Il no della Corte al referendum in materia di parità scolastica

06.02.2003

Corte Costituzionale, 6 febbraio 2003, n. 42

E’ inammissibile, per la contraddittorietà e la disomogeneità del quesito, la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione, limitatamente alle parti indicate, dell’articolo 1, commi 1, 5, 9 e 15 della legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione), nonché dell’intero comma 13 dell’articolo 1 della medesima legge.

Giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’articolo 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’articolo 1, comma 1°, della legge 10 marzo 2000, n. 62, titolata “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”, limitatamente alle parole “e dalle scuole paritarie private”; dell’articolo 1, comma 5°, della stessa legge, limitatamente alle parole “Tali istituzioni, in misura non superiore a un quarto delle prestazioni complessive, possono avvalersi di prestazioni volontarie di personale docente purché fornito di relativi titoli scientifici e professionali ovvero ricorrere anche a contratti di prestazione d’opera di personale fornito dei necessari requisiti”; dell’articolo 1, comma 9°, della stessa legge, limitatamente alle parole: “a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie”; dell’articolo 1, intero comma 13°, della stessa legge (“A decorrere dall’esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge gli stanziamenti iscritti alle unità previsionali di base 3.1.2.1 e 10.1.2.1 dello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione sono incrementati, rispettivamente, della somma di lire 60 miliardi per contributi per il mantenimento di scuole elementari parificate e della somma di lire 280 miliardi per spese di partecipazione alla realizzazione del sistema prescolastico integrato”); dell’articolo 1, comma 15°, della stessa legge, limitatamente alle parole “di lire 347 miliardi”, alle parole “13 e”, nonché alle parole “allo scopo parzialmente utilizzando quanto a lire 347 miliardi l’accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione e quanto a lire 20 miliardi l’accantonamento relativo al Ministero dei trasporti e della navigazione”, giudizio iscritto al n. 139 del registro referendum.

La Corte costituzionale ha giudicato inammissibile la richiesta di referendum in materia di “Scuola privata: abrogazione di norme relative a contributi statali e di norme agevolatrici in materia di personale docente”, già dichiarata conforme alla legge dall’Ufficio Centrale per il referendum, costituito presso la Corte di Cassazione.
La Corte rileva infatti come la richiesta referendaria risulti intimamente contraddittoria: il primo quesito sembrerebbe volto ad espungere le scuole private dal sistema nazionale; contestualmente, tuttavia, l’esame dei commi successivi, non coinvolti dalla richiesta di abrogazione popolare, sembrerebbe fornire una indicazione del tutto opposta, mostrando che le scuole paritarie, lungi dall’essere abolite, continuerebbero a formare oggetto di regolamentazione e di qualificazione. Non si tratta di un profilo di contraddittorietà secondario e marginale, quale può presentarsi nelle richieste di referendum parziali, a causa della incompleta ripulitura della normativa residua: la citata contraddizione investe la ratio del quesito.
Ricordando come le formulazioni di principi non siano mai vuote ed inutili proclamazioni, ma enunciati giuridici carichi di valore, la Corte giunge a concludere che il principio della esclusione dal sistema scolastico nazionale che si pretende di introdurre in via referendaria rende attiva una connotazione discriminatoria a carico delle scuole private, pur a fronte di una disciplina dettagliata che realizza un sostanziale regime di parità.
Sotto un secondo profilo, la richiesta di referendum è giudicata inammissibile per la disomogeneità del quesito, nel quale vengono riuniti oggetti rispetto ai quali la volontà dell’elettore non potrebbe esprimersi in modo univoco.
La Corte dichiara pertanto inammissibile la richiesta di referendum popolare riportata in epigrafe.

a cura di Elena Griglio