Corte Costituzionale, 4 febbraio 2003, sent. n. 29
E’ illegittima la pretesa della Regione Sardegna ad una competenza esclusiva in materia di incompatibilità e decadenza dalla carica dei consiglieri regionali sardi. La speciale disciplina dell’art.66 Cost. non può infatti essere estesa, per analogia, dal Parlamento nazionale alle assemblee elettive regionali. Il giudizio finale sulla sussistenza delle cause sopravvenute di incompatibilità e sulla conseguente decadenza del consigliere spetta pertanto allo Stato, e per esso ai competenti organi giurisdizionali.
Giudizi per conflitto di attribuzione sorti a seguito delle sentenze del Tribunale di Cagliari, sezione civile, nn. 2598 del 2001 e 257 del 2002 e della Corte d’appello di Cagliari n.165 del 2002, promossi con ricordi della Regione Sardegna.
La Regione Sardegna ha sollevato conflitti di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri avverso tre provvedimenti di giudici ordinari – due sentenze del Tribunale di Cagliari ed una della relativa Corte d’Appello – in materia di incompatibilità e quindi di decadenza dalla carica di un consigliere regionale sardo in seguito al conseguimento della nomina a parlamentare. La materia del contendere non ha come oggetto sostanziale la sussistenza o meno della causa di incompatibilità, né la conseguente decadenza dalla carica di consigliere (che lo stesso Consiglio regionale sardo ha constatato con la delibera del 31 maggio 2001, annullata dal Tribunale di Cagliari con le due sentenze oggetto di impugnazione), bensì la competenza degli organi giurisdizionali dello Stato a giudicare sui casi di ineleggibilità e incompatibilità dei membri del consiglio regionale sardo.
A detta della ricorrente, il Consiglio regionale sarebbe infatti titolare di una competenza esclusiva sulla materia oggetto del contendere, alla stessa stregua di quanto previsto per il Parlamento nazionale dall’art.66 Cost. Numerose sono le argomentazioni addotte dalla ricorrente a sostegno della tesi citata: in particolare, la ricorrente rileva l’assenza nell’ “ordinamento costituzionale della Regione Sardegna” di disposizioni di legge che attribuiscano agli organi giurisdizionali una competenza sulle controversie relative alle cause di ineleggibilità ed incompatibilità (in particolare, non sarebbe applicabile alla Regione Sardegna la legge 23 aprile 1981, n.154, art.7, che affronta il problema dei ricorsi giurisdizionali contro le deliberazioni degli organi consiliari, ma che sarebbe applicabile solo nelle regioni ordinarie). Al contrario, secondo la ricorrente, l’ordinamento regionale sarebbe costellato di disposizioni regionali che deferiscono ogni potere cognitivo in materia di elezioni al Consiglio regionale (si ricordano, in particolare, l’art.82 della l.r. 6 marzo 1979, n.7; l’art.17 e 19 dello Statuto sull’autonomia regolamentare garantita al Consiglio; l’art. 17 del regolamento consiliare sulla Giunta delle Elezioni; l’art. 15 del regolamento della Giunta delle Elezioni, che prevede che, nei casi di incompatibilità o ineleggibilità riconosciuti all’unanimità dalla giunta si possa prescindere dal procedimento di contestazione).
La tesi della ricorrente risulta pertanto fondata sul presupposto che la previsione di cui all’art.66 Cost. sull’insindacabilità in sede giudiziaria delle decisioni assunte dalle Camere dovrebbe essere estesa anche al Consiglio regionale, in quanto conforme ad una prassi costituzionale ormai invalsa nell’uso. Tale interpretazione non sarebbe preclusa né dal carattere chiuso ed enumerato delle garanzie costituzionali delle assemblee regionali (che non esclude l’operatività anche a livello di queste ultime di quelle garanzie che costituiscono un requisito minimo ed indispensabile ai fini della tutela degli organi rappresentativi), né dal principio generale della tutela giurisdizionale dei diritti (in quanto il potere giurisdizionale di emettere sentenze costitutive dipende necessariamente dall’attribuzione con disposizione di legge di un potere conformativo al giudice, che sarebbe invece assente nell’ “ordinamento sardo”).
Gli atti impugnati, inoltre, risulterebbero lesivi per aver negato che al Consiglio regionale possa competere un “qualsiasi potere deliberativo” sulle ipotesi di incompatibilità tra carica di consigliere regionale e carica di parlamentare, ad esempio valutando l’effettivo esercizio da parte dell’interessato delle funzioni connesse alla carica di parlamentare. La ricorrente richiama infine le nuove disposizioni del Titolo V della Parte II della Costituzione, che avrebbero esplicitamente sancito la “consistenza autenticamente politica dell’autonomia regionale”.
Si è costituito in difesa il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall’Avvocatura di Stato, che si pronuncia per il rigetto del ricorso: a detta della difesa, le disposizioni regionali invocate non prevedono alcuna attribuzione in via esclusiva al Consiglio regionale sardo in materia di valutazione dei casi di incompatibilità dei membri dell’assemblea regionale, né d’altronde potrebbe essere invocata l’estensione in via analogica della disposizione di cui all’art.66 Cost., che riguarda esclusivamente le due assemblee rappresentative nazionali. In relazione all’applicazione dell’art.66, non sarebbe parimenti invocabile neanche l’esistenza di una “prassi costituzionale”, dal momento che una prassi, ove anche seguita, non rappresenta comunque una fonte di rango costituzionale. Parallelamente, la difesa conferma la perdurante vigenza anche nei confronti delle delibere del Consiglio regionale della Sardegna delle legge 23 aprile 1981, n.154, che rappresenta una concreta attuazione del principio generale dell’ordinamento che sancisce la possibilità di far valere davanti ad un organo giurisdizionale ogni diritto costituzionalmente garantito. Nello specifico, l’applicazione in via suppletiva anche al caso oggetto di impugnazione dell’art. 7 della legge n.154 del 1981 deriverebbe direttamente dall’assenza di una disciplina legislativa regionale del procedimento in materia di incompatibilità.
Nelle memorie legislative presentate in prossimità dell’udienza, la Regione Sardegna osserva, in relazione a quest’ultima obiezione della difesa, che la regolamentazione regionale sulla verifica dei casi di incompatibilità è talmente estesa che non si potrebbe parlare di applicazione in via suppletiva di una legge statale, bensì di vera e propria disapplicazione della legge regionale sarda n.7 del 1979.
Sentite le parti in causa, la Corte giudica la questione infondata. Richiamando la sua consolidata giurisprudenza in materia, la Corte evidenzia come nessuna norma e nessun principio costituzionale preveda l’attribuzione ai Consigli regionali di un potere di giudizio definitivo sui titoli di ammissione dei loro componenti; anche le norme legislative o dei regolamenti interni che parlano di “giudizio definitivo” delle assemblee elettive si riferiscono, infatti, solo alla fase amministrativa del contenzioso elettorale, ferma restando comunque l’eventualità di una successiva fase giurisdizionale.
Tale conclusione, che non è stata alterata nella sostanza dalle nuove disposizioni del Titolo V – Parte II della Costituzione, non corrisponde a negare la natura autentica delle assemblee elettive regionali, anch’esse espressione – come il Parlamento nazionale – della “sovranità popolare”, ma rappresenta un’esplicita attuazione de principio ex art. 24 Cost., per cui la tutela giurisdizionale deve essere a tutti garantita e deve essere affidata agli organi giurisdizionali di cui agli art. 101 e ss. Cost. La Corte conferma pertanto l’interpretazione della difesa sull’impossibilità di un’estensione analogica ai Consigli regionali dell’art.66 Cost., le cui norme di favore per il Parlamento nazionale dipendono direttamente dalla consolidata, quanto anacronistica tradizione dell’autonomia della rappresentanza elettiva.
La Corte specifica peraltro che la tesi sostenuta non pregiudica le competenze regionali sulla disciplina delle modalità di elezione del Consiglio regionale, nonché sui casi di ineleggibilità e di incompatibilità relativi alle cariche elettive regionali; tali competenze, opportunamente disciplinate dalle fonti regionali richiamate dalla ricorrente, vanno tuttavia riferite esclusivamente alla fase amministrativa del contenzioso.
Dichiarati inammissibili gli ulteriori motivi di ricorso fondati sugli errori rilevati nella individuazione o nella interpretazione delle norme applicabili (ritenuti dalla Corte come meri “errores in judicando” e non come lesioni delle attribuzioni della Regione costituzionalmente garantite), la Corte conclude quindi che spetta allo Stato, e nello specifico ai suoi organi giurisdizionali, giudicare in sede giurisdizionale sulla sussistenza delle cause sopravvenute di incompatibilità e sulla conseguente decadenza del consigliere.
Giurisprudenza richiamata:
– sull’assenza di norme o principi costituzionali da cui possa ricavarsi l’attribuzione ai Consigli regionali, anche delle Regioni a statuto speciale, del giudizio definitivo sui titoli di ammissione dei loro componenti e sulle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità: Corte Costituzionale, sent. n.66 del 1994
– sull’esigenza di interpretare il riferimento al “giudizio definitivo” delle assemblee elettive regionali sulla verifica dei poteri e sulle contestazioni dei reclami elettorali come riferito esclusivamente alla fase “amministrativa” del contenzioso elettorale: Corte Costituzionale, sent. n. 115 del 1972 e sent. n. 113 del 1993
– sulla comune natura delle assemblee elettive nazionali e regionali come espressione della sovranità popolare: Corte costituzionale, sent. n. 106 del 2002;
– sull’esigenza di garantire il “diritto al giudice” e ad un giudice indipendente ed imparziale in riferimento al contenzioso elettorale: Corte costituzionale, sent. n. 93 del 1956
– sulle attribuzioni del Consiglio regionale siciliano in materia di contenzioso amministrativo: Corte costituzionale, sent. n. 115 del 1972 e n. 113 del 1993