I problemi della complessità e dell’eccesso di regolazione si pongono ancora oggi come una grande sfida politico-istituzionale, le cui implicazioni rappresentano un punto critico nei rapporti fra Stato e cittadino.
L’inflazione normativa è un fenomeno tuttora molto evidente, sia sul piano legislativo che regolamentare. Anzi, lo stesso fatto che non si sia in grado di calcolare il numero di atti normativi attualmente in vigore, ne è una chiara dimostrazione.
Le premesse fondamentali da cui prendere le mosse ogniqualvolta si debba trattare del tema della qualità delle norme sono due: l’attività di regolazione è un’attività necessaria; l’attività di regolazione ha un forte impatto sulla vita dei cittadini e delle imprese, da valutare in termini costi/benefici.
Non si può dire che una normativa sia di per sè “buona” o “cattiva” secondo un giudizio di valore assoluto, poichè la valutazione circa la “bontà” di una regolazione dipende da un giudizio di relatività, in cui confluiscono diverse variabili, spesso collegate ad interessi fra loro confliggenti. In via generale, tuttavia, si può sostenere che una norma è “buona” quando ricorrono almeno quattro requisiti: il significato è chiaro e preciso; gli effetti corrispondono ai risultati attesi; i benefici sono maggiori dei costi; non si verificano significativi effetti indesiderati.
Risulta evidente già da questi concetti preliminari che il tema della qualità della regolazione deve essere considerato non solo un problema di tecnica normativa, bensì un vero e proprio obiettivo di una politica dei poteri pubblici. E’ per questo motivo che, a partire dagli anni novanta, i governi succedutisi hanno posto la politica di razionalizzazione normativa fra i principali punti programmatici, nella consapevolezza che rendere funzionale e sostenibile il sistema normativo rappresenti anche una finalità politica.
Come attestato nell’ultimo rapporto dell’OCSE (presentato a Palazzo Chigi il 4 aprile 2001) che ha concluso la review del sistema di regolazione italiano, i progressi registrati dal nostro Paese negli ultimi anni sono davvero considerevoli, anche se molto ancora resta da fare sul piano dell’implementazione delle riforme.
L’accresciuta sensibilità verso il tema della qualità delle regole, stimolata anche dalle recenti esperienze internazionali, ha dato luogo a diverse iniziative e programmi, tutti accomunati dalla cosciente presa d’atto dei seguenti dati di fondo:
1) la qualità della normazione si pone come una politica di tipo bipartisan, al di sopra delle contingenze variabili di maggioranze politiche, poiché coinvolge interessi generali e permanenti della collettività, quali la certezza del diritto e la razionalità dell’ordinamento giuridico;
2) concerne una politica generale che riguarda trasversalmente tutti i settori;
3) garantisce la funzionalità del sistema politico-amministrativo;
4) coinvolge organi in posizione di indipendenza fra loro (Parlamento, Governo, autonomie territoriali, autorità indipendenti).
Come rilevato dagli studi OCSE, le cause della complessità della regolazione sono molteplici: alcune sono comuni agli altri Paesi membri, altre sono tipiche del nostro sistema. Quelle comuni all’area OCSE, possono essere così sintetizzate:
– il fenomeno della globalizzazione richiede interventi flessibili di regolamentazione nazionale e sovranazionale idonei ad assicurare forme corrette di integrazione e di concorrenza, suscettibili di modificarsi nel tempo a seguito degli effetti di interdipendenza fra i sistemi;
– lo sviluppo del processo di integrazione europea determina un incremento della normativa comunitaria e nazionale, nell’ottica di una convergenza ed armonizzazione degli ordinamenti europei;
– la società dell’ICT (Information and communication technologies) richiede forme sempre più sofisticate di regolamentazioni e normative tecniche, con un alto grado di specificità.
Per quanto riguarda le ragioni intrinseche al nostro ordinamento, rileva, innanzitutto, un forte pregiudizio di cui da tempo è intrisa la nostra cultura giuridico-amministrativa, a causa di un’impostazione di tipo formale: il ricorso esasperato alla legge, ed in genere alla norma, per risolvere qualsiasi questione problematica, spesso con il fine di eludere responsabilità e superare resistenze. Tale pregiudizio ha prodotto nel tempo un eccesso di norme, stratificate nel tempo, che hanno determinato un effetto opposto rispetto a quello atteso, cioè quello di ingenerare confusione ed arbitrarietà.
Un ulteriore fattore di complessità normativa è strettamente collegato all’attuazione delle recenti riforme amministrative, per le quali si assiste ad una moltiplicazione dei centri di produzione normativa con conseguenti problemi di raccordo ed una diversa distribuzione del potere normativo: dal centro verso il basso (autonomie territoriali), dal centro verso l’alto (istituzioni comunitarie) ed infine, all’interno del centro (dal Parlamento al Governo). Con riferimento a quest’ultimo punto, l’assetto dei poteri fra Parlamento e Governo è mutato radicalmente negli ultimi anni a causa di due fenomeni: in primo luogo, lo sviluppo della legislazione delegata a fronte di una sostanziale riduzione del ricorso al decreto legge (a seguito della nota sentenza della Corte costituzionale n. 360/96); in secondo luogo, il crescente numero dei regolamenti di delegificazione e semplificazione, che ha spostato l’asse di della produzione normativa dalle fonti primarie a quelle secondarie.
Data la rilevanza strutturale dei fattori suesposti e l’ampiezza delle conseguenze, la complessità normativa si è posta all’attenzione come un grave problema di deficit democratico. In tal senso, lo sforzo nel quale si è impegnato, in questi anni, il Governo per superare l’impasse delineatosi è stato quello di percorrere due grandi linee direttrici di riforma. La prima riguarda il riordino del sistema normativo attraverso complessi programmi normativi di deregolamentazione, delegificazione e codificazione; la seconda, invece, è incentrata sul miglioramento dell’istruttoria normativa, quale momento centrale del processo di produzione normativa.
Per quanto attiene al riordino del sistema normativo, come attestato nel surrichiamato rapporto OCSE, il primo rimedio naturale è dato dal ritiro dello Stato e dei poteri pubblici da ambiti nei quali la regolazione non è necessaria. A tal proposito, in settori cruciali, quali quelli delle public utilities, sono stati realizzati diversi tipi di deregolamentazione: dalla eliminazione di discipline settoriali, alla promozione di fenomeni di autoregolazione, all’introduzione di nuove e più snelle forme di regolazione.
Un secondo rimedio al disordine normativo al quale si è fatto ricorso è quello teso non ad eliminare le norme, ma ad abbassarne il livello di gerarchia nel sistema delle fonti, al fine di conferire maggiore razionalità e flessibilità al sistema. Nell’esperienza più recente, la delegificazione ha significato quindi riorganizzazione degli apparati governativi, secondo regole duttili, e semplificazione di un gran numero di procedimenti amministrativi.
Un terzo istituto cui, soprattutto negli ultimi mesi, il Governo ha fatto ricorso è quello della codificazione, attraverso la redazione di testi unici volti a censire e riorganizzare tutta la normativa vigente in settori nevralgici del nostro ordinamento: dalla disciplina della documentazione amministrativa a quella del pubblico impiego, dell’espropriazione, delle università, dell’edilizia, dell’urbanistica. L’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, così come modificato dalla recente legge 24 novembre 2000, n. 340, considera tale strumento parte integrante del processo di riforma della regolazione.
Per quanto riguarda la seconda linea direttrice perseguita dal Governo, si è preso atto che parte della denunciata complessità normativa consegue ad un difetto di impostazione delle politiche pubbliche, a causa di una progettazione normativa non adeguata e di una mancata valutazione ex ante dell’impatto degli interventi normativi sulla vita economica e sociale del Paese.
In questo ambito si collocano due importanti prodotti relativi alla più recente esperienza governativa: il primo è rappresentato dalla Guida alla sperimentazione dell’analisi di impatto della regolazione; il secondo dalla circolare del Presidente del Consiglio dei ministri, contenente regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi, e dalla successiva Guida alla redazione dei testi normativi.
La chiave di lettura attraverso la quale cogliere l’utilità di tali strumenti è offerta da quelle che l’OCSE indica come best practices, secondo le quali la progettazione ed istruttoria normativa deve comprendere valutazioni di:
a) effettiva necessità dell’intervento normativo;
b) verifica di massima semplicità e chiarezza fra le soluzioni possibili;
c) efficacia con riferimento ai risultati attesi;
d) verifica di coerenza ordinamentale;
e) applicazione rigorosa del principio di sussidiarietà, nella duplice accezione verticale ed orizzontale.
L’analisi di impatto della regolazione (A.I.R.), già disciplinata dall’art. 5 della legge n. 50/99 e dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 marzo 2000, attualmente in fase di sperimentazione, serve proprio a valutare preventivamente l’opportunità di un intervento normativo, attraverso un’analisi comparativa, in termini di costi/benefici, degli effetti, diretti ed indiretti, tangibili ed intangibili, che ne derivano alla pubblica amministrazione, ai cittadini ed alle imprese.
Non si tratta di una logica tecnocratica che tende a sostituirsi ad una scelta politica democratica, come spesso eccepiscono gli scettici, bensì di uno strumento razionale che serve a rendere la scelta politica di regolazione informata e, quindi, consapevole. In questa chiave di lettura, l’A.I.R. si pone come una sorta di ‘motivazione del provvedimento normativo’.
Perché ne sia garantita la funzionalità, tuttavia, occorre tenere presente che:
a) l’analisi non deve costituire una semplice motivazione ex post volta a validare scelte già prese, ma deve accompagnare tutta la fase istruttoria sin dall’avvio;
b) l’analisi ha dei costi molto rilevanti in termini di risorse organizzative ed alte professionalità;
c) occorre attrezzare non solo la struttura governativa per l’elaborazione dell’analisi, ma anche quella parlamentare per la relativa valutazione, per evitare che essa venga ridotta ad un mero adempimento formale;
d) momento centrale dell’analisi è la consultazione ex ante della categorie interessate, al fine di effettuare una valutazione dei costi e benefici il più possibile ancorata alla realtà.
Per quanto riguarda, invece, la materia del drafting, la circolare, a firma congiunta dei Presidenti delle Camere e Governo, rappresenta un aggiornamento delle analoghe circolari del 1986 delle quali riprende sia la forma, molto sintetica e concisa, sia la suddivisione fra regole e raccomandazioni; la Guida, invece, di carattere più esteso, completa ed integra le regole di redazione dei testi normativi, con particolare riguardo all’attività normativa del Governo e, più specificamente, ai regolamenti.
Con la pubblicazione della Guida, l’obiettivo prefissato è stato quello di realizzare, sulla base dell’esperienza maturata dal Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, un manuale tecnico-operativo che si ponesse come un strumento pratico di lavoro per tutti gli uffici legislativi dei ministeri e delle amministrazioni di settore, coinvolti in primo piano nel processo di produzione normativa.
Il contenuto della Guida si sviluppa gradualmente, secondo un criterio di progressione logica, da profili di drafting di tipo meramente formale, quali lo stile delle disposizioni, l’uso dei verbi, la struttura dell’atto, a profili di drafting di tipo più sostanziale, per i quali, sulla scia dell’esperienza inglese, si è cercato di stigmatizzare alcune regole di redazione relative a particolari tipi di disposizioni o atti. Peraltro, l’indice dello schema di lavoro è articolato con un livello di analiticità tale da facilitarne l’uso da parte degli addetti ai lavori, consentendo loro di risolvere celermente i problemi di drafting che, di volta in volta, si possono presentare all’atto della progettazione normativa, ai fini di una corretta ed omogenea stesura dei provvedimenti.
E’ evidente che la soluzione al problema della qualità della regolazione non può provenire da un singolo strumento di lavoro, per quanto valido, né da un solo attore. Per elevare lo standard della qualità delle norme, è necessario delineare un processo molto trasparente e ben scandito, con la chiara definizione delle procedure e dei ruoli dei vari centri di produzione normativa, poichè il successo della riforma dipende, in gran parte, dalla partecipazione di tutti i soggetti interessati ad un processo ampiamente condiviso nei metodi e negli obiettivi.
Quest’ultima considerazione rientra fra quelli che vengono definiti dall’OCSE i ‘punti deboli’ del sistema, i quali rischiano di mettere a repentaglio la riuscita del programma di razionalizzazione normativa. Su di essi vale la pena di formulare qualche osservazione, al fine di trarne degli spunti utili di riflessione.
Come prescrive l’art. 16 del recente d.P.C.M. del 4 agosto 2000, il DAGL coordina e promuove tutte le iniziative legislative e regolamentari del Governo, sulla base degli apporti e degli elementi forniti dai ministri competenti. Accanto ad esso, inoltre, sono presenti, all’interno della Presidenza del Consiglio, altri organi, i quali operano con funzioni trasversali: il Nucleo per la semplificazione delle norme e delle procedure, gli uffici legislativi dei dipartimenti della funzione pubblica, delle politiche comunitarie, degli affari regionali e così via. Tutti questi organi a loro volta comunicano con gli uffici legislativi delle amministrazioni di settore. E’ evidente che, in un’architettura così complessa, risulta spesso difficoltosa quella azione centrale di coordinamento che è indispensabile per evitare possibili contrasti.
Se si riflette su questo punto, è possibile rilevare alcuni aspetti dell’istruttoria normativa del Governo, sui quali è possibile intervenire per migliorare la qualità della produzione normativa.
Così come accade, sul piano orizzontale, che si instauri una forte cooperazione, di tipo interistituzionale, tra le strutture del Governo (DAGL) e quelle del Parlamento (Comitato per la legislazione) deputate al controllo della qualità delle normazione, così occorrerebbe, sul piano verticale, rafforzare quel rapporto di collaborazione che lega, da un lato, il soggetto coordinatore, DAGL e altre strutture trasversali della Presidenza del Consiglio, e dall’altro, i soggetti coordinati, cioè gli uffici legislativi dei ministeri e della amministrazioni di settore.
Una soluzione correttiva, in tal senso potrebbe essere quella di potenziare l’azione di coordinamento interna al Governo, ricostituendo quel rapporto dialettico fra uffici della Presidenza del Consiglio ed uffici ministeriali, tale da garantire un trade off continuo ed un’osmosi di esperienze utile per l’instaurazione di uno spirito di cooperazione costruttivo e duraturo. I passi compiuti nella sperimentazione dell’AIR, attraverso la designazione di soggetti responsabili che rappresentino l’interfaccia della Presidenza, la realizzazione di periodici workshop, i programmi di formazione e l’istituzione di un collegamento stabile fra uffici della Presidenza (Help desk) e varie amministrazioni di settore, sembrano indirizzarsi nella direzione giusta.
Un altro aspetto critico dell’istruttoria normativa del Governo è quello inerente alla programmazione dell’attività normativa.
Si tratta di introdurre anche nel settore normativo una nuova logica di gestione della pubblica amministrazione, già ampiamente sperimentata in altri settori, che è quella della pianificazione strategica. Tale logica si fonda sulla definizione degli obiettivi e dei programmi. Il programma diventa il punto di riferimento di ogni azione del potere pubblico, il concetto chiave da cui prende le mosse ogni tipo di riforma. Definire un programma normativo significa, quindi, fissare gli obiettivi strategici fatti propri dal Governo e, sulla base di analisi comparative costi/benefici, esaminare i piani alternativi di intervento per la loro realizzazione. In questo senso, un approccio positivo alla programmazione normativa si è avuto con quelli che vengono definiti i provvedimenti normativi complessi, quali la legge finanziaria ed i suoi collegati, la legge annuale di semplificazione, la legge comunitaria e così via.
Considerando l’esempio del Cabinet inglese, ove si procede con cadenza periodica a fissare un’agenda normativa, anche qui la soluzione correttiva potrebbe essere quella di instaurare una rapporto di più lunga durata fra DAGL ed uffici legislativi dei ministeri e delle amministrazioni di settore, per il quale questi ultimi debbano, a cadenza prestabilita, comunicare al primo gli interventi normativi che intendono realizzare, avviarne gli atti istruttori e tenerne costantemente lo stesso DAGL, così da poter giungere ad un’istruttoria più completa ed esaustiva possibile.
Infine, un ulteriore aspetto da considerare è quello di una necessaria apertura dell’apparato governativo verso l’esterno, cioè verso gli “utenti” delle norme, coloro che sono destinati a subirne gli effetti.
A questo proposito, è opportuno favorire un incontro fra politica, amministrazione, rappresentanti di centri scientifici, parti sociali, associazioni che siano in gradodi testimoniare la rilevanza oggettiva nella vita del Paese, nel campo scientifico e sociale, dei problemi che i centri di produzione normativa sono chiamati a risolvere. Come raccomandato dall’OCSE, anche nel quadro delle politiche di qualità della regolamentazione,è fondamentale recuperare un rapporto dialettico fra istituzioni e società civile. E’ in questa direzione che si è mossa la Guida dell’AIR nel prescrivere, per tutte le principali fasi dell’analisi, l’adozione delle più moderne tecniche di consultazione, dai focus group ai panel, alle inchieste campionarie. Si tratta solo di garantire dei criteri di scelta tali da assicurare la acquisizione al procedimento di tutti gli interessi socialmente rappresentativi ed evitare, così, i rischi di un coinvolgimento parziale dei soggetti esponenziali.
Otre a dare atto delle recenti tendenze evolutive, quanto sopra esposto aiuta ad individuare quegli aspetti della riforma della regolazione che sono suscettibili di miglioramento ed implementazione, ai fini dell’attuazione di una politica organica di razionalizzazione normativa. Le stesse considerazioni critiche sembrano confermare l’enunciato iniziale per cui la qualità della regolamentazione costituisce non solo un problema di ordine tecnico-giuridico, bensì l’oggetto di una nuova politica dei poteri pubblici che richiede la cooperazione di tutti gli attori del sistema.
Tale politica fa parte integrante di un disegno delle istituzioni più ampio, comprendente, di volta in volta, le politiche di integrazione europea, di semplificazione, di decentramento, di deregolamentazione, e come tale, talvolta, risente dei limiti della scarsa visibilità e dei tempi lunghi.