La semplificazione del linguaggio amministrativo: alcuni spunti di riflessione sulla recente direttiva dell’8 maggio 2002

13.02.2003

Il “burocratese”, il ricorso dell’amministrazione pubblica ad un linguaggio oscuro e non di rado esoterico, è un fenomeno ben presente al cittadino che almeno una volta nella vita è costretto – suo malgrado – a misurarvisi. Tuttavia, come spesso accade davanti ai fenomeni diffusi e fortemente connotati, dopo qualche invettiva iniziale, l’atteggiamento tipico del cittadino è la rassegnazione, perchè tutto sommato il mondo va così; e la consolazione che “aver compagni al duol scema la pena”.
Naturalmente non sempre questo avviene: in particolare, gli operatori economici constatano con evidenza come l’oscurità del linguaggio amministrativo è causa di ritardi, di inefficienze e quindi di costi che, in ultima analisi, riducono la competitività del sistema rispetto ad altri Paesi dotati di una pubblica amministrazione meno farraginosa e più user friendly. D’altra parte, il comune cittadino è sempre meno disposto ad impiegare tempo e risorse preziose per “disbrigare le pratiche” e considera sempre più come ‘cattiva pratica’ lo stile di una comunicazione mediocre proprio di alcune amministrazioni.
Non si può dire, tuttavia, che l’Amministrazione sia rimasta inerte: nell’ultimo decennio il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha interpretato molto attivamente il ruolo di motore propulsore delle riforme per l’Amministrazione, ricoprendo spazi prima inesplorati.
In particolare, il Dipartimento ha avviato i primi progetti di ricerca  per la semplificazione del linguaggio amministrativo fin dai primi anni ’90, su impulso dell’allora Ministro della Funzione Pubblica Sabino Cassese nonchè del prof. Tullio De Mauro, per gli aspetti più squisitamente linguistici.
Bisognerà aspettare il 1993 per avere il “Codice di stile per le comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche”: un primo studio organico sul linguaggio e sullo stile degli uffici pubblici, utilizzati nei confronti del cittadino. Tale lavoro nasce nell’ambito “di una più ampia riflessione sull’attuazione della Legge 7 agosto 1990, n. 241” che di fatto annovera fra i suoi “principi ispiratori la pubblicità (o conoscibilità) dell’azione amministrativa ed il diritto di accesso, entrambi di grande rilievo per la qualità dei rapporti tra pubbliche amministrazioni e cittadini” .
Il codice di stile prende atto che la complessità del linguaggio amministrativo è in parte inevitabile e speculare alla complessità delle grandi burocrazie ed alla dimensione delle società moderne. Tuttavia, per la prima volta, in una prospettiva istituzionale, si riconosce che “perché uno Stato possa dirsi veramente democratico, il suo linguaggio dovrà essere più possibile semplice, chiaro e non troppo lontano dalla lingua comune” in quanto “per una reale trasparenza e accessibilità –ovvero per una reale democraticità dell’agire amministrativo – è indispensabile semplificare ed unificare il linguaggio” .
L’analisi di tipo linguistico svolta fa luce su quei caratteri  che rendono il linguaggio amministrativo “il terrore semantico, cioè la fuga di fronte ad ogni vocabolo che abbia di per sé stesso un significato” , e si rivela indispensabile per individuare i criteri ed i suggerimenti linguistici per la semplificazione dei testi.
L’esperienza di ricerca condotta negli anni seguenti presso il Dipartimento della Funzione Pubblica ha portato alla realizzazione di un manuale di stile : un agile volume che raccoglie le regole per aiutare le amministrazioni a comunicare meglio con i cittadini. Il Manuale è suddiviso in tre parti: la Guida alla redazione dei documenti amministrativi (che indica una serie di regole per la costruzione delle frasi e per l’uso delle parole, oltre che alcune regole per l’organizzazione del testo); la Guida alle parole della pubblica amministrazione (un vocabolario con cui “si sciolgono” 500 termini amministrativi nel linguaggio comune); e la Guida all’impaginazione dei documenti amministrativi (che fornisce criteri di tipo grafico ed esempi per impostare un documento).
Anche negli ultimi mesi, la lotta al “burocratese” ha ripreso nuovo vigore con il ministro Franco Frattini il quale, in primo luogo, ha emanato la Direttiva sulla semplificazione del linguaggio amministrativo ; inoltre, ha promosso la creazione di un’unità di staff, presso il Dipartimento della Funzione Pubblica, con lo scopo   di diffondere le tecniche di semplificazione e di realizzare un sito web attraverso cui offrire consulenza diretta per riscrivere gli atti ed i documenti delle amministrazioni.
Il progetto di ricerca che è conosciuto con il nome di “Progetto chiaro!” cura, fra l’altro, l’organizzazione di un premio per l’amministrazione che dia prova di recepire al meglio i criteri di redazione contenuti nella Direttiva.
Il Premio, cui hanno aderito già 500 amministrazioni da tutta Italia con i loro rispettivi atti amministrativi, consentirà inoltre, di ottenere dati preziosi, ad esempio, circa il tasso di leggibilità, di concentrazione di tecnicismi ed esotismi, ma anche circa la congruità del linguaggio alla tipologia giuridica dell’atto; la corrispondenza fra il nomen iuris e l’atto…e molti altri dati che costituiranno la base per una riflessione complessiva sull’efficacia comunicativa degli atti amministrativi e sui limiti della semplificazione che non è possibile superare se non al costo di rendere gli atti illegittimi.
Questa esperienza sarà profusa in un nuovo manuale di stile degli atti amministrativi dedicato ai documenti a forte contenuto giuridico.

Per quanto riguarda la Direttiva dell’8 maggio 2002, il dato fortemente innovativo nella recente esperienza del Dipartimento della funzione Pubblica è dato proprio dall’emanazione di un atto di indirizzo con cui il Ministro della Funzione Pubblica, per la prima volta, ha prescritto una serie di criteri  cui tutte le amministrazioni devono attenersi nella redazione degli atti amministrativi.
In una prima parte, si fissano le regole di comunicazione e struttura giuridica del testo; in una seconda, si determinano le regole di tipo linguistico e grafico per ottenere un testo “chiaro”.
Con riferimento ai profili di struttura logico-giuridica – che a noi più interessano –  si rileva come la Direttiva, da un lato, insiste sul fatto che l’Amministrazione deve sempre tenere conto del destinatario nella formulazione del messaggio principale. In particolare, si specifica che “bisogna sapere a chi è destinato e chi lo leggerà” sapendo che “quando i documenti sono indirizzati a gruppi eterogenei di persone bisogna pensare al lettore meno istruito”.
Sotto un altro profilo, la Direttiva presta un’attenzione particolare al focus dell’informazione, alla “decisione che è stata presa” , alla relativa motivazione se dovuta, ed all’oggetto.
In particolare, con riferimento a quest’ultimo aspetto, si rileva come la Direttiva introduca un forte elemento di discontinuità rispetto alla struttura tradizionale che – com’è noto – prevedeva nell’ordine,  l’indicazione dell’autorità da cui l’atto promana; il preambolo dove sta quel “ richiamo delle norme di legge o di regolamento, in base alle quali il provvedimento viene emanato: le attestazioni relative agli atti che devono precedere il provvedimento e all’osservanza delle forme procedurali obbligatorie, soprattutto degli accertamenti tecnici e dei pareri….(la cui omissione) costituisce irregolarità formale del provvedimento” ; la motivazione con “l’esposizione delle considerazioni di ordine giuridico, tecnico ed amministrativo, che giustificano l’emanazione del provvedimento o in base alle quali la volontà dell’amministrazione si è determinata” ; infine il dispositivo e la sottoscrizione.
Tale struttura dell’atto in forma tradizionale rispondeva ad un ordine logico di tipo sillogistico aristotelico – in cui si potrebbe dire che la legge assorbe il diritto –   ed è incredibilmente lontana dalla logica giuridica che è di tipo dialettico ed argomentativo .
L’impostazione tradizionale degli atti giuridici, che è a struttura piramidale, va ricondotta con larga probabilità allo storico allontanamento del diritto amministrativo continentale dal ceppo originario di diritto comune: per cui i provvedimenti amministrativi lungi dal rivestire la forma dell’attività di iuris dicere, e quindi dal trovare soluzioni tenendo presente il pubblico interesse, sono espressione dell’applicazione sillogistica del potere del sovrano prima, e della legge poi.
Tuttavia, essendo ormai tutti concordi nel considerare l’azione della pubblica amministrazione come funzionale  alle posizioni soggettive del cittadino, più di un’incrostazione storica è destinata ad entrare in crisi: ed una di queste è proprio l’idea che l’atto amministrativo debba avere una struttura piramidale e sillogistica.
Infatti, se è interesse dell’amministrazione che il cittadino –anche il meno attrezzato culturalmente – sia informato con chiarezza delle decisioni che incidono sulla sua posizione giuridica soggettiva, necessariamente occorre riconoscere al dispositivo – o meglio alla decisione – una prevalenza sulle altre informazioni.
Ciò implica che la decisione dell’atto deve precedere normalmente le altre informazioni, compresi i riferimenti normativi.
E per non lasciare dubbi sulla necessità – a fini di un’efficace comunicazione – di scomporre il preambolo: “le altre informazioni, a volte necessarie, spesso di natura tecnica, possono essere inserite in note a piè di pagina…Ad esempio, i riferimenti normativi che di solito occupano molto spazio negli atti amministrativi possono essere citati nelle note”.
Al dispositivo deve seguire subito la motivazione che ha la funzione di chiarire le ragioni della decisione.
Allo stesso modo, non si può ritenere meno importante la parte del documento relativa alle operazioni materiali che il cittadino  deve compiere; a queste ultime, come è noto, viene spesso dedicata la porzione del documento che è più oscura e problematica.
Anche le formule di cortesia devono essere ricondotte al loro vero senso originario: di informare il cittadino sugli orari di apertura e di chiusura al pubblico dell’ufficio, di ricordare i termini per ricorrere avverso il provvedimento, etc.
D’altra parte già in passato, un’illustre giurista aveva messo in crisi la riconducibilità della forma quale requisito essenziale del negozio giuridico ai provvedimenti amministrativi .
Infatti, “a differenza che per il negozio privato che si compone di volontà e dichiarazione, per il provvedimento amministrativo possono ricorrere una moltitudine di elementi…Nel provvedimento amministrativo può dunque accadere che ogni elemento abbia bisogno di una propria esternazione, e questa può sovente assumere forma diversa. Per evitare equivoci tra il modo in cui l’atto nel suo complesso si esteriorizza e quello con cui si esteriorizzano i suoi componenti” Giannini propone di chiamare esternazione la manifestazione esteriore dell’atto nel suo complesso  e questo per la ragione che “l’esternazione non attiene alle sole dichiarazioni, bensì anche agli atti reali, e non investe solo la volontà ma anche l’oggetto, gli elementi eventuali, i fatti esterni equiparati ad elementi .
Il rilievo di Giannini è profetico nella misura in cui pone il problema della corretta esternazione delle diverse componenti di cui è composto un atto amministrativo, che dunque non può essere considerato come un monolite, ma come un testo scomponibile in più parti, ciascuna delle quali postula l’utilizzo della tecnica di comunicazione più idonea al suo contenuto ed al suo destinatario.
Un ultimo cenno merita la questione se ed in che misura l’attività di semplificazione del linguaggio amministrativo, e più in generale della semplificazione, possa essere inquadrata nella nozione di funzione pubblica.
La questione generale è stata –fra l’altro – analizzata nell’ambito di un gruppo di ricerca i risultati della cui indagine sono poi sfociati in una recente pubblicazione .
Quanto alla tematica più specifica relativa all’attività di semplificazione del linguaggio, occorre senza dubbio rilevare come questa attività sia preordinata al perseguimento di un’effettiva partecipazione dei cittadini all’azione della pubblica amministrazione e di un principio di eguaglianza sostanziale ex art. 3, secondo comma, Cost. Se a ciò si aggiunge che gli istituti della semplificazione consentono una migliora attuazione del principio personalistico di cui all’art. 2 Cost. in combinato disposto con l’art. 97 Cost., nell’ottica di un sempre miglior perseguimento dell’imparzialità e del buon andamento della Pubblica Amministrazione, si comprende come essi possano costituire uno strumento valido per promuovere la personalità e la partecipazione alla res pubblica anche di coloro che hanno  meno strumenti per accostarsi all’azione dei pubblici poteri.
Tutto questo rientra sicuramente nell’attività di semplificazione del linguaggio amministrativo che, per molti versi, altro non è che un’attività ordinaria, ma, per altri, rappresenta un’attività utile a perseguire stadi di democrazia sempre più evoluti anche nel campo dell’azione amministrativa.

di Eugenio Falcone


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