ipotesi ricostruttive della nuova sistematica costituzionale, con particolare riferimento all’estensione ed ai limiti dei poteri legislativi regionali in materia di “tutela della salute”.
Alla relazione sono seguite le comunicazioni programmate di Matteo Cosulich (Università di Trento) e Giorgio Grasso (Università dell’Insubria), di Lorenzo Cuocolo (Università “L. Bocconi” di Milano), di Enrico Menichetti (Università di Perugia), di Donatella Morana (Università di Roma 2), di Arianna Pitino (Università di Genova) e di Paolo Zuddas (LUISS – Guido Carli di Roma).
Le comunicazioni hanno evidenziato le specifiche problematiche che le nuove forme di tutela della salute e dei diritti sociali possono manifestare: dai rapporti tra salute e ambiente alle scelte di drafting formale e sostanziale, dalle più recenti pronunce del giudice costituzionale alla distinzione tra competenze concordate e competenze divise, dal rilievo comunitario della materia all’integrazione sociosanitaria.
Dopo le prime due sessioni, incentrate sull’analisi della nuova disciplina costituzionale delle competenza in materia di diritti sociali, la terza sessione è stata dedicata ad una Tavola rotonda sul “Progetto di devolution dell’assistenza e organizzazione sanitaria”.
La prospettiva di analisi dei nuovi progetti di revisione costituzionale è stata sia teorico-dogmatica, sia focalizzata sui riflessi operativi che potrebbe portare il disegno di legge costituzionale in materia di devolution. Così, al fianco della prof. Barbara Pezzini (Università di Bergamo), della prof. Lorenza Violini (Università di Pavia) e del dott. Guido Carpani (Ufficio studi Presidenza della Repubblica), è intervenuto il dott. Franco Toniolo, coordinatore tecnico per la sanità della Conferenza dei Presidenti regionali.
Prima delle conclusioni del prof. Balduzzi si è svolto un breve, ma intenso dibattito, con interventi di grande stimolo, tra i quali si ricordano quelli del prof. Gianpaolo Parodi (Università di Pavia) e del prof. Umberto Allegretti (Università di Firenze).
A questo Convegno seguirà un ulteriore appuntamento che si terrà presso l’Università LUISS – Guido Carli di Roma il prossimo 9 giugno.
Gli atti della seconda “Giornata genovese di diritto sanitario” (successiva a quella del 2002 su “Sanità e assistenza dopo la riforma del Titolo V”) saranno integralmente pubblicati come Quaderno del Centro V. Bachelet (ed. Giuffrè).


Resoconto convegno – a cura di Elena Griglio ed Enrico Menichetti

Il giorno 24 febbraio 2003, si è svolto a Genova il Convegno nazionale di studio ‘La sanità italiana tra livelli essenziali di assistenza, tutela della salute e progetto di devolution’, organizzato dalla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Genova e dall’Osservatorio sulle politiche sociali e sanitarie del Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche ‘Vittorio Bachelet’, LUISS ‘Guido Carli’ di Roma.

I lavori, suddivisi in tre sessioni (livelli essenziali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria; la tutela della salute nell’art. 117, terzo comma della Costituzione; il progetto di devolution dell”assistenza e organizzazione sanitaria’) sono stati introdotti dal Prof. Renato Balduzzi (Università di Genova), che ha sottolineato la centralità del settore sanitario nell’attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione, come dimostrano le prime pronunce della Corte costituzionale sul tema (nn. 282, 510 e 536 del 2002), vere e proprie tappe miliari nell’interpretazione delle nuove norme costituzionali. La sentenza n. 510 del 2002, in particolare, sembra invitare il legislatore regionale a legiferare nei settori di propria competenza, senza necessità né di attendere la legislazione quadro statale, né di rimuovere quella statale preesistente.

Sotto il profilo dei livelli essenziali di assistenza sanitaria, il Prof. Balduzzi ha ribadito la necessità e la responsabilità della scienza giuridica di far transitare una lettura che ne valorizzi l’essenzialità, che non può significare ‘livelli minimi’, ed in tal senso ha ricordato l’evoluzione normativa del settore sanitario a partire dalla legge delega n. 421 del 1991. Inoltre, ha stimolato la riflessione dei relatori sia sul d.d.l. La Loggia che sul progetto di devolution. Quanto al primo, ha segnalato il potenziale contrasto con l’articolo 76 Cost. dell’individuazione dei principi fondamentali con decreti legislativi, i quali integrerebbero a tutti gli effetti un’attività normativa, a prescindere dall’autoqualificazione ‘ricognitiva’ nelle intenzioni del legislatore delegante. Quanto al secondo, ha sottolineato le difficoltà interpretative concentrate nella formula approvata in prima lettura al Senato, ed in particolare l’oscurità delle espressioni ‘attivano’ e ‘competenza esclusiva’ riferite alle Regioni. Inoltre, ha richiamato l’attenzione sulla centralità dei temi dell’economia sanitaria (es. ripartizione della quota capitaria), che incide sull’effettività del diritto a trattamenti sanitari molto di più della funzione di cui all’art. 117, comma 2, lett. m).

Ha poi ricordato l’impatto dei profili di diritto comunitario (art. 152, Tratt. CE; art. 35 Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che entrerà a pieno titolo nel Trattato costituzionale) e internazionale (Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, che deve essere ancora ratificato dall’Italia). Da ultimo, si è soffermato sulla sent. Corte cost. n. 536 del 2002, che ha definito la ‘tutela dell’ambiente’ come ‘valore’ con l’attitudine di incidere su tutte le competenze anche regionali.

Ha presieduto la prima sessione il Prof. Giovanni Cocco (Università dell’Insubria), che, a livello di metodo, ha invitato a riflettere sul grado di ricaduta delle riflessioni teoriche sul livello pratico. Nello specifico, ha sollecitato una riflessione sull’opportunità, nella determinazione dei livelli essenziali di assistenza, di dare prevalenza al bisogno o alla compatibilità finanziaria. È poi partito dalla tesi di Stefano Zamagni (che ritiene contraddittoria a livello logico la contestualità della fissazione dei livelli essenziali di assistenza rispetto alle compatibilità finanziarie, in quanto, se si tratta di bisogno ‘essenziale’, occorre soddisfarlo a prescindere dalle risorse disponibili), per evidenziare la non omogeneità della categoria dei bisogni, che sono dati reali, rispetto a quella dei livelli essenziali, i quali, essendo degli standard medi, costituiscono un dato convenzionale. A riprova di tale assunto, v’è il fatto che a fronte di bisogni crescenti e di risorse scarse, i livelli essenziali si assestano verso il basso, ciò che richiede sia di individuare una scala dell’essenzialità, sia parecchia elasticità nell’erogazione da parte delle strutture sanitarie. La natura convenzionale dei livelli essenziali fa ritenere soddisfatta soltanto l’eguaglianza formale, ma non quella sostanziale. In tal senso, un ruolo nevralgico nel completamento dell’attuazione dei livelli essenziali di assistenza potrà averlo l’art. 119, comma 5, Cost., che prevede risorse aggiuntive statali alle Regioni più svantaggiate; ma ciò richiede che si implementi il sistema di monitoraggio, vigilanza e responsabilità. Da ultimo, ha invitato a cogliere tutte le potenzialità del settore sanitario, non più e non solo da intendersi come vincolo alla spesa pubblica, ma come vera e propria risorsa ed opportunità (es. farmacogenomica ed attività di hospice).

La Dott.ssa Anna Banchero (dirigente Regione Liguria) ha relazionato su ‘Comuni, Regioni e livelli essenziali sociosanitari’, invitando a prendere in considerazione i dati di spesa che segnalano una vertiginosa crescita della spesa sanitaria nazionale, quasi raddoppiata in soli sei anni  (dagli 87.000 miliardi di lire del 1995 ai 147.000 del 2002). La spesa per i livelli essenziali dei servizi socio-sanitari copre circa il 9% della dotazione totale del Fondo Sanitario Nazionale e la ripartizione tra le regioni è molto differenziata (es. Lombardia 14%; Liguria 9%). Inoltre, ha invitato a riflettere sulla circostanza che solo il 25-30% della popolazione usufruisce dei relativi servizi.

Dopo aver ripercorso le tappe dei diritti soggettivi e dei livelli essenziali di assistenza socio sanitaria (art. 22, comma 4, legge 328 del 2000; D.p.c.m. 29 novembre 2001; atto di indirizzo e coordinamento sui servizi socio-sanitari), ha auspicato un punto di equilibrio tra diritti, sistema dell’offerta e spesa, proponendo il metodo selettivo che consente di individuare una scala di priorità nei bisogni. Si devono pertanto fissare diritti non per superare l’universalità, ma per individuare i bisogni più importanti. Dall’esame dei livelli essenziali di assistenza socio sanitaria (contenuti nel D.p.c.m. 29 novembre 2001), si evince una parziale sovrapposizione con i livelli essenziali dei servizi sociali (art. 22, comma 4, legge 328 del 2000), sovrapposizione che bisogna cercare di utilizzare positivamente per arrivare ad utilizzare positivamente anche le risorse. Il che impone sia una programmazione partecipata, sia una comunicazione codificata tra Asl e Comuni. Tra gli strumenti da privilegiare per la costruzione di una rete di servizi socio-sanitari e di un Welfare leggero, si ricordano i processi di presa in carico con progetto personalizzato di assistenza, i servizi di prossimità e di buon vicinato e il metodo dei buoni-servizi.

Prioritaria rimane la corretta valutazione del fabbisogno e le scelte di governance che privilegino la negoziazione sui problemi piuttosto che le separatezze specchio delle rispettive competenze; i Piani di Zona sono momenti finalizzati a tali scopi, attraverso associazioni intercomunali tra piccoli Comuni. Altro punto nodale è l’integrazione tra pubblico e privato, ivi compreso il Terzo settore, pur nel rispetto della funzione di regolazione che dovrà rimanere di spettanza dei pubblici poteri: data la stretta connessione tra spesa ed organizzazione, c’è infatti bisogno di passare a nuovi modelli di gestione che vedano la partecipazione di Regioni, Asl, Comuni, Onlus e persino delle Fondazioni, come nel modello attualmente in corso di sperimentazione nella Regione Toscana attraverso le ‘Società della salute’. Tale integrazione può condurre a modelli di gestione ottimali delle risorse, che consentono di governare efficientemente la spesa ed evitare le sovrapposizioni.

La Dott.ssa Laura Pellegrini (direttore dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali) ha svolto una relazione sul tema ‘I l.e.a. in un ordinamento decentrato’, proponendo dati inediti sull’applicazione regionale del D.p.c.m. 29 novembre 2001 dai quali emerge una sanità a diverse velocità. Le Regioni hanno seguito diverse strade: in alcuni casi hanno ritenuto di garantire come livelli ‘aggiuntivi’ alcune delle prestazioni ricomprese nell’Allegato IIA) (prestazioni escluse dai l.e.a.: es. assistenza odontoiatrica, densitometria ossea, medicina fisica riabilitativa ambulatoriale) ed in altri anche prestazioni non ricomprese né nel primo né nel secondo elenco. Ferme restando le prestazioni di cui all’Allegato I (elenco positivo), sui livelli ‘aggiuntivi’ si registra una situazione a macchie di leopardo e molto differenziata. Quanto alle prestazioni dell’Allegato IIB) (prestazioni erogabili a determinate condizioni cliniche), si è prevista la possibilità di erogazione a cittadini di altre Regioni, previo accordo bilaterale.

Le prestazioni indicate all’Allegato IIC (n. 48 Drg ad alto rischio di inappropriatezza se trattati con ricovero ordinario) rappresentano oltre 12 milioni di ricoveri per anno (pari al 25,78% di tutti i ricoveri tra day-hopsital e ricoveri ordinari; tra essi il 71,12% sono trattati in ricovero ordinario). La differenziazione tra Regioni è molto alta anche in tale campo: si pensi solo che variano sensibilmente gli indici di ammissibilità del ricovero ordinario fissati dalle singole Regioni per alcuni dei Drg dell’Allegato IIC, così come non sono assolutamente omogenei tra Regioni, pur a parità di peso medio dei Drg, gli indicatori di costo delle Aziende ospedaliere (costo medio per ricovero e per personale), gli indicatori di attività e quelli di struttura. Si segnala che la Regione Emilia-Romagna ha ritenuto altri 19 Drg, oltre a quelli ricompresi nell’allegato IIC, ad alto rischio di inappropriatezza.

In conclusione, l’obiettivo di una reale uniformità dei livelli essenziali di assistenza sanitaria su tutto il territorio regionale è lungo e difficile; allo scopo, è necessario prevedere sanzioni per l’inadempimento nell’erogazione dei l.e.a., quali una diminuzione del fondo di perequazione e meccanismi sostitutivi (art. 120, comma 2, Cost.).

Il Dott. Claudio De Giuli (dirigente generale del Ministero della Salute) ha relazionato su ‘I l.e.a. nel settore farmaceutico’, che trovano la loro fonte nel D.p.c.m. 29 novembre 2001. All’ Allegato I sono ricompresi nei livelli essenziali i farmaci inseriti nella classe A e quelli in regime di compartecipazione. All’Allegato II sono escluse dai l.e.a. le medicine alternative. In altri termini, è stata compiuta una ricognizione sulla normativa statale in materia di prestazioni a carico del S.s.n.

I quesiti da porsi sono cinque: 1) la normativa vigente garantisce un ampio parco di medicinali per un’ampia e vasta area di malattie?; 2) l’aggiornamento del prontuario è tempestivo?; 3) sono tutti giustificati i trattamenti differenziati?; 4) v’è uniformità di trattamento sui l.e.a.?; 5) come incidono i vincoli finanziari sulle politiche assistenziali?

La risposta alla prima domanda è positiva e trova una chiara e netta conferma all’art. 8, comma 10, legge n. 537 del 1993, che con la dizione ‘farmaci essenziali e per malattie croniche’ consente una copertura molto vasta. A ciò va aggiunto un decreto legge dell’ottobre 1996, che ha previsto l’erogazione gratuita dei medicinali non registrati laddove manchino alternative tra quelli registrati. Neanche l’eliminazione, con la legge finanziaria per il 2000, della fascia B contenente i farmaci in parte a carico dello Stato e in parte a carico del contribuente ha alterato nella sostanza tale situazione, dal momento che quasi tutti i farmaci di fascia B sono stati trasferiti in classe A. Il quadro positivo non è infine scalfito dalle episodiche sentenze del giudice ordinario, che, applicando direttamente l’art. 32 Cost., riconosce l’erogabilità a carico del S.s.n. di farmaci non ricompresi nel prontuario, disapplicandolo: di norma, si tratta infatti di farmaci indispensabili al caso concreto sottoposto all’attenzione del giudice.

Quanto alla seconda domanda, si deve dare risposta negativa. Se dal 1978 al 1993 l’aggiornamento è stato annuale, a partire dalla legge n. 537 del 1993 il momento di riferimento per l’aggiornamento o meno del prontuario è stato indicato nell’immissione in commercio del singolo farmaco nuovo. Tale principio, tuttavia, è stato via via scalfito allo scopo di diminuire la spesa farmaceutica: dapprima, il d.l. 15/4/2002 n. 63, all’articolo 3, comma 9-ter ha introdotto un lungo e complicato procedimento che vede protagonisti il Ministero della Salute (D.M.), la Ragioneria Generale dello Stato e la Conferenza Unificata Stato-Regioni e che fa passare mesi prima dell’aggiornamento. Il medesimo decreto ha inoltre riconosciuto alla Ragioneria Generale dello Stato la possibilità di diniego all’inserimento nel prontuario laddove si verifichino ‘costi aggiuntivi’, contraddicendo al principio che il luogo di decisione sia il Ministero della salute. Il d.l. 8 luglio 2002, n. 138, infine, ha riproposto il vecchio criterio annuale di aggiornamento.

Sui trattamenti differenziati, si deve sottolineare che una giustificazione è senz’altro rinvenibile laddove a monte vi siano ragioni sanitarie quali patologie e/o condizioni di salute (es. hanseniani, diabete mellito etc.), mentre si assiste ad una irragionevole rottura del sistema quando si prevede con norma statale l’erogazione gratuita dei farmaci di fascia C alla categoria degli invalidi di guerra.

Sulla quarta questione vengono senz’altro in rilievo i ticket regionali e la pratica del ‘delisting’ regionale (peraltro rimasta in vigore solo per 10 mesi): l’introduzione di ticket è parzialmente comprensibile; più grave è invece il ricorso al ‘delisting’. Nel complesso, ticket e ‘delisting’ inducono a ritenere l’assenza di un nocciolo duro statale dei l.e.a. nel settore farmaceutico.

Sul quinto problema, si segnala che le norme vigenti privilegiano un approccio economico-centrico rispetto ad una lettura ‘filosanitaria’ (prima i bisogni e poi le risorse). In realtà, non è sostenibile una posizione che pretende che i bisogni siano definiti prima delle risorse; ciononostante, è necessario che, una volta fissate le risorse, le decisioni siano prese nei luoghi giusti, esigenza questa che porta ad escludere l’intrusione del Ministero dell’economia e nelle finanze nelle decisioni relative all’erogazione dei farmaci.

Da ultimo, il Dott. De Giuli sottolinea le proprie perplessità non solo sul d.d.l. in materia di devolution, ma altresì sull’attuale testo degli articoli 117 e 118, che fa venir meno la corrispondenza tra potestà legislative e funzioni amministrative, interrogandosi sul motivo per il quale le sperimentazioni cliniche, tipico esempio di esigenza di esercizio unitario ex art. 118 che richiede disciplina di livello statale, debbano risultare oggetto di potestà legislativa concorrente (‘tutela della salute’).

La Dott.ssa Cermelli (direttore dei servizi alla persona del Comune di Genova) ha relazionato su ‘Il ruolo dell’ente locale’, presentando in anteprima i risultati di un gruppo di lavoro sull’assistenza socio-sanitaria, che evidenziano il ruolo di promozione ricoperto dall’ente locale e l’esigenza di concertazione paritaria con Asl e Regione. Ricollegandosi all’intervento della Dott.ssa Banchero, ha sottolineato come punto di criticità il rapporto tra l.e.a. sociale e l.e.a. sanitaria e la difficoltà di selezionare tra gli uni e gli altri. Nello specifico, ha evidenziato la differenza tra l’inserimento di una prestazione nei l.e.a. sanitaria – che crea un diritto soggettivo in capo al soggetto destinatario – o nei l.e.a. sociale – dove invece l’erogazione della prestazione è subordinata all’effettiva disponibilità di risorse da parte del Comune. Tra le linee guida cui il Comune di Genova intende attenersi, v’è la trasformazione della residenzialità in domiciliarietà. Inoltre, in applicazione del principio di sussidiarietà verticale, ha suggerito di trasferire dal livello comunale al livello regionale la fissazione della compartecipazione dei cittadini alle prestazioni erogate (ISEE). Ha infine auspicato la presenza di un soggetto di coordinamento nei passaggi tra i diversi livelli.

Sono poi intervenuti i competenti assessori regionali e comunali. Il Dott. Roberto Levaggi (Assessore alla sanità della Regione Liguria) ha evidenziato il mancato coordinamento delle diverse politiche di devolution che aggrava il problema delle risorse. Ha poi ricordato che l’importante passaggio dall’assistenza ospedaliera a quella territoriale fa diventare sempre più labile il confine tra sanitario e sociale, soprattutto in quelle categorie dove è più difficile distinguere (es. ultrasettantenni). Il fatto che la sanità non sia più ‘ospedalocentrica’ corrisponde ad un ribaltamento concettuale e culturale che deve ancora pienamente attuarsi e che richiede lo spostamento di risorse dall’ospedale al territorio. Conseguentemente, dividere le risorse tra ospedale, medico di famiglia, dipartimento, etc. significa anche compiere un’importante operazione di tipo sociale. Sul tema dell’appropriatezza, ha indicato la strada di giuste informazioni sul territorio, mentre su quello della compartecipazione alla spesa, si è detto disponibile all’emanazione di una legge regionale che detti criteri-guida uniformi ai Comuni, riproponendo il tema dell’esigenza di un tavolo comune. Sul versante dei vincoli ai direttori generali, ha richiamato l’attenzione su una lettura non solo economicistica (vincolo di budget) ma anche sanitaria (obiettivi di salute e attuazione dei l.e.a.).

Il Dott. Luigi Morgillo (Assessore alle politiche sociali della Regione Liguria) ha manifestato tutta la confusione degli amministratori regionali davanti al continuo mutamento (effettivo ed annunciato) del quadro normativo ordinario (es. decreto taglia-spese) e costituzionale. Alle difficoltà finanziarie, vengono così ad aggiungersi anche quelle normative. Ha sottolineato l’esigenza di coinvolgere maggiormente il terzo settore, e soprattutto la famiglia, vero e proprio erogatore di servizi sociali, mediante un sollievo anche economico.

A chiusura della sessione mattutina, il Dott. Paolo Veardo (Assessore alla città solidale del Comune di Genova) ha sottolineato la forte collaborazione tra enti ed il ruolo centrale del Sindaco in tal senso. Ha indicato come priorità le pianificazioni territoriali ed il superamento di una visione ‘sanitario-centrica’, attraverso una valorizzazione della salute come qualità della vita che guarda anche all’ambiente e alla mobilità, indicando la strada del Piano regolatore dei servizi sociali e convenendo sulla centralità della famiglia come risorsa umana e finanziaria. Ha sottolineato l’esigenza di approntare servizi alla persona competitivi sotto il profilo economico, riservando al momento pubblico un ruolo di regia. Ha infine auspicato l’istituzione di un fondo per non autosufficienti.

La seconda sessione è stata introdotta dal Prof. Fausto Cuocolo, che ha evidenziato la stretta connessione sussistente tra i livelli essenziali di assistenza di cui all’art.117, comma 2, lett. m) e la tutela della salute di cui all’art.117, comma 3: l’uno è infatti lo strumento per garantire l’altro, nel senso, che, nella determinazione dei l.e.a., vanno altresì tutelate anche le competenze di Regioni, Comuni, etc. In relazione alla tutela della salute come materia di potestà concorrente, ha pertanto richiamato la nota definizione del Crisafulli della potestà ripartita come ‘concorso vincolato di fonti’.

La sessione si è quindi aperta con la relazione del Prof. Angelo Mattioni (Università Cattolica del Sacro Cuore) sul tema ‘La ‘nuova’ competenza concorrente’, che è partita da una ricognizione sugli argomenti che fanno ritenere del tutto mutato il contesto costituzionale in cui essa si inserisce a seguito della legge cost. n. 3 del 2001. Tra essi: l’esplicita attribuzione alle Regioni di una potestà legislativa; la nuova natura di tale potestà legislativa, che ha pari rilevanza costituzionale ed è sottoposta agli stessi limiti di quella statale (arg. ex art. 117, comma 1); la potestà concorrente attribuita alle Regioni, nel rispetto dei principi fondamentali fissati con legge statale, dal comma 3 dell’art.117, che distribuisce la potestà tra le due fonti secondo un criterio di competenza; l’inversione del criterio di distribuzione della competenza, tanto che l’attributo di ‘competenza specializzata’ che Crisafulli riservava alle Regioni, può oggi essere riferito allo Stato; l’attribuzione di una potestà regolamentare generale alla Regione (art. 117, comma 6). Tali argomenti fanno ritenere che esista un principio di potestà normativa generale in capo alla Regione, in base alla quale spetta alle Regioni attribuire funzioni normative ai Comuni nelle materie di propria competenza. A riprova di tale conclusione, depongono le novità in punto di controllo della legge regionale, che non è più in itinere, ma solo ex post e solo per il vizio di competenza (nuovo art. 127 Cost.). Infine, si segnala anche la nuova procedura aggravata introdotta dall’art.11 della legge costituzionale n.3 del 2001, che, nelle materie di potestà concorrente, prevede il coinvolgimento della Commissione bicamerale per le questioni regionali integrata: il nuovo meccanismo è infatti un elemento che – a priori – tende a mettere al riparo da interferenze indebite la competenza regionale.

Il relatore si è poi domandato quale influenza potrà avere il nuovo contesto costituzionale sulla natura giuridica della potestà concorrente ed in particolare sul rapporto tra legislazione regionale e principi fondamentali statali, avanzando in astratto tre possibili soluzioni. La prima richiede una legge statale ad hoc che individui i principi fondamentali ed ha come corollari sia la non configurabilità della tesi dei principi impliciti, sia l’impedimento a legiferare in capo alla Regione in caso di assenza di legge-cornice. La seconda, che è poi la soluzione adottata a partire dal 1970, prevede una legge-cornice facoltativa, in assenza della quale la Regione può legiferare nel rispetto dei principi impliciti. La terza ipotesi prevede una legge ad hoc, ma in assenza di legge-cornice statale la Regione può legiferare senza tener conto dei limiti impliciti.

In concreto, la prima soluzione appare da respingere perché significherebbe un ritorno alla legge del 1953 e comporterebbe un’inversione del criterio di distribuzione della potestà normativa non in linea con il sistema come sopra ricostruito. Tale soluzione, vincolando l’attività legislativa regionale alla capacità del Governo di legiferare, individuerebbe il limite della legislazione regionale in una legislazione che è destinata a decadere, perché la competenza legislativa statale è in estinzione.

La seconda soluzione ritiene neutrale la riforma del Titolo V rispetto al previgente assetto. Tale conclusione è impropria in quanto in chiara contraddizione logica, posto che i due contesti costituzionali sono sistematicamente diversi. Le ragioni pratiche che hanno condotto la sent. cost. n. 282 del 2002 a dichiarare l’esistenza del limite dei principi impliciti sono senz’altro apprezzabili e doverose e vanno nella direzione di non nuocere al sistema nel suo complesso. Nella stessa decisione, peraltro, la Corte non manca di sottolineare che ciò vale nel periodo transitorio, aprendo un grave problema interpretativo, in quanto la legge cost. n. 3 del 2001 non lo individua specificamente.

Aderendo alla terza soluzione, la mancanza della legge cornice trasformerebbe la competenza concorrente in competenza esclusiva, caratteristica tipica degli ordinamenti federali (es. Germania, con l’avvertenza che in quell’ordinamento è la stessa Costituzione ad affermare che il limite dei principi fondamentali è eventuale ed opera alle condizioni espressamente previste dalla medesima). In Italia non c’è nulla di tutto questo, ma il nuovo ordinamento costituzionale potrebbe portare indirettamente ad abbracciare la terza soluzione, nel momento in cui si ammette che la legge cornice non può condizionare il concreto esercizio della potestà concorrente. I limiti impliciti, inoltre, sarebbero figli del vecchio contesto costituzionale, apparendo delegittimati nel nuovo assetto. Altro argomento ‘forte’ a favore di tale soluzione è il tenore letterale dell’articolo 117, comma 3 (‘salvo che per la determinazione dei principi fondamentali’), dal quale può evincersi la non permanenza dei limiti. E’ evidente che, in tale contesto, l’interpretazione letterale, unita a quella sistematica, ha una sua rilevanza. In ogni caso, sarebbe comunque necessario un periodo transitorio per il passaggio dal vecchio al nuovo assetto. Nel merito, è infatti possibile affermare che, se con legge ordinaria si provvedesse ad introdurre un periodo transitorio e poi si passasse ad abbracciare la terza opzione, la soluzione adottata sarebbe costituzionalmente sostenibile. Aderendo a tale prospettiva, il d.d.l. La Loggia finalizzato a delegare il Governo ad una ricognizione dei principi, in violazione dell’art. 76 Cost., perderebbe gran parte del suo significato. Possibili ‘correttivi’ potrebbero rinvenirsi: nella non coincidenza tra ‘principi fondamentali’ (criterio assoluto) e ‘principi generali dell’ordinamento’ (criterio relativo), anche se in assenza di una legge cornice il confine diviene molto labile; nell’esigenza di unità giuridica ed economica, richiamata da alcune disposizioni costituzionali; nella efficacia della legge-cornice sopravvenuta sulla legislazione regionale nel frattempo approvata (problema contemplato, anche se in modo erroneo, dall’art.10 della legge n.62 del 1953). Il Prof. Mattioni, non nascondendo dubbi e perplessità sull’esito proposto, ribadisce che il formalismo non deve mai prevalere sulle esigenze di governo razionale del sistema.

Concentrando l’attenzione sul settore sanitario, si rileva il mutamento nella dizione della materia, che da ‘assistenza sanitaria e ospedaliera’ è divenuta ‘tutela della salute’, con una piena coincidenza all’art. 32 Cost., trattandosi di una competenza ordinamentale, come evidenziato dalla legge n. 833 del 1978 (che per certi versi, del tutto legittimamente, è andata oltre le previsioni della prima parte della Costituzione). Ciò comporta un’estensione della materia di competenza concorrente: prima del 2001, infatti, una parte di materia così come individuata dall’art. 117 (‘assistenza sanitaria e ospedaliera’) era di competenza regionale concorrente, mentre la restante (‘tutela della salute’) apparteneva alla competenza legislativa dello Stato. Ora, invece, non c’è più spazio per la competenza legislativa esclusiva statale.

In relazione al progetto di devolution, si ricorda che esso prevede di assegnare l’assistenza e l’organizzazione sanitaria alla potestà esclusiva regionale: alle Regioni verrebbe così ad essere riconosciuta una competenza esclusiva più limitata della tutela della salute, che si troverebbe ad essere collocata in parte nella potestà concorrente ed in parte nella potestà esclusiva regionale. Il nuovo riparto, tuttavia, non riguarda la prima parte della Costituzione, per cui l’art. 32 Cost. è destinato a rimanere com’è. Viceversa, i principi fondamentali interesserebbero solo le competenze non devolute. V’è da domandarsi, perciò, se tale progetto incida sull’organizzazione, sul regime giuridico di una materia-compito quale è la ‘tutela della salute’ di cui è titolare la Repubblica (art. 32 Cost.). Il nesso tra art. 117 e art. 32 Cost., lasciando intravedere la presenza di principi fondamentali inalienabili e necessitati, porterebbe pertanto ad ipotizzare un regime giuridico particolare per questa specifica competenza legislativa concorrente.

Con riferimento alla disposizione relativa al raccordo con i l.e.a., il relatore si interroga su cosa siano i principi fondamentali al di fuori dei l.e.a. In altri termini, si interroga se sia ancora concepibile un impianto programmatorio e se esso configuri un principio fondamentale della materia. Senza dubbio, alcuni principi fondamentali tutt’oggi ricavabili dalla legislazione vigente appaiono tali anche nel nuovo assetto in quanto ‘serventi’ rispetto ai l.e.a.; tra essi, può farsi rientrare la funzione di programmazione (in tal senso sembra deporre il progetto di Piano Sanitario Nazionale che il Governo attualmente in carica ha predisposto).

Quanto al d.d.l. La Loggia e al suo impatto nel settore sanitario, la domanda da porsi è se alcuni principi-base dell’attuale S.s.n. non siano ricavabili direttamente dalle disposizioni costituzionali: si pensi al principio di universalità (art. 3 comma 2, Cost.); alla valorizzazione delle formazioni sociali (artt. 2 e 118, ult. comma, Cost); al principio di eguaglianza nella erogazione e fruizione del diritto alla salute (artt. 3 e 32 Cost.).

In conclusione, l’intreccio con i principi costituzionali della prima parte della Costituzione consente di teorizzare una ‘specialità’ del settore sanitario, che può esplicare effetti anche a livello del regime giuridico della materia di competenza concorrente ‘tutela della salute’.

La seconda sessione è continuata con le comunicazioni programmate, brevi interventi volti ad anticipare alcuni spunti di riflessione che saranno poi approfonditi in sede di pubblicazione degli atti del Convegno. Sono intervenuti dapprima i Prof.ri Matteo Cosulich e Giorgio Grasso, che hanno proposto una riflessione sull’intersezione tra tutela dell’ambiente e tutela della salute come modo per far salva una potestà concorrente regionale in materia ambientale. Il Prof. Cosulich  ricorda che, nel progetto originario di riforma costituzionale del Titolo V, la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema era inclusa tra le materie di potestà concorrente. La diversa allocazione della materia ambientale non può ovviamente essere priva di significato, ma ritiene comunque sostenibile la tesi che, evidenziando la stretta connessione tra tutela della salute e tutela dell’ambiente, tende a valorizzare la potestà legislativa regionale in materia ambientale laddove non vi sia una chiara interpretazione sul riparto di competenze. A sostegno della tesi proposta, il Prof. Grasso propone una triplice verifica fondata sulle argomentazioni dottrinali, sulla giurisprudenza costituzionale e sulla legislazione in materia di ambiente successiva alla riforma del Titolo V della Costituzione. In relazione alle argomentazioni dottrinali, evidenzia come tutta la dottrina abbia cercato di far salvo un ruolo regionale nella tutela dell’ambiente. Anche la giurisprudenza ha in qualche modo confermato la sussistenza di una competenza regionale in materia ambientale, come confermato dalle sent. della Corte Costituzionale n.407 e 536 del 2002. Infine, analizzando la legislazione regionale, evidenzia come le Regioni abbiano continuato ad intervenire in materia ambientale come se la riforma del Titolo V non fosse mai stata approvata. Nello specifico, è possibile individuare una triplice categoria di fonti regionali in materia di tutela dell’ambiente: in primo luogo, le fonti che ricadono sia sotto la tutela dell’ambiente che sotto la tutela della salute (rientrano in questa categoria le leggi regionali in materia di elettrosmog); in secondo luogo, le fonti in cui si rilevano profili solo di tutela ambientale, non anche di tutela sanitaria (come le leggi sulla tutela delle acque; in questa categoria risulta più difficile difendere la legislazione regionale); infine, le leggi intervenute in quei settori ambientali non ancora disciplinati da fonti dello Stato (come la legge delle Marche sull’inquinamento luminoso).  Per le ulteriori argomentazioni a sostegno della tesi proposta, i relatori rinviano agli atti del Convegno.

E’ quindi intervenuto il Dott. Lorenzo Cuocolo, che ha sollecitato una riflessione sulla tecnica legislativa utilizzata nella definizione dei livelli essenziali di assistenza. Interrogandosi sulla possibilità di individuare nel secondo comma dell’art.117 una riserva di legge, pone il quesito sull’appropriatezza del D.P.C.M. come strumento normativo di definizione dei l.e.a., almeno fino alla legge finanziaria 2003, che ha in qualche misura attribuito valore di legge al citato D.P.C.M. 29 novembre 2001. Lo stesso Consiglio di Stato sembra infatti aver escluso una regolamentazione dei livelli essenziali di assistenza con fonte di grado non primario. Osserva come sia innanzitutto necessario riconoscere che quella dell’art.117, comma 2 non può rappresentare una riserva di legge assoluta, perché nelle materie di cui all’art.117, comma 2 è riconosciuta allo Stato una potestà regolamentare. Tralascia, rinviandola agli atti del Convegno, la questione sulla rilevanza della riserva di legge esclusivamente in riferimento alle ‘materie’, mentre quella dei livelli essenziali di assistenza non sarebbe propriamente una materia, ma una disciplina trasversale. Ad ogni modo, è opportuno cogliere in primo luogo la distinzione tra l.e.a e principi fondamentali (i l.e.a. rappresentano infatti uno strumento per garantire l’interesse nazionale), che nel principio di ragionevolezza ha trovato il suo criterio di discrimine. In secondo luogo, è importante evidenziare anche la differenza tra la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e la determinazione delle prestazioni vere e proprie: la prima mira infatti alla stabilità, la seconda no. Si ritiene pertanto opportuna l’adozione di due diversi strumenti di regolamentazione.

La sessione è proseguita con l’intervento del Dott. Enrico Menichetti, che, riflettendo sul rapporto tra l’art.117 Cost. e l’art.118 Cost., si è domandato a chi spetti decidere quali funzioni in ambito amministrativo siano tali da richiedere un esercizio a livello unitario. La tesi maggiormente condivisa è che spetta al titolare della potestà legislativa decidere sul livello di allocazione delle potestà amministrative. I criteri da utilizzare ai fini di tale allocazione sono quelli di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’art.118, comma 1, che sono da intendersi come meri criteri. L’unico vero principio che giustifica una allocazione della funzione amministrativa diversa dal livello comunale è infatti quello delle esigenze unitarie. Si sofferma quindi ad approfondire il tema degli strumenti di compartecipazione applicabili ai fini della determinazione del livello ottimale di esercizio delle funzioni. Un primo strumento è indubbiamente quello degli accordi previsti dall’art.4 della legge n.281 del 1997, che coinvolgono Governo, Regioni e Province Autonome. Un secondo strumento va invece individuato nel metodo aperto di coordinamento, comunemente utilizzato a livello comunitario: tale metodo di compartecipazione è infatti fondato sulla condivisione delle buone prassi ed è pertanto ottimale in un contesto caratterizzato da una profonda differenziazione dei modelli organizzativi. In conclusione, si evidenzia che nel Titolo V un riferimento alle esigenze di compartecipazione è rappresentato dal principio di leale collaborazione.

Sul tema specifico del diritto alla salute nella sentenza della Corte Costituzionale n.282 del 2002, è intervenuta la Prof.ssa Donatella Morana, che ha richiamato alcuni principi sanciti nella sent. n.282 per fare chiarezza sul rapporto tra diritto alla salute, l.e.a. e principi fondamentali in materia di tutela della salute nel nuovo Titolo V Cost. In riferimento alla lett. m) dell’art.117, secondo comma della Costituzione, che fa riferimento alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, e’ innanzitutto necessario specificare l’effettiva portata dell’espressione ‘diritti civili e sociali’. Quest’ultima, infatti, non riguarda esclusivamente quei diritti elencati rispettivamente al Titolo I e II della prima parte della Costituzione, perché anche nei rapporti economici deve essere riconosciuta ai cittadini la titolarità di diritti rilevanti ai fini della citata lett. m) dell’art.117, comma 2. Nei diritti civili e sociali, rientra comunque il diritto alla salute. Nello specifico, evidenzia che il diritto alla salute, come specificato anche nella sent. 282 del 2002, presenta un duplice volto: da una parte, il diritto alla salute va inteso in senso negativo come diritto di libertà; dall’altra parte, invece, il diritto alla salute rileva anche come richiesta di prestazioni allo Stato e quindi come diritto in senso positivo. A questo proposito, sottolinea che i livelli essenziali di assistenza riguardano esclusivamente il diritto alla salute come prestazione, non anche come libertà. Si interroga pertanto se lo spazio per i principi fondamentali cui si è fatto riferimento anche negli interventi precedenti non debba rinvenirsi proprio nel diritto alla salute come diritto di libertà, dal momento che, sotto il profilo delle prestazioni, il diritto in questione risulterebbe ampiamente ricompreso nei livelli essenziali di assistenza di cui all’art.117, comma 2, lett. m). Rinvia quindi agli atti del convegno per un compiuto approfondimento della tematica.

La Dott.ssa Arianna Pitino è intervenuta con una comunicazione sulle previsioni in materia di diritto alla salute rinvenibili nell’ordinamento dell’Unione Europea. Le due previsioni di riferimento devono essere individuate nell’art.152 del Trattato che istituisce la Comunità Europea e nell’art.35 della Carta dei diritti fondamentali di Nizza. L’art. 152 del Trattato prevede che, nella definizione delle politiche comunitarie, sia garantito un elevato livello di protezione della salute umana. Sempre nel medesimo articolo si prevede altresì che l’azione della Comunità sia indirizzata al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all’eliminazione delle fonti di pericolo per la salute umana. Al secondo comma dell’art.152, si esplicita che è compito della Comunità incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri nel settore della sanità, appoggiando, qualora necessario, la loro azione. Per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, l’art.35 prevede esplicitamente che ogni individuo ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione ed attuazione delle politiche e delle attività dell’Unione, deve pertanto essere garantito un elevato livello di protezione della salute umana. Rinviando al contributo scritto l’ulteriore approfondimento della questione, evidenzia che è importante tenere presente che, al di là del livello nazionale, il diritto alla salute  trova una specifica collocazione ed un esplicito riconoscimento anche nell’ordinamento comunitario.

Infine, conclude la seconda sessione la comunicazione del Dott.Zuddas, che, intervenendo in tema di integrazione socio- sanitaria, ha svolto alcune considerazioni scaturenti dall’analisi dei ricorsi giurisdizionali avverso il DPCM sui livelli essenziali di assistenza che sono stati presentati nel corso del 2002. Nello specifico, evidenzia specifici profili di incongruenza dell’allegato 1c del decreto rispetto alla disciplina dei livelli essenziali di assistenza in materia socio-sanitaria, delineata nella legislazione che si è andata consolidando nel tempo a partire dalla legge 833 del 1978.

La terza sessione ha messo a fuoco il progetto di devolution dell”assistenza e organizzazione sanitaria’ oggetto di una tavola rotonda. Il Prof. Guido Carpani (Università Cattolica del Sacro Cuore) ha analizzato la portata letterale e sistematica del comma 4-bis, domandandosi se la devolution intacchi la competenza legislativa esclusiva statale di cui al comma 2 dell’art. 117 e quali siano i rapporti ed i confini con le altre due tipologie di potestà legislativa (commi 3 e 4, art. 117). Preannuncia, riservandosi di approfondire la questione in un secondo momento, che in parte la lett. m) viene intaccata dalla nuova attribuzione di competenza. Ritiene di interpretare il termine ‘attivano’ presente nel d.d.l. come facoltà attribuita alle regioni, piuttosto che obbligo, in quanto fino alla legge n.59 del 1997 l’inattività delle assemblee legislative non è mai stata sanzionata e in quanto nel testo attualmente in esame non è prevista alcuna sanzione in caso di inerzia. Si domanda, poi, se è richiesto un atto formale per tale attivazione (es. previsione statutaria) oppure se sarà sufficiente una legge regionale che si autodefinisca tale. Si domanda quindi quale tipo di competenza possa rappresentare la potestà esclusiva attribuita alle Regioni dalla devolution; evidenzia che esiste un unico precedente, nel caso delle Regioni a statuto speciale, ma in quell’ipotesi si rinviene il limite espresso delle riforme economico-sociali e dei principi generali dell’ordinamento.

L’utilizzo del termine ‘competenza esclusiva’ fa pendant con il comma 2 dell’art. 117, ma sembra dimenticare che già esiste altra via (art. 116, comma 3) per ottenere ulteriori forme e particolari condizioni di autonomia in tutte le materie di competenza legislativa concorrente, con un procedimento che vede una forte presenza del Parlamento, ed esplicita il necessario nesso tra ulteriori attribuzioni e risorse (richiamo dell’art. 119). Si interroga se gli obiettivi del d.d.l. Bossi siano proprio l’assenza di intermediazione legislativa statale (qualificata) ed il mancato rispetto dei principi dell’art. 119? Si evidenzia che la strada individuata nell’art.116 teneva in debita considerazione gli enti locali, che ora invece vengono ad essere totalmente scavalcati. Si richiama quindi il percorso evolutivo delle riforme sanitarie, a partire dalla legge 833 del 1978 (che riconosceva numerose competenze ai Comuni), seguita dal d.lgs. n.502 del 1992 (che fa uscire di scena i Comuni) e dal d.lgs. n.229 del 1999 (che, in qualche misura, cerca di far rientrare i Comuni nel governo della sanità). La tendenza evidenziata avrebbe potuto trovare il suo completamento nel nuovo art.116 della Costituzione, che avrebbe definitivamente sancito un nuovo ruolo dei Comuni nella gestione della sanità.

In realtà, si evidenzia come il federalismo tenda a fondarsi sempre di meno sul riparto di competenze. A tutt’oggi il Parlamento italiano deve ancora accorgersi della riforma del Titolo V della Cost., in quanto continua a finanziare e quindi a legiferare nelle singole materie a prescindere dalla formale intestazione. Ciò fa ritenere determinante la costruzione di un sistema di finanziamento dell’autonomia regionale.

Interpretando letteralmente la materia oggetto di devoluzione (‘assistenza e organizzazione sanitaria’), evidenzia che l’utilizzo dell’aggettivo ‘sanitaria’ al singolare può farla ritenere collegata al solo sostantivo ‘organizzazione’ e non a quello ‘assistenza’, con la conseguenza che quest’ultima non sarebbe solo quella sanitaria.

Uno degli snodi interpretativi è costituito dal rapporto del progetto di devolution con il comma 2, art. 117. Sino ad oggi il legislatore statale ha ritenuto di prevedere vincoli nell’organizzazione del servizio sanitario come vero e proprio metodo (cfr. anche la legge finanziaria per il 2003 che, incidendo profondamente sul rapporto fiduciario Regione / manager, penalizza le regioni che non prevedano la decadenza automatica del direttore generale dell’azienda sanitaria laddove non rispetti il budget assegnato). Si tratta di un metodo perseguito a ‘fini nobili’, perché è proprio attraverso le norme di tipo organizzativo che lo Stato ha cercato di consentire alle Regioni un ordinato svolgimento delle loro competenze. Una possibile lettura potrebbe essere che il prospettato comma 4-bis andrebbe ad impedire allo Stato, nell’esercizio della propria potestà legislativa esclusiva, ed in particolare nella determinazione dei l.e.a. (art. 117, comma 2, lett. m), di intaccare il livello organizzativo.

La Prof.ssa Barbara Pezzini (Università di Bergamo) preliminarmente contesta l’utilizzo del termine ‘devolution’ che ha ben pochi significati anche nel diritto comparato. Passa poi ad esaminare l’utilizzo del termine ‘competenza esclusiva’ che, a differenza del comma 4, viene utilizzato nel progetto di comma 4-bis, ritenendo che, se le due potestà fossero coincidenti, non vi sarebbe stato bisogno di specificare. La vera questione è se la neo-potestà esclusiva regionale di cui al comma 4-bis si sottrae ai limiti del trasversali del comma 2 dell’art. 117. Considerando imprescindibile la ratio di unità, si può ritenere che il comma 2, art. 117 non sia ne’ suppletivo, ne’ cedevole e che il previsto comma 4-bis sia invece facoltativo ed asimmetrico (differenziabile). In tale prospettiva, il comma 4-bis costituisce un diverso genus dell’art. 116, comma 3, piuttosto che dell’art. 117, comma 4.

Nel dibattito sul d.d.l. Bossi (e nella stessa relazione illustrativa), aleggia un’interpretazione secondo cui esso costituirebbe una riforma dal basso, a fronte della riforma dall’alto prevista dall’art. 116, comma 3 Cost. In realtà, il binomio di riferimento è tra differenziazione concordata e completa (art. 116 comma 3) e differenziazione unilaterale e non concordata (progetto comma 4-bis, art. 117). Quest’ultimo, nello specifico, appare dilatorio e senza elementi di garanzia quanto alla programmazione finanziaria: l’unilateralità, infatti, sussisterebbe esclusivamente nella fase di attivazione, mentre nella fase successiva non si potrebbe fare a meno della concertazione, soprattutto in riferimento ai profili finanziari. La strada preferibile è pertanto sicuramente quella indicata dall’art.116 Cost.

Il rapporto tra comma 4-bis e comma 3 dell’art. 117 sta nel fatto che il progetto del primo compie dei ritagli che non saranno più soggetti ai principi fondamentali. V’è da segnalare che circola una tesi (sostenuta dalle Regioni ricorrenti davanti alla Corte nelle controversie che hanno condotto alla pronuncia n. 510 del 2002) che ritiene che le materie ‘assistenza e organizzazione sanitaria’ siano già oggi di competenza legislativa regionale residuale (comma 4, art. 117). La Corte, peraltro, non solo non ha aderito a tale prospettazione, ma dovrebbe riconoscere la trasversalità della materia-compito ‘tutela della salute’, tenendo fermi gli approdi della propria decisione n. 245 del 1984, laddove evidenziava la specificità della materia dell’assistenza.

Sul punto della vocazione nazionale del settore sanitario, bisogna interrogarsi se lo smantellamento del S.s.n. costituisca una conseguenza invitabile o se lo stesso S.s.n. non sia un limite. Senza dubbio gli articoli 3, comma 2 e 32 Cost. costituiscono dei vincoli; tutto sta a verificare se i due cardini del S.s.n. (accesso universalistico e finanziamento attraverso la fiscalità generale) possano essere oggetto di discrezionalità politica e perciò di differenziazione.

Il Dott. Franco Toniolo (coordinatore tecnico sanità Conferenza Presidenti Regionali) ha ricostruito con un rapido excursus storico l’evoluzione dell’assistenza sanitaria nel nostro paese, dalla legge istitutiva del S.s.n. n. 833 del 1978, all’introduzione di elementi di aziendalizzazione con il d.lgs. 502 del 1992 e poi con il d.lgs. 229 del 1999, al federalismo fiscale (d.lgs. n. 56 del 2000), sino alla riforma costituzionale del 2001 (legge cost. n. 3). Tale evoluzione, e in particolare l’ultimo approdo, appaiono sostanzialmente coerenti con il processo pluridecennale che ha tenuto fermi i punti qualificanti della riforma sanitaria del 1978.

Nel rinnovato assetto, la dimensione nazionale non è più necessariamente statale, bensì interregionale, come dimostrano il d.l. n. 347 del 2001 e gli accordi del 3 agosto 2000 e dell’8 agosto 2001 in Conferenza Unificata Stato-Regioni, ‘ratificati’ da Governo e Parlamento. Si noti che proprio in sede pattizia sono nati i l.e.a., che per Cost. apparterrebbero alla competenza legislativa esclusiva statale e che sono stati approvati previa intesa, a sua volta preceduta da accordo nella stessa sede.

Ci si chiede se con la devolution si vada ad una definitiva sistemazione del settore. Senz’altro non si tratta di una novità così dirompente, risultando devoluti solo l’assistenza e l’organizzazione sanitaria.  Inoltre, si tratterebbe dell’effettiva attuazione del Titolo V, se è vero che fino ad oggi il Parlamento non se ne è praticamente accorto.

La Prof.ssa Lorenza Violini (Università di Pavia) evidenzia la tensione tra uniformità e solidarietà che verrebbe a crearsi con l’approvazione del progetto di devolution. Richiamando il pensiero di Gianfranco Mor, sottolinea che le ansie e le contraddizioni che accompagnano tale progetto sono le stesse che sin dal 1978 hanno accompagnato la regolamentazione della sanità italiana: da un lato l’aspirazione di garantire la salute di tutti i cittadini; dall’altro l’esigenza di valorizzare l’autonomia regionale. Sottolinea che i costi crescenti in sanità sono un problema irrisolto e che tendenzialmente si andrà verso sistemi flessibili in cui vi sarà poca Unione europea e poco Stato.

Passa poi ad esaminare le costanti e le variabili del sistema: tra le prime, le risorse, il personale, la ricerca, i farmaci e, con qualche dubbio, gli accreditamenti e gli acquisti; tra le seconde, evidenzia l’impossibilità di colmare il gap tra regioni ricche e regioni meno ricche.

Quanto al d.d.l. Bossi, sottolinea che la dizione della materia devoluta sembra derivare dall’art. 117 vecchia versione. Al di là dei proclami della relazione illustrativa, secondo la quale non viene intaccato il d.lgs. n. 112 del 1998, si interroga su cosa possa essere effettivamente devoluto, considerando che l’art. 32 Cost. rimane invariato e con esso la giurisprudenza della Corte che lo valorizza. Si potrebbe ipotizzare che la disciplina del personale passi alla competenza legislativa regionale, ma si tratta comunque di scelta di politica del diritto.

È poi intervenuto nel dibattito il Prof. Umberto Allegretti (Università di Firenze) che ha ribadito che il comma 2 dell’articolo 117 non viene toccato dal progetto di comma 4-bis, in quanto il primo sta alla base dell’unità dei diritti. Ha poi sottolineato l’esigenza di non confondere i livelli essenziali con quelli minimi, in quanto l’essenzialità è da riferirsi al nucleo essenziale dei diritti, alla consistenza costituzionale dei singoli diritti che costituisce il limite all’arbitrio della politica.  Inoltre, evidenzia che il nucleo essenziale dei diritti è variabile e che andrebbe via via incorporato nei l.e.a., richiamando la scienza giuridica e gli operatori di settore ad individuare, materia per materia, tali contenuti essenziali, così da riempire di contenuti il giudizio di ragionevolezza della Corte costituzionale che non può rimanerne unica depositaria.

Quanto alla competenza sulla determinazione dei l.e.a., sottolinea che lo Stato non basta più e che un ruolo nella fissazione di standard potrebbe giocarlo l’Unione europea, attraverso la clausola della cittadinanza europea. Se così fosse, si unificherebbe il luogo di decisione delle competenze economiche e di quelle sociali.

Ha concluso i lavori il Prof. Balduzzi (Università di Genova), evidenziando che il settore sanitario è caratterizzato da una dialettica forte sul modello di sistema, che tuttavia coinvolge solo gli esperti, ed auspicando un ampio dibattito pubblico (come ad es. in Canada, dove sul sistema sanitario si vincono o perdono le elezioni). Quanto ai dati sull’effettività del sistema, è necessario sia un controllo statale su di essi, sia un obbligo di fairness da parte delle Regioni. Il S.s.n. oscilla tra innovazione e stabilità, anche se le sopravvenienze normative citate dal Dott. De Giuli non lasciano ben sperare, prevalendo una logica meramente economicistica. Quanto al rapporto pubblico-privato, v’è da valorizzare il ruolo delle famiglie, evitando il più possibile le ‘tragiche alternative’. Quanto al rapporto tra principi e dettaglio, le novità in materia di potestà legislativa concorrente e le sue ricadute in sanità sono state evidenziate dalla raffinata ricostruzione del Prof. Mattioni. Dalle relazioni sono emerse condivisibili critiche al d.d.l. La Loggia, che sarà legge tra qualche giorno, e l’esigenza di interpretazioni secundum costitutionem. Sui l.e.a. non è accettabile una delegificazione senza regole, essendovi limiti costituzionali che impongono lo strumento della legge. Quanto al progetto di devolution, si è di fronte alla politicità pura, essendo davvero incredibile che tanti dubbi e contraddizioni a livello giuridico possano concentrarsi in così poche righe. Per rispondere alla domanda se si tratti di un progetto stravolgente, bisognerebbe distinguere due ipotesi. Se la legislazione esclusiva regionale che si vuole introdurre è la stessa cosa della legislazione regionale residuale, l’organizzazione sanitaria oggi è da considerarsi esclusa dalla potestà regionale. Se invece i due tipi non coincidono, vi sarebbe il rischio di toccare la lett. m), comma 2, art. 117.


Lorenzo Cuocolo, Elena Griglio ed Enrico Menichetti