Sistema delle fonti e regolamenti regionali – Resoconto convegno

06.02.2003

Sistema delle fonti e regolamenti regionali

Milano, 24 gennaio 2003

Università degli studi di Milano

(a cura di Nicola Lupo)

Lorenza Carlassare, introducendo il seminario, segnala che il nuovo titolo V Cost. pone tantissimi problemi quanto agli assetti del potere regolamentare, sui quali si augura che i relatori vorranno intrattenersi. Vi è anzitutto la questione, di carattere preliminare, di stabilire se può dirsi esistente un sistema regionale delle fonti. In secondo luogo, si pone l’assai controversa problematica dell’appartenenza del potere regolamentare alla giunta o alla possibile previsione di poteri regolamentari in capo al consiglio: in proposito, sottolinea che in genere la titolarità del potere regolamentare si accompagna a quella della funzione esecutiva. L’unica eccezione, forse, potrebbe essere costituita dai regolamenti regionali delegati prefigurati dall’art. 117, sesto comma, Cost., che non sembrano configurabili come subordinati alle leggi regionali. Un terzo ordine di problemi riguarda lo spazio destinato ai regolamenti comunali e provinciali. In quarto luogo, segnala che alcuni, tra le tante novità discendenti dalla disposizione costituzionale, hanno ricavato anche l’esistenza di un nuovo ed esplicito fondamento costituzionale alla potestà regolamentare del Governo (Lupo); ma ritiene che si tratti di una tesi da non condividere.
Quanto alla possibilità per gli statuti regionali di prevedere riserve di regolamenti regionali, opta per la soluzione negativa perché si tratterebbe di previsioni non in armonia con la Costituzione, che prevede, al contrario, una serie piuttosto numerosa di riserve di legge. Ritiene invece che ben possa configurarsi una delegificazione anche a livello regionale (ov’è anzi particolarmente necessaria in conseguenza dell’alto tasso di legificazione di quegli ordinamenti, discendente dalla vecchia formulazione dell’art. 121, secondo comma, Cost.); ma è necessario che sia in pieno rispettato il modello della n. 400 del 1988, che invece è stato pressoché sistematicamente aggirato dal legislatore statale. Sempre gli statuti, infine, saranno chiamati a disciplinare il procedimento per l’emanazione dei regolamenti regionali, anche prevedendo opportune forme di controllo.

Beniamino Caravita ritiene che sia preliminarmente necessario soffermarsi sulla potestà regolamentare in generale, per come disciplinata dall’art. 117, sesto comma, Cost. In proposito, sottolinea che un esplicito riconoscimento dei regolamenti nella carta fondamentale non comporta necessariamente fornire ad essi un diretto fondamento costituzionale. Anzi, la vigenza del principio di legalità sembra essere confermato nel nuovo quadro costituzionale: in questa direzione spinge soprattutto la lettura dell’art 118 Cost., ove presuppone – implicitamente, al primo comma, e esplicitamente, al secondo comma – il conferimento con legge delle funzioni amministrative. E poiché non è possibile esercizio di una funzione amministrativa senza la corrispondente funzione regolamentare, è evidentemente che sarà la legge che attribuisce le funzioni a fondare anche la potestà regolamentare.
Sottolinea poi come l’art. 117, sesto comma, Cost. ponga gravi problemi pratici per i regolamenti statali, la cui area di operatività viene ad essere sensibilmente ristretta: ad esempio, richiama una pronuncia del Consiglio di Stato, del 28 ottobre 2002, relativa al fondo unico per lo spettacolo. Ritiene pertanto che dovrà probabilmente essere riproposta, anche nel nuovo ordinamento costituzionale, la tesi favorevole all’ammissibilità dei regolamenti statali cedevoli, nelle materie rientranti nella competenza concorrente ai sensi art. 117, terzo comma, Cost.
Ribadita la tesi, già a suo tempo sostenuta, della immediata competenza giuntale per i regolamenti regionali, almeno per quelli esecutivi e attuativi, sottolinea come sia in atto una nuova stagione di “fuga dal regolamento” a livello sia statale sia regionale, evidenziando come questi fenomeni risultino essere incoraggiati dalle molte incertezze riscontrabili sul tema. Si sofferma poi sulla questione se i regolamenti comunali e provinciali possano o meno derogare a leggi statali e regionali che incidono sulle materie ad essi attribuiti. Com’è noto, vi è una tesi municipalista – collegata a quella, già ricordata, sul fondamento costituzionale – che risponde in senso positivo alla questione. In realtà, dal nuovo art. 117, sesto comma, Cost. sembra potersi ricavare la necessità, per le leggi statali e regionali, di distinguere le norme di principio da quelle di dettaglio: solo queste seconde avrebbero carattere cedevole .
Infine, ritiene di poter rispondere in senso affermativo al dubbio sull’esistenza, almeno sulla carta, di un sistema regionale sulle fonti: il legislatore costituzionale si è infatti proposto di evitare le sovrapposizioni tra le fonti dei diversi livelli territoriali. Eppure, si tratta di un’aspirazione che non sembra, al momento, aver trovato molto seguito, dal momento che l’esito concreto delle nuove disposizioni costituzionali sembra finora essere stato assai scarso.

Ida Nicotra Guerrera si sofferma sul potere regolamentare in rapporto alla forma di governo e alla forma di stato. Sottolinea, in particolare, come abbiano proceduto in parallelo l’opzione presidenzialista per la forma di governo regionale e il processo di valorizzazione del potere regolamentare a livello regionale. Ritiene che comunque occorra un conferimento legislativo del potere regolamentare, pur sottolineando che in qualche caso possa essere lo statuto ad attribuire la potestà regolamentare. Ove gli statuti optassero per un regime presidenziale, sostiene la necessità di attribuire la competenza alla giunta, e di prevedere ampi spazi per l’esercizio del potere regolamentare. In tal senso, si esprime a favore dell’ammissibilità di riserve di regolamento regionale, ed eventualmente anche a favore di regolamenti di approvazione consiliare (che non sembrano potersi del tutto escludere in base alla vigente disciplina costituzionale).
Circa la prospettabilità di regolamenti indipendenti regionali, manifesta invece perplessità, specie alla luce dell’art. 121 Cost.. Essi potrebbero essere ritenuti ammissibili solo ove il relativo sindacato fosse attribuito alla Corte costituzionale, e comunque nelle sole materie rientranti nella competenza esclusiva delle regioni. Infine, si dichiara contraria all’ipotesi di regolamenti statali in materie regionali ma di carattere cedevole, ritenendo che essi non possano emanarsi neppure per attuare il diritto comunitario.

Vittorio Angiolini ritiene che possa anche parlarsi di un “sistema regionale delle fonti”, ma con un significato esclusivamente descrittivo, dal momento che le fonti statali limitano significativamente le fonti regionali: ricorda in proposito, per quanto riguarda gli statuti, la lettura “forte” del vincolo dell'”armonia” proposta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 304 del 2002, con la quale concorda; sottolinea poi le numerose competenze legislative “trasversali”, dello stato che incidono in modo assai rilevante sulle competenze legislative, anche esclusive, attribuite al livello regionale. Dopo aver segnalato che il diritto regionale ha per molti versi costituito una “culla” della politica nel diritto, attraverso cui questo approccio è entrato all’interno del diritto costituzionale, ribadisce che il sistema costituzionale è e non può non essere uno solo.
Quanto alla questione del fondamento del potere regolamentare, sottolinea anzitutto che la funzione essenziale dei regolamenti è costituita dalla disciplina dell’amministrazione. Poiché nell’ordinamento italiano non esiste una riserva di amministrazione (da ultimo, si veda la sentenza n. 429 del 2002 della Corte costituzionale), i regolamenti non possono non essere subordinati alla legge. Riconosce che non è detto che alla discrezionalità amministrativa si accompagni necessariamente la titolarità anche del potere regolamentare, ma ritiene indispensabile che vi sia una legge per fondare il potere regolamentare.
Per i regolamenti regionali, giudica opportuno che lo statuto attribuisca tale potere alla giunta; ma sottolinea che il potere regolamentare non può ritenersi ancora “passato” dal consiglio alla giunta: esso, infatti, è attribuito al consiglio dai vecchi statuti regionali, che sono tuttora vigenti. Si dichiara contrario all’eventuale introduzione di riserve di regolamento regionale, dal momento che così si violerebbe il principio di preferenza di legge. Nella fase transitoria, è comprensibile che si adotti il criterio della cedevolezza dei regolamenti statali: poi i regolamenti regionali saranno emanati dai soggetti che eserciteranno la competenza amministrativa.
Infine, ricorda come da indagini compiute negli anni scorsi, relativamente al livello statale, sia emerso che ben pochi sono stati i regolamenti indipendenti emanati ai sensi dell’art. 17, comma 1, lettera c), della legge n. 400 del 1988. Vi sono invece stati tanti regolamenti di delegificazione emanati in attuazione di norme di delegificazione in bianco. Si tratta di fenomeni non certo casuali, il cui effetto è quello di dare origine ad una confusione di poteri e responsabilità, in particolare tra governo e parlamento.

Gianmario Demuro ritiene necessario che ci si domandi preliminarmente quale significato ha oggi il potere regolamentare: il potere regolamentare deve, infatti, essere commisurato allo scopo, giustificato e autolimitato. Ricorda l’esito “disastroso” della vicenda della delegificazione a livello statale: la “vera” delegificazione, conforme al modello disegnato dall’art. 17 della legge n. 400 del 1988 non c’è, in pratica, mai stata. Ha invece funzionato quello che si può chiamare il profilo culturale della delegificazione, che ha valorizzato, con il principio di competenza, le fonti delle autonomie (sia locali sia funzionali). Ritiene perciò che molti interrogativi debbano essere affrontati, e risolti, muovendo in base al principio di autonomia.

A conclusione della mattinata, intervengono Giovanni Guzzetta, Nicola Lupo e Alberto Lucarelli, nonché, per una replica, Beniamino Caravita e Vittorio Angiolini.

Lorenza Violini ritiene che l’art. 117, sesto comma, Cost. sia una delle norme del nuovo titolo V maggiormente coerenti con una ispirazione veramente federalistica: essa deve essere perciò, per quanto possibile, valorizzata. Quanto al principio di legalità e al collegamento con la funzione amministrativa, ritiene possibile la lettura proposta da Caravita dell’art. 118, primo comma, Cost, ma fa presente che sono anche ipotizzabili letture diverse, dirette a dare piena valorizzazione al superamento del criterio del parallelismo tra le funzioni legislative e quelle amministrative: ad esempio, potrebbe realizzarsi, seguendo l’esempio tedesco, un autocoordinamento tra le regioni. Infine, sottolinea che dovrebbero privilegiarsi le funzioni non normative dei consigli regionali: in particolare un forte momento di controllo consiliare è quello sulla manovra di bilancio, in quanto si tratta di un controllo su un fondamentale atto di indirizzo politico.

Alberto Lucarelli si sofferma sul problema del fondamento giuridico del potere regolamentare. In propositi, ritiene che, nelle materie di legislazione concorrente, tale fondamento debba rinvenirsi anche nella legislazione statale. Nelle materie residuali, vi è invece il rischio di una frammentazione del principio di legalità. Da questo punto di vista la competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), potrebbe fungere come possibile grimaldello, relativamente ai diritti sociali, per evitare tale frammentazione. In sostanza, nell’art.117, sesto comma, Cost. potrebbe individuarsi il fondamento-riconoscimento del potere regolamentare, mentre nelle leggi statali di principio vi dovrebbe essere il fondamento-attribuzione. Inoltre, un ulteriore fondamento-attribuzione, di carattere generale, potrebbe esservi negli statuti regionali.
In merito ai contenuti del disegno di legge “La Loggia”, rileva come esso detti una delega legislativa per l’individuazione dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente che appare molto criticabile perché contrastante con la riserva di assemblea. Inoltre, non sempre i principi fondamentali sono ricavabili dalla le legislazione vigente. Sottolinea poi il ruolo molto pacato, non statalista, svolto finora dal Consiglio di Stato nella sua attività consultiva sui regolamenti statali. Infine, ipotizza una figura di regolamento regionale semi-indipendente (rispetto all’ordinamento statale) e si esprime a favore della possibilità per gli statuti regionali di introdurre una semi-riserva di regolamento nelle materie non coperte da riserve di legge (contra, Guzzetta).

Nicolò Zanon ritiene che occorra domandarsi che fine faccia la legge regionale e sottolinea la necessità di superare una visione giurisdizionalistica, restituendo spazio ai legislatori. Ritiene che nelle materie residuali la regione possa dare attuazione a leggi statali entrate in vigore anteriormente alla legge costituzionale n. 3 del 2001 direttamente con regolamento. Richiama, a tal proposito, la vicenda dei ticket sanitari in Lombardia: si è proceduto con delibera di giunta, ritenendo nella specie sussistente una delega ex art. 117, sesto comma, Cost., benché si trattasse, con ogni probabilità, di materia riservata ai sensi dell’art. 23 Cost. Infine, ritiene che il principio di legalità non sia stato toccato dall’art. 117, sesto comma, Cost. e che tuttora esso valga nell’ordinamento giuridico complessivo.

Infine, intervengono Laura Olivieri, Alfonso Maria Cecere, Paolo Bonetti e Giuseppe D’Elia.

Nicola Lupo