Rapporto sull’attuazione regionale del d.lgs 112 del 1998

05.12.2002

Introduzione.

Il Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet” della Luiss Guido Carli ha curato, nel febbraio del 2001, per il Servizio Studi della Camera dei Deputati Il Rapporto sull’attuazione regionale del d.lgs 112 del 1998 nel quadro delle attività di monitoraggio dell’attuazione delle riforme amministrative svolte dalla Commissione parlamentare prevista dall’art. 5 della l. 59 del 1997.
La presente versione è stata pubblicata nel numero monografico 1 del mensile “Le Province” n. 5/6 del 2001.
Rispetto alla versione originaria, il Rapporto è stato aggiornato tenendo conto delle leggi regionali sopravvenute. È il caso della l.r. Piemonte 15 marzo 2001, n. 5, che ha modificato ed integrato la l.r. 44/2000, completando in tal modo il processo di conferimento di funzioni e compiti amministrativi agli enti locali, nonché, soprattutto, della l.r. Veneto 13 aprile 2001, n. 11, con la quale si è data la prima ed organica attuazione ai conferimenti statali del d.lgs 112 del 1998 da parte del legislatore regionale.
Nel frattempo, oltre all’evolversi delle scelte di attuazione regionale nella distribuzione delle funzioni a comuni, province ed altri enti locali, è intervenuta, con la l. cost. 3 del 2001, la riforma del Titolo V della Parte Seconda della Costituzione che, nel definire un rinnovato assetto autonomistico della Repubblica, determina un nuovo riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni, nonché nuovi principi costituzionali per le competenze amministrative.
Ovviamente il Rapporto non tiene conto delle modifiche costituzionali, in quanto è volto a fotografare  la situazione dell’attuazione da parte delle singole regioni rispetto ai conferimenti operati con il d. lgs 112, secondo la logica propria della l. 59 del 1997.
Ciò non toglie che proprio la riforma costituzionale ponga oggi in una prospettiva del tutto nuova anche la lettura dei dati relativi all’attuazione da parte delle regioni del d. lgs 112.
Vale solo sottolineare come, per un verso, la costituzionalizzazione dei principi guida dei conferimenti previsti dalla l. 59 del 1997, sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, non operi solo nel senso della stabilizzazione delle scelte compiute alla fine degli anni novanta dai legislatori statali e regionali, ma imponga di riconsiderare il sistema complessivo delle competenze amministrative, per giungere ad una piena, coerente ed organica redistribuzione delle funzioni in attuazione dei nuovi principi costituzionali.
Per altro verso, il riparto delle competenze legislative affermato dal riformato art. 117, produrrà, tra le molte e rilevantissime conseguenze, anche quella di affidare proprio alle regioni il compito di ripensare la distribuzione delle funzioni amministrative a favore degli enti locali in tutte quelle materie in precedenza statali (non rientranti cioè nel vecchio art. 117) e per le quali anche la l. 59 del 1997 aveva confermato la competenza dello Stato ad attribuirne direttamente le funzioni a comuni e province, come poi era effettivamente avvenuto con i decreti attuativi.
Allo stesso tempo, però, proprio la competenza statale affermata dal nuovo art. 117, secondo comma, lett. p), in ordine alla determinazione delle funzioni fondamentali degli enti locali, mantiene allo Stato uno spazio di intervento (più o meno ampio, a secondo dell’interpretazione che se ne darà) per l’individuazione di funzioni amministrative di comuni e province anche in materie regionali.
Il dibattito su questi profili è molto acceso e rappresenta posizioni fortemente differenziate, che non possono che essere evocate senza peraltro che sia possibile offrire argomentazioni adeguate e l’approfondimento, che pure sarebbe necessario, per affrontare nella sua complessità le questioni sul tappeto.
È indubbio, però, che il nuovo assetto dei poteri che scaturisce dalle norme costituzionali riformate con la l. cost. 3 del 2001, non può essere considerato come meramente confermativo di quanto già realizzato nelle tre fasi del decentramento regionale, operato con i trasferimenti del 1972, del 1977 e del 1998. Esso, infatti, impone al legislatore statale e a quello regionale una più generale riconsiderazione delle competenze delle amministrazioni (da quelle statali a quelle locali) alla luce, innanzitutto, della sussidiarietà, completando l’opera di devoluzione delle funzioni a favore delle amministrazioni di base, nonché favorendo – per tutte le materie ora regionali – una distribuzione in chiave differenziata finora esclusa per i settori precedentemente non rientranti nel vecchio art. 117.
In questa prospettiva, il lavoro di analisi delle scelte regionali di attuazione del d. lgs 112 mantiene tutto il suo valore, quale dato conoscitivo della realtà di ciascuna regione nella distribuzione delle funzioni amministrative, rispetto al quale prendere le mosse per una ulteriore decisa opera di decentramento delle competenze a favore degli enti locali, secondo quanto impone il nuovo spirito costituzionale.

Artigianato

Il d.lgs. 112/1998 ha completato la devoluzione delle funzioni iniziata con i decreti di trasferimento degli anni settanta (d.p.r. 2/1972 e d.p.r. 616/1977), determinando la quasi totale “regionalizzazione” della materia, ferme restando le funzioni espressamente e tassativamente riservate allo Stato.
Le regioni sono state, poi, chiamate ad individuare le funzioni amministrative da riservare a sé, conferendo tutte le altre a livello locale.
Nelle ll.rr.delle Marche, della Basilicata e della Liguria (quest’ultima prevede solo una ipotesi di delega a beneficio delle Camere dei Commercio) appare, tuttavia, assente qualsiasi tentativo di ripartizione delle funzioni amministrative a livello locale, successivo al nuovo corpus normativo introdotto dal d.lgs. 112/1998.
I testi legislativi regionali che, invece, provvedono al riordino, in attuazione della normativa del decreto 112, procedono, in primo luogo, al riconoscimento delle funzioni amministrative che necessitano di unitario esercizio a livello regionale e, pertanto, sono riservate alla regione. Risulta sempre riservato al livello regionale l’esercizio di funzioni che riguardano le agevolazioni finanziarie alle imprese artigiane, siano esse dirette alla loro concessione, ovvero siano relative al coordinamento di compiti di concessione conferiti agli enti locali.
Per quanto concerne le province, l’Emilia Romagna, l’Abruzzo e la Toscana spostano a loro beneficio la competenza di carattere generale e residuale nella materia di che trattasi, mentre nelle leggi regionali del Lazio e , si ripete, della Basilicata, delle Marche e della Liguria manca qualsiasi riferimento in ordine alla ripartizione delle funzioni in favore di tale livello di governo. Competenza di carattere residuale nei confronti delle province è individuata, per le regioni “inadempienti”, anche dal d.lgs. 96 / 1999.
La l.r. del Lazio, invece, riconosce una competenza residuale e generale a beneficio dei comuni. Non ripartono funzioni amministrative a livello comunale le ll.rr. della Basilicata, delle Marche, della Liguria e dell’Umbria.
L’attuazione del d.lgs. 112/1998 ha costituito, per il legislatore dell’Umbria, l’occasione per trasferire alle province funzioni precedentemente loro delegate con la l.r. 5/1990. Il rinvio ad assetti funzionali previsti con precedente legge regionale è operato dal legislatore dell’Emilia Romagna, laddove, nell’individuare le funzioni conferite ai comuni, rinvia alle attribuzioni poste in essere con la l.r. 20/1994, e da quello del Veneto per definire le competenze delle province e talune funzioni comunali.
Il rinvio ad un successivo intervento legislativo, diretto alla ripartizione delle funzioni amministrative in materia di artigianato, si rinviene nella l.r. Basilicata, nella l.r. Veneto e nella l.r. Molise. Quest’ultima ha, successivamente, emanato la l.r. 32 / 2000, la quale, col disciplinare in maniera specifica la materia in esame, ha, tra l’altro, provveduto a ripartire le funzioni amministrative tra la regione e gli enti locali.

Industria

La materia dell’industria, che non rientra tra quelle comprese nell’art. 117 della Costituzione e che, di conseguenza, non è presente nei decreti di trasferimento degli anni settanta, è stata considerata, per la prima volta, come oggetto di conferimento delle funzioni amministrative alle regioni ed agli enti locali dal d.lgs. 112/1998.
Il d.lgs. 112 per individuare le funzioni di competenza delle regioni ha utilizzato un criterio di carattere generale e residuale (art. 19).
Esaminando le leggi regionali di attuazione, nella materia di che trattasi, si rileva che le regioni hanno riservato a sé, soprattutto, i compiti amministrativi afferenti la concessione di contributi, agevolazioni, incentivi, benefici di qualsiasi genere e comunque denominati, diretti al settore dell’impresa ed, inoltre, le attività di programmazione, di promozione e di coordinamento.
Il d.lgs. 96/1999, insieme alla l.r. Puglia 24/2000, conferma la generalità e residualità della competenza conferita alle regioni dall’art. 19 del d.lgs. 112/1998, mentre le leggi regionali dell’Abruzzo e della Toscana riconoscono competenza generale e residuale a beneficio delle province.
Nella l.r. Basilicata manca qualsiasi tentativo di ripartizione delle funzioni amministrative a livello locale, sostituito da un generalizzato rinvio ad un successivo intervento legislativo regionale, diretto, tra l’altro, al riordino delle competenze amministrative in materia di industria.
Le ll.rr. della Liguria e del Veneto, per quanto concerne le funzioni provinciali, non fanno altro che ribadire i conferimenti operati dal decreto 112. La l.r. dell’Umbria, invece, trasferisce alle province funzioni precedentemente delegate con la l.r. 12/1995.
Per quanto concerne la sfera di competenza comunale è opportuno evidenziare che, nella trattazione della materia dell’industria, non saranno esposte le funzioni che, sebbene considerate nella maggior parte delle leggi regionali di attuazione nell’ambito della disciplina dei conferimenti ai comuni nella materia di che trattasi, sono collegate alle disposizioni del capo IV del titolo II del decreto 112. Queste saranno oggetto di analisi nella parte relativa ai “conferimenti ai comuni ed allo sportello unico per le attività produttive”.
Volgendo, invece, l’attenzione alle funzioni direttamente connesse alla materia dell’industria, come definita dall’art. 17 del d.lgs. 112/1998, si rileva che, mentre nelle leggi regionali della Toscana, dell’Umbria, della Basilicata e del Veneto si rifugge da qualsiasi tentativo di riordino delle competenze a livello comunale, nelle altre leggi sono conferite ai comuni, nella maggior parte dei casi mediante delega, specialmente funzioni di amministrazione attiva.
Il rinvio a successivo intervento legislativo regionale, anche se di carattere non generale e connesso alla ripartizione di funzioni a livello locale, è previsto anche dalla l.r. Piemonte e dalla l.r. Molise. Quest’ultima regione ha, successivamente, emanato la l.r. 27/2000, la quale provvede al riordino della disciplina in materia di industria.

Conferimenti ai comuni e sportello unico per le attività produttive

Il capo IV del titolo II del d.lgs. 112/1998 attribuisce ai comuni funzioni eterogenee inerenti la “gestione” amministrativa degli insediamenti produttivi sul territorio, le quali concernono la realizzazione, l’ampliamento, la cessazione, la riattivazione, la localizzazione e la rilocalizzazione di impianti produttivi, ivi incluso il rilascio delle concessioni o autorizzazioni edilizie.
Nella maggior parte degli interventi legislativi regionali, l’oggetto in esame viene trattato nell’ambito della riallocazione di funzioni e compiti amministrativi in materia di industria.
Sugli impianti produttivi è esiguo l’intervento regionale diretto alla redistribuzione di funzioni a livello locale; intervento che, beninteso, viene ad aggiungersi ai diretti ed innovativi conferimenti operati dal legislatore delegato del 1998.
I provvedimenti legislativi delle Marche, della Toscana, dell’Umbria e del Piemonte, in materia di insediamenti produttivi, sono esclusivamente incentrati sul ruolo regionale, rispetto alla realizzazione ed al funzionamento degli sportelli unici per le attività produttive a livello comunale.
Gli altri testi legislativi regionali disciplinano l’attività della struttura, che i comuni sono chiamati a creare, diretta alla cura delle attività di cui all’art. 23 del d.lgs. 112/1998 ed all’esercizio delle funzioni di assistenza alle imprese.
Significativo, in quanto si discosta da tutte le altre previsioni legislative è il disposto dell’art. 16 della l.r. Basilicata 7/1999, nel quale si evidenzia che la regione è titolare di un’attività di coordinamento, diretta al miglioramento dei servizi di assistenza alle imprese, ai sensi del comma 2 dell’art. 23 del d.lgs. 112/1998, per l’esercizio della quale ed allo scopo di favorire una maggiore integrazione tra imprese, pubblica amministrazione e territorio, viene istituito uno sportello regionale per le attività produttive.

Energia

Nella materia “energia” la presenza di rilevanti interessi generali ha spinto il legislatore nazionale a riservare allo Stato ampie competenze amministrative, limitando il conferimento di funzioni per le regioni, principalmente, alla materia delle fonti rinnovabili e per gli enti locali al risparmio energetico.
La regionalizzazione del settore energetico, iniziata con la legislazione speciale (l. 29 maggio 1982, n. 308, l. 9 gennaio 1991, n. 9, l. 9 gennaio 1991, n. 10, d.P.R. 26 agosto 1993, n. 412), è stata attuata dal legislatore delegato del 1998 e successivamente dal d.lgs.16 marzo 1999, n. 79, che ha liberalizzato il mercato elettrico.
In generale la ripartizione delle funzioni amministrative tra regioni ed enti locali è stata operata, di regola, con un’organica legge regionale di complessivo riordino funzionale nelle diverse materie previste dal d.lgs. n. 112/1998, salvo le scelte settoriali compiute dalla Toscana con la l.r. 1 dicembre 1998, n. 88 in materia di urbanistica e pianificazione territoriale, protezione della natura e dell’ambiente, tutela dell’ambiente dagli inquinamenti e gestione dei rifiuti, risorse idriche e difesa del suolo, energia e risorse geotermiche, opere pubbliche, viabilità e trasporti, dalla Liguria con la l.r. 21 giugno 1999, n. 18 in materia di ambiente, difesa del suolo ed energia e dal Piemonte con la l.r. 26 aprile 2000, n. 44 in materia di sviluppo economico ed attività produttive, ambiente, protezione civile e infrastrutture, formazione professionale e polizia amministrativa (successivamente integrata dalla l.r. 15 marzo 2001, n. 5).
Il modello di regola utilizzato dal legislatore regionale prevede una tripartizione delle competenze tra regione, provincia e comune, salvo particolari ipotesi in cui viene omesso il livello provinciale, è il caso delle Marche, o quello comunale, è il caso della Toscana, della Lombardia e dell’Abruzzo.
Le leggi regionali della Liguria, dell’Emilia-Romagna, del Piemonte richiamano a fini esplicativi le previgenti leggi regionali sulla materia.
La legge regionale della Toscana rinvia alla l.r. 27 giugno 1997, n. 45 per individuare le competenze comunali e la legge regionale dell’Abruzzo rimanda all’art. 15 della l.r. 12 agosto 1998, n. 72 per specificare le funzioni riservate alla regione.
Solo la legge regionale dell’Emilia-Romagna si preoccupa di dedicare un’apposita sezione alla semplificazione, prevedendo un articolato intervento di sostituzione e abrogazione di alcune norme contenute nella l.r. 22 febbraio 1993, n. 10 in materia di distribuzione di energia elettrica.
La maggior parte delle regioni hanno proceduto alla redistribuzione a livello locale di molte funzioni conferite loro sia dal d.lgs. n. 112/1998 sia dalla previgente disciplina di settore.
È possibile rintracciare in quasi tutte le leggi regionali, per il livello regionale e provinciale, la tripartizione delle funzioni amministrative in indirizzo e programmazione, coordinamento e controllo, amministrazione attiva, per quest’ultima tipologia di funzione si tratta spesso di un elenco analitico.
Dato comune a tutte le leggi regionali di attuazione, tranne per il Lazio, per le Marche e per il Veneto, è la previsione espressa dell’adozione da parte della regione del piano energetico regionale, strumento di definizione della politica energetica regionale, e degli atti di indirizzo e coordinamento per la sua attuazione.
Le funzioni di coordinamento e di promozione esercitate dalle regioni sono rivolte soprattutto al settore delle fonti energetiche rinnovabili e del risparmio energetico. Difatti quasi tutte le leggi regionali di attuazione (Basilicata, Molise, Piemonte, Liguria, Lombardia, Lazio) attribuiscono alle regioni la competenza inerente alla promozione dell’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili nelle attività produttive, economiche e urbane, nonché quelle relative all’organizzazione dei relativi processi in funzione del risparmio energetico, anche tramite il coordinamento con gli strumenti di pianificazione ambientale e territoriale.
Se nella legge regionale delle Marche manca qualsiasi riferimento in ordine alle funzioni riferite al livello provinciale, tutte le altre leggi regionali di attuazione, tranne quella dell’Abruzzo, richiamano le funzioni attribuite alle province dall’art. 31 del d.lgs. n. 112/1998 ovvero procedono ad una redistribuzione delle stesse.
Tutte le regioni si sono preoccupate di riconoscere alle province, nell’ambito della politica energetica regionale, la funzione di indirizzo, che si esprime nella redazione ed adozione dei programmi di intervento per la promozione delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico.
Il livello comunale di redistribuzione delle funzioni amministrative non è disciplinato dalla legislazione regionale di Toscana, Lombardia ed Abruzzo. Le altre leggi regionali si preoccupano generalmente di riallocare alcune funzioni disciplinate dalla l. n. 10/1991.
Infine, in relazione al titolo del trasferimento di funzioni, con riguardo al livello provinciale, utilizzano lo strumento dell’attribuzione di funzioni la legge regionale della Basilicata, della Toscana e del Lazio.
Ricorrono alla delega di funzioni la legge regionale del Lazio, della Lombardia, del Molise, dell’Abruzzo nonché dell’Umbria e del Veneto, che prevedono una particolare forma di subdelega.
Solo la legge regionale della Lombardia impiega il modulo del trasferimento di funzioni.
Circa il livello comunale, se la legge regionale del Lazio fa riferimento all’attribuzione, le leggi regionali delle Marche e del Veneto, invece, adottano la delega delle funzioni.

Miniere e risorse geotermiche

Hanno finora provveduto al riordino delle competenze amministrative relative a miniere e risorse geotermiche: la Toscana, l’Umbria, l’Abruzzo, la Basilicata, la Liguria, l’Emilia Romagna, le Marche, il Lazio, il Molise, la Lombardia, il Piemonte, la Puglia e il Veneto.
In ordine al ruolo regionale di distribuzione delle funzioni, possono individuarsi schematicamente tre modelli. Al primo appartengono le regioni che non innovano rispetto al quadro delle funzioni trasferite dal d.lgs. n. 112/98: si tratta della Basilicata, della Liguria e del Lazio. Queste risultano quindi anche le regioni che mantengono al proprio livello la totalità delle funzioni in materia. Il secondo modello ricomprende le regioni che procedono ad una redistribuzione delle funzioni conferite dal d. 112: è il caso dell’Umbria, dell’Abruzzo, delle Marche, del Piemonte, della Puglia e del Veneto (che operano una redistribuzione a favore esclusivamente delle province), e dell’Emilia Romagna (che ridistribuisce anche a favore dei comuni). Il terzo modello ricomprende infine quelle regioni che non soltanto ridistribuiscono rispetto ai conferimenti ex d. 112, ma riordinano complessivamente la materia operando una distribuzione di funzioni non rientranti nei nuovi conferimenti: si tratta della Lombardia, che sub-delega alle province le funzioni relative alla ricerca, prospezione e concessione per lo sfruttamento di risorse geotermiche di interesse locale, e del Molise, che sub-delega a province e comuni le funzioni amministrative di gestione degli interventi previsti da programmi UE.
Opera un rinvio a leggi regionali di settore previgenti l’Emilia Romagna, in ordine alla funzione regionale – ora sub-delegata alle province – di vigilanza in materia di polizia mineraria.
In ordine ai titoli del conferimento, trattandosi di funzioni delegate alle regioni, l’unico titolo di trasferimento a cui si è fatto ricorso è naturalmente quello della sub-delega.
Relativamente alle regioni inadempienti, il d.lgs. n. 96/1999 (art. 8) dispone l’esercizio a livello regionale delle funzioni degli uffici centrali e periferici dello Stato relative ai permessi di ricerca ed alle concessioni di coltivazione di minerali solidi e delle risorse geotermiche sulla terraferma, nell’osservanza degli indirizzi della politica nazionale del settore minerario e dei programmi nazionali di ricerca (ex art. 34, comma 1, d. 112), nonché la determinazione delle tariffe entro i limiti massimi fissati dallo Stato (ex art. 34, comma 4, d. 112).
Il d. 96 assegna altresì alle province l’esercizio delle funzioni di polizia mineraria su terraferma che le leggi vigenti attribuiscono agli ingegneri capo dei distretti minerari ed ai prefetti, e le funzioni di polizia mineraria relative alle risorse geotermiche su terraferma (art. 9, comma 1, lett. a) e b), nonché le funzioni di concessione ed erogazione degli ausili finanziari previsti da leggi dello Stato (art. 9, comma 1, lett. c).

Acque minerali e termali

Le acque minerali e termali non formano oggetto di specifica disciplina nel d. 112.
Finora soltanto tre leggi regionali recano una specifica disciplina in materia dedicandovi un Capo apposito (Lazio, Molise e Piemonte), mentre la l.r. Umbria e il d.lgs. n. 96/1999 contengono solo un breve riferimento all’interno della disciplina relativa a miniere e risorse geotermiche.
Con riguardo ai titoli del conferimento, nella generalità dei casi, fatto salvo il caso del Piemonte, le funzioni provinciali e comunali sono direttamente attribuite. Le altre specifiche deleghe che si registrano in materia riguardano: le funzioni amministrative di vigilanza e di polizia sulle attività di ricerca, coltivazione e utilizzazione delle acque minerali e termali, delegate alle province (Umbria); l’esercizio delle funzioni amministrative di autorizzazione per l’apertura e l’esercizio di stabilimenti termali e per l’imbottigliamento delle acque minerali, delegato ai comuni, singoli e associati (Molise).
In ordine ai modelli di attuazione seguiti dalle regioni, si segnala che Molise e Lazio, pur mantenendo in capo alla regione numerosi e rilevanti funzioni sia di indirizzo e programmazione che di amministrazione attiva, procedono ad una redistribuzione dei compiti in materia che coinvolge ampiamente anche comuni e province. Umbria e regioni inadempienti sono invece chiamate ad occuparsi essenzialmente di compiti di vigilanza sull’osservanza delle norme di polizia delle miniere e delle norme in materia di igiene e sicurezza del lavoro, compiti che l’Umbria delega e le altre regioni attribuiscono (o si vedono attribuire dal d. 96) alle province.

Cave e torbiere

La materia in oggetto, pur essendo ricompresa nell’elenco dell’art. 117 cost., non compare nel d.lgs. n. 112/1998.
Hanno finora provveduto al riordino delle competenze amministrative relative a cave e torbiere: l’Umbria, le Marche, il Lazio, il Molise, il Piemonte, la Puglia ed il Veneto.
In ordine al ruolo regionale di distribuzione delle funzioni, si individuano schematicamente due modelli. Il primo ricomprende le regioni che contemplano nella l.r. di attuazione del d. 112 e ridistribuiscono solo le funzioni conferite dal d.P.R. 616/77: si tratta dell’Umbria e delle Marche.
Il secondo modello ricomprende invece quelle regioni che procedono ad un complessivo riordino della materia, ridistribuendo anche funzioni ulteriori rispetto a quelle loro trasferite nel 1977: è questo il caso del Molise, del Lazio, del Piemonte e della Puglia.
La l.r. Veneto contiene solo un breve riferimento, all’interno della disciplina relativa a miniere e risorse geotermiche.
Le regioni che operano rinvii per la determinazione delle funzioni regionali e locali sono: il Lazio, che rinvia a leggi statali di settore in ordine alle funzioni regionali di rilascio di concessioni e autorizzazioni alla coltivazione su corsi d’acqua, e di vigilanza sull’osservanza delle norme di polizia; il Molise, che rinvia a leggi regionali di settore future in ordine alla realizzazione di un complessivo riordino della materia; il Piemonte, che rinvia a leggi regionali previgenti in ordine alla programmazione dell’attività estrattiva e per l’esercizio di cave di prestito; il Veneto che richiama una precedente legge in materia di polizia delle cave e delle acque minerali e termali.
In ordine ai titoli del conferimento, non sono individuabili in materia soluzioni omogenee, nel senso che – se si escludono i compiti di natura consultiva e propositiva e le competenze residuali, che sono sempre direttamente attribuite – accade nella più parte dei casi che una stessa funzione sia oggetto di delega in una regione e di attribuzione in un’altra. Così accade ad esempio per: l’insieme delle funzioni in materia di polizia mineraria, igiene e sicurezza del lavoro, che sono conferite alle province da Umbria e Marche a titolo di delega, dal Piemonte e dal d. 96 a titolo di attribuzione; il rilascio dell’autorizzazione per la coltivazione di cave e torbiere, che il Molise fa oggetto di una futura delega alle province, il Lazio delega ai comuni e il Piemonte invece attribuisce direttamente a questi ultimi; la gestione delle coltivazioni, che è fatta oggetto di futura delega alle province nel suo complesso e di diretta attribuzione ai comuni in ordine al rilascio di concessioni edilizie in Molise, mentre il Lazio delega ai comuni la realizzazione degli interventi di valorizzazione delle risorse delle cave e di potenziamento delle strutture produttive.
In ordine ai modelli di attuazione seguiti dalle regioni, si segnala che in Molise, Puglia e Lazio risulta prevalente il mantenimento delle funzioni a livello regionale, mentre nelle restanti regioni le funzioni vengono più ampiamente distribuite fra i diversi livelli di governo. Per le regioni inadempienti, invece, il d.lgs. n. 96/1999 (art. 9) prevede soltanto l’esercizio a livello provinciale delle funzioni di polizia mineraria in materia di coltivazione di cave e torbiere.
Il Molise e il Lazio si segnalano infine sia per l’attribuzione a livello regionale di ampie funzioni programmatorie e di indirizzo accompagnate da rilevanti funzioni di amministrazione attiva, sia per la ripartizione operata nelle rispettive leggi regionali di un numero elevato di funzioni, che testimonia l’intento di realizzare un riordino complessivo della materia.

Fiere e mercati

Hanno finora provveduto al riordino delle competenze amministrative relative a fiere e mercati: la Toscana, l’Umbria, l’Abruzzo, la Basilicata, la Liguria, l’Emilia Romagna, le Marche, il Lazio, il Molise, la Lombardia, il Piemonte, la Puglia ed il Veneto.
In ordine al ruolo regionale di distribuzione delle funzioni, possono individuarsi schematicamente tre modelli. Il primo ricomprende le regioni che non innovano rispetto al quadro delle funzioni conferite dal d. 112: è questo il caso dell’Umbria, della Liguria, dell’Emilia Romagna, del Molise, del Piemonte, della Puglia e del Veneto. In particolare, l’Umbria richiama puntualmente lo schema del d. 112, con la sola esclusione della funzione regionale di coordinamento dei tempi di svolgimento delle manifestazioni fieristiche ex art. 41, comma 4. La Liguria e la Puglia ribadiscono invece la permanenza in capo alla regione di tutte le funzioni amministrative in materia di fiere e mercati e di commercio, ad eccezione di quelle che il d. 112 conserva allo Stato e attribuisce ai comuni. L’Emilia Romagna e il Molise, infine, richiamando genericamente l’art. 41 del d. 112, rinviano entrambe ad un riordino della materia da operarsi successivamente. Il secondo modello ricomprende le regioni che invece operano una redistribuzione delle funzioni conferite dal d. 112: si tratta della Toscana, che attribuisce ai comuni due funzioni regionali: il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento delle fiere nazionali e regionali, e la concessione e l’erogazione di ogni tipo di ausilio finanziario; e delle Marche, che delegano ai comuni la funzione regionale relativa al rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento delle fiere nazionali e regionali.
Il terzo modello ricomprende infine quelle regioni che, pur non alterando il quadro dei trasferimenti delineato dal d. 112, procedono ad un complessivo riordino della materia, operando una redistribuzione di funzioni non rientranti nei nuovi conferimenti: è il caso della Basilicata, dell’Abruzzo, della Lombardia e del Lazio.
Le regioni che rinviano per la determinazione delle funzioni regionali e locali a leggi regionali di settore previgenti sono: la Lombardia (in ordine alle funzioni amministrative regionali concernenti l’Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano e il riconoscimento degli enti fieristici, e alle funzioni comunali in materia di manifestazioni fieristiche provinciali e di deroghe alla durata delle fiere); l’Abruzzo (in ordine alla funzione regionale di promozione, sostegno ed incentivazione delle attività fieristiche); la Liguria (in ordine alle funzioni comunali in materia di mercati all’ingrosso); l’Umbria (in ordine alle funzioni amministrative comunali in materia di mercati); il Veneto (in ordine alla funzione comunale di riconoscimento della qualifica di manifestazioni fieristiche di rilevanza locale).
Operano invece un rinvio a leggi regionali di settore future l’Emilia Romagna (per la disciplina dell’attività fieristica e lo sviluppo del sistema fieristico); il Molise (per una disciplina organica dell’attività fieristica, lo sviluppo del sistema fieristico regionale, e la disciplina per la costituzione di enti fieristici); la Puglia (per la disciplina dell’attività fieristica, lo sviluppo del sistema fieristico e il riordino degli enti fieristici); la Basilicata, che rinvia ad un futuro testo unico di riordino della materia che dovrà provvedere anche alla razionalizzazione del sistema delle deleghe agli enti locali ed alle autonomie funzionali, in modo che ad essi siano attribuiti la generalità delle funzioni amministrative e dei compiti di natura gestionale, sia nelle materie rientranti nell’articolo 117 della Costituzione, sia in quelle oggetto di conferimento alla Regione disciplinate dalla l.r. di attuazione del d. 112.
In ordine ai titoli del conferimento le regioni possono agevolmente suddividersi in due gruppi: quelle che hanno optato esclusivamente per l’attribuzione, e quelle che hanno adottato – per così dire – un criterio misto, associando alla attribuzione diretta la delega di funzioni agli enti locali minori. Appartengono al primo gruppo l’Abruzzo, l’Umbria, l’Emilia Romagna, la Toscana, la Puglia e il Molise; al secondo gruppo il Lazio, la Lombardia, la Basilicata e le Marche. In particolare, nell’ambito del secondo gruppo, soltanto le Marche prevedono una delega per l’esercizio di funzioni attribuite alla regione dal d. 112 (delega ai comuni per l’autorizzazione allo svolgimento di manifestazioni fieristiche nazionali e regionali), mentre il Lazio, la Lombardia e la Basilicata delegano l’esercizio di funzioni non contemplate dal d. 112: le prime due delegano ai comuni le decisioni in ordine alle deroghe alla durata delle fiere, mentre la terza rinvia la previsione di deleghe ad enti locali e autonomie funzionali ad un futuro T.U. di riordino della materia.
In ordine ai modelli di attuazione, si segnala che specialmente il Lazio e l’Abruzzo procedono in misura superiore alle altre regioni ad una localizzazione di funzioni anche a livello sub-regionale, a particolare vantaggio dei comuni.
Con riferimento infine ai profili di riordino sostanziale, l’Abruzzo, il Lazio e la Lombardia hanno proceduto, in sede di attuazione del d. 112, ad una complessiva ricognizione delle funzioni regionali e locali in materia, operando una redistribuzione che si estende a compiti non rientranti nei nuovi conferimenti e che coinvolge anche enti locali o comunque soggetti diversi da quelli contemplati dal d. 112. In particolare, la Lombardia dispone un riordino relativo all’intera materia degli enti fieristici e degli altri soggetti organizzatori di manifestazioni fieristiche.

Turismo

In materia di turismo, il trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle regioni a statuto ordinario è avvenuto, dapprima, con il d.p.r. 6/1972 e, poi, con il d.p.r. 616/1977.
Il d.lgs. 112/1998, nel quadro del conferimento alle regioni di tutte le funzioni amministrative nella materia trattata, indica le competenze tassativamente riservate allo Stato.
Dall’esame dei testi legislativi regionali di attuazione del decreto 112 si rileva che le regioni mantengono alla loro competenza sia funzioni di coordinamento, di promozione e di programmazione, sia funzioni di indirizzo, sia funzioni di amministrazione attiva.
Il decreto “sostitutivo” 96/1999 prevede una generale e residuale competenza in favore delle regioni.
La l.r. Basilicata ha sostituito la diretta ripartizione delle funzioni amministrative a livello locale con un generalizzato rinvio ad un successivo intervento legislativo regionale di riordino della materia. Il rinvio a futuro intervento del legislatore regionale si rinviene anche nelle ll.rr. del Lazio, del Molise e del Piemonte, tuttavia, accompagnato, da riparto delle competenze.
Nelle ll.rr. dell’Emilia Romagna e della Liguria manca qualsiasi riferimento in ordine alla riallocazione delle funzioni amministrative a livello locale e si rinvia a quella operata con precedenti leggi regionali, quali, per l’Emilia Romagna, la l.r. 7/1988 e la l.r. 3/1993 e, per la Liguria, la l.r. 11/1982, la l.r. 13/1992, la l.r. 6/1993, la l.r. 28/1997 e la l.r. 5/1998.
La l.r. dell’Abruzzo sposta la competenza generale e residuale a beneficio delle province. Mentre, la l.r. Puglia non prevede conferimenti nei confronti di tale livello di governo.
Dalle specifiche competenze conferite alle province risulta che le stesse sono competenti, soprattutto, in ordine all’esercizio di funzioni di amministrazione attiva, con l’eccezione della l.r. Piemonte, la quale, fra le competenze di spettanza provinciale, enumera quella attinente all’elaborazione di programmi turistici, da porre in essere in coerenza con gli indirizzi dettati dai programmi regionali.
Per quanto concerne i comuni, la l.r. del Lazio e la l.r. della Toscana spostano a loro beneficio la competenza di carattere residuale, mentre nelle leggi regionali della Lombardia, dell’Abruzzo e, come già evidenziato, della Basilicata manca una riallocazione di compiti amministrativi alla loro spettanza. Le ll.rr. dell’Emilia Romagna, della Liguria e della Puglia rinviano a precedenti partizioni.
Delle leggi regionali che provvedono al riparto si rileva che ai comuni spettano, soprattutto, funzioni di amministrazione attiva e di vigilanza.
L’attuazione del decreto 112 ha costituito per il legislatore dell’Umbria e per quello dell’Abruzzo l’occasione per la modifica del titolo del conferimento di funzioni già precedentemente allocate a livello locale, con la l.r. Umbria 20/1996 e con la l.r. Abruzzo 54/1997.
La l.r. Toscana 42/2000 costituisce “testo unico” della disciplina del sistema del turismo a livello regionale e provvede, inoltre, al riparto delle funzioni amministrative tra la regione e gli enti locali. Tale legge ha provveduto alla abrogazione dell’art. 21 della l.r. 87/1998, il quale aveva costituito il primo momento di attuazione della normativa dettata dal d.lgs. 112/1998 relativamente alla materia trattata.

Territorio e urbanistica

La materia “territorio e urbanistica”, disciplinata nel Capo II del Titolo III del d.lgs. 112/98, presenta rilevanti peculiarità, legate anzitutto al fatto che per essa il conferimento dei compiti ai diversi livelli di governo risulta in parte realizzato al di fuori (se non prima) dei decreti di trasferimento delle funzioni amministrative succedutisi nel tempo. Più precisamente, se la disciplina fondamentale continua ad essere quella dettata dalla l. 1150/1942, merita un cenno almeno la l. 142/90, caratterizzata dall’attribuzione di significativi compiti urbanistici alla provincia; su questa ossatura fondamentale si salda poi una copiosa legislazione regionale di settore.
Per altro verso è da tener conto che l’art. 1, d.P.R. 8/72 ha provveduto ad imputare alle regioni un consistente nucleo di funzioni per l’innanzi riservate allo Stato dalla citata legge urbanistica. Infine il d.P.R. 616/77 ha delegato alla regione le funzioni amministrative attinenti alla protezione delle bellezze naturali sotto i diversi profili della loro individuazione e tutela, determinando un considerevole ampliamento del concetto di urbanistica giunto ormai a coincidere con la generica nozione di “governo del territorio”.
In conseguenza delle particolarità appena segnalate il legislatore delegato, operando una scelta diversa rispetto a quella di cui si ha traccia nella generalità degli altri casi e confermata in occasione dell’esercizio del potere sostitutivo (d.lgs. 96/99), non ha inteso orientare l’attività delle regioni attraverso l’indicazione di un nucleo di funzioni da devolvere alle diverse istanze di governo. Se a ciò si aggiunge la notevole mobilità dei confini della materia in oggetto, ci si rende conto della difficoltà di condurre un’analisi comparativa per modelli omogenei della legislazione regionale.
Appare tuttavia possibile formulare qualche considerazione di portata generale. In primo luogo è d’uopo segnalare l’utilizzo abbastanza frequente della tecnica del rinvio. Così, alcune regioni (Basilicata, Emilia Romagna, Lazio, Molise, Veneto, Piemonte) rimandano a futuri interventi il riassetto della materia, anche sotto il profilo della redistribuzione delle funzioni. D’altra parte è assai frequente il rinvio a precedenti leggi sia statali che regionali, giustificato dall’esigenza di individuare la disciplina applicabile in attesa del riassetto previsto (Basilicata, Molise, Abruzzo, Veneto), di confermare indistintamente e riassuntivamente un corpus di funzioni sul quale il legislatore regionale non intende incidere (Umbria), ovvero di precisare le fonti nelle quali i compiti indicati trovano la propria disciplina originaria.
Sul piano dei modelli di redistribuzione, è da dire che le regioni si riservano essenzialmente compiti di programmazione, indirizzo, vigilanza; ciò avviene soprattutto nei casi in cui le attribuzioni di tale livello di governo vengono determinate per clausole generali (Molise, Umbria). Non manca però il riconoscimento di funzioni di amministrazione attiva, soprattutto nei casi in cui la legge attuativa si colloca sostanzialmente quale testo unico ricognitivo dell’esistente (Lazio e Puglia).
Lo stesso discorso vale anche per la provincia alla quale viene conservato, nel solco della l.142/90, il compito di redigere i piani territoriali di coordinamento (Molise, Lombardia, Abruzzo, Emilia Romagna, Piemonte, Liguria, Basilicata, Veneto; per le regioni inadempienti, cfr. d.lgs. 96/99); ancora una volta, però, si aggiungono numerose funzioni di amministrazione attiva (Lazio).
Infine, per quello che attiene ai comuni, non sembra che particolari innovazioni vengano introdotte alla loro tradizionale collocazione di soggetti protagonisti della pianificazione territoriale.

Edilizia residenziale pubblica

L’edilizia residenziale pubblica forma oggetto di un’apposita sezione del Capo II del Titolo III del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, concernente l’urbanistica ed il territorio. La particolare collocazione sistematica prescelta nel caso di specie dal legislatore delegato evidenzia pertanto il superamento dell’impostazione tradizionale fatta propria dal d.p.r. 616/77 e fondata sulla rilevazione del nesso tra la materia de qua ed i lavori pubblici di interesse regionale.
La legislazione regionale attuativa si mantiene in linea di principio fedele all’assetto cui si è appena fatto cenno e sembra caratterizzata dalla tendenza a sviluppare in maniera prevalentemente assai ampia lo scarno nucleo di funzioni che l’art. 60 del decreto 112 demanda indistintamente alla sfera delle autonomie. Altro elemento che accomuna i diversi interventi normativi è costituito dalla configurazione in capo alla regione di compiti essenzialmente attinenti alla programmazione ed alla “grande localizzazione”, anche se ciò non toglie che in taluni casi siano state individuate funzioni di tipo più propriamente operativo (Lazio, Lombardia, Umbria, Basilicata).
Il profilo di più rilevante differenziazione è invece rappresentato dal fatto che, mentre alcune leggi regionali (Lazio, Molise, Umbria, Toscana e Veneto) nonché il d.lgs. 96/99 attraverso cui si è materializzato l’intervento sostitutivo del governo, non contemplano la provincia quale livello di allocazione di funzioni amministrative in materia di edilizia residenziale pubblica, in altre circostanze si è ritenuto opportuno individuare, in posizione di tertium genus, un ambito di interessi sovracomunali da affidare alle cure dell’ente intermedio. In particolare quest’ultimo, ove presente, si vede imputate competenze afferenti a vario titolo al rilevamento del fabbisogno abitativo (Marche, Liguria, Lombardia, Abruzzo).
Per parte sua il comune si colloca alla stregua di soggetto esecutore degli indirizzi elaborati dalla regione nella sede della programmazione, ma non manca di esercitare poteri di impulso e di proposta in ordine all’adozione degli atti programmatori (Lazio).

Protezione della natura e dell’ambiente

Le prime due sezioni del Capo III del Titolo III del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 sono dedicate alle funzioni amministrative concernenti la tutela ambientale nei suoi profili generali (comprensivi della valutazione di impatto ambientale, delle attività a rischio di incidente rilevante, delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale), la protezione della flora e della fauna, i parchi e le riserve naturali. Si tratta a ben guardare di una disciplina assai complessa ed articolata, attraverso la quale il legislatore delegato ha mostrato di collocarsi appieno nella tendenza a fare della regione, ben oltre la portata meramente letterale delle competenze enumerate dall’art. 117 Cost., il centro propulsore delle attività finalizzate alla tutela dell’ambiente naturale.
In effetti, alla soppressione di uno strumento di pertinenza statale quale il programma triennale per la tutela dell’ambiente (artt. 68, d.lgs. 112/1998), chiaramente incompatibile con i principi di delega contenuti nella l. 59/1997, si è accompagnata nella legislazione attuativa del terzo processo di conferimento una evidente valorizzazione delle funzioni programmatorie regionali (Basilicata, Emilia Romagna, Lombardia, Molise, Puglia, Liguria, Umbria) del resto abbozzata anche nel d.lgs. 96/1999 operante nei confronti delle regioni a tutt’oggi inadempienti. Ciò ha consentito la costruzione di un assetto più coerente con l’esigenza di garantire la completezza, la responsabilità, l’unicità dell’amministrazione.
Naturalmente tutto questo non implica che, analogamente a quel che si verifica in numerosi altri settori, la regione non sia al tempo stesso attributaria di funzioni di amministrazione attiva. Ve ne sono, anzi, alcune di notevolissimo rilievo, per altro direttamente imputate all’ente regionale dal d.lgs. 112/1998, relative ad esempio all’individuazione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale o ad elevata concentrazione di attività a rischio di incidente rilevante (Molise, Piemonte, Toscana, Umbria, Basilicata, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Puglia, Veneto).
Gli altri livelli di governo, pur collocati tendenzialmente in posizione recessiva rispetto alla regione sotto il profilo dell’ampiezza e della rilevanza delle funzioni, non risultano tuttavia completamente esclusi dall’operazione di redistribuzione delle competenze. Così la provincia è chiamata a svolgere compiti, essenzialmente anche se non esclusivamente, di amministrazione attiva, afferenti all’autorizzazione unica ambientale (Liguria e Piemonte), ai parchi di interesse sovracomunale (Lombardia, Liguria, Piemonte), alla commercializzazione di animali selvatici (Lazio, Marche, Puglia), ecc.; particolarmente incisiva è la valorizzazione dell’ente intermedio da parte dell’Abruzzo.
Il comune, per parte sua, è tenuto in considerazione quale centro d’imputazione di specifiche funzioni operative dal decreto sostituivo in ordine alla commercializzazione e detenzione degli animali selvatici, dalla Liguria in ordine all’autorizzazione unica ambientale per i casi non riservati alla provincia, dal Piemonte in ordine alla diffusione delle misure di sicurezza e delle norme di comportamento in caso di incidente rilevante.
Infine è da segnalare l’amplissimo ricorso, nei diversi settori nei quali si articola la tutela ambientale generale, alla tecnica del rinvio. Questa si ispira anzitutto all’esigenza di riforma della disciplina legislativa di alcune materie (Basilicata, Liguria, Molise, Emilia Romagna, Veneto, ecc.); in altre circostanze emerge la volontà del legislatore regionale di confermare l’assetto normativo pregresso di taluni ambiti (Abruzzo, Emilia Romagna, Veneto, ecc.). Infine emerge talora l’esigenza di collegare la redistribuzione delle funzioni all’adozione di rilevanti atti statali: ad esempio, in materia di valutazione di impatto ambientale, alcune regioni rinviano all’atto di indirizzo e coordinamento che, ex art. 71, comma 2, d.lgs. 12/1998, deve individuare le categorie di opere , di interventi e di attività attualmente sottoposte a VIA statale, da trasferire alla competenza delle regioni (Umbria, Basilicata).

Inquinamento idrico

Nella presente materia la maggior parte delle leggi regionali opera una semplice ridistribuzione delle funzioni conferite dal d.lgs. 112/98. Infatti solo le leggi delle regioni Lazio (l.r. n. 14/99) e Piemonte (l.r. n. 44/00) hanno realizzato una più generale ripartizione di funzioni, superando le aspettative del decreto delegato.
Alcune regioni, peraltro, nel ridistribuire i compiti e le funzioni rinviano al riparto di competenze previsto dalla normativa regionale futura, in tal modo esulando dalle prescrizioni del 112.
In tal senso, la regione Lombardia (l.r. n. 1/00), la regione Veneto (l.r. n. 11/01) e la regione Liguria (l.r. n. 43/95) si riferiscono a leggi regionali future da adottare, rispettivamente, in conformità alle disposizioni del d.lgs.152/99 e delle direttive 91/271/CEE e 91/676/CEE.
Altre regioni, invece, pur non operando un espresso rinvio alle competenze individuate da leggi regionali future o precedenti, fanno salve le disposizioni da queste ultime previste, oppure rinviano alle stesse per una migliore individuazione delle funzioni da riservare alle regioni o trasferire a livello locale. Le leggi regionali dell’Abruzzo (l.r. n. 11/99), della Liguria (l.r. n. 18/99) e della Puglia (l.r. n. 17/00), infatti, per quanto concerne i compiti attribuiti a province e comuni, fanno salvo quanto disposto rispettivamente dalla l.r. n. 72/98 e dalla l.r. n. 43/95 e dalla l.r. n. 31/95.
Sebbene dalla lettura delle leggi regionali sia difficile individuare un modello di attuazione e ridistribuzione unitario, non essendo agevole individuare blocchi comuni di materie attribuiti ad uno stesso ente, occorre rilevare che alle regioni sono riservate funzioni di indirizzo, coordinamento, programmazione (es: ll.rr. Basilicata n. 7/99, Emilia Romagna n. 3/99, Lazio n. 14/99, Toscana n. 88/98, Marche n. 10/99, Molise n. 34/99, Umbria n. 3/99, Liguria n. 18/99, Piemonte n. 44/00, Puglia n. 17/00), funzione di pianificazione a livello regionale (prevista dalle ll.rr. Basilicata n. 7/99, Liguria n. 18/99, Umbria n. 3/99, Puglia n. 17/00), nonché di organizzazione (della rete regionale di monitoraggio ambientale e del sistema informativo regionale delle risorse idriche: l.r. Piemonte n. 44/00, Puglia n. 17/00).
Alle province, alle quali la l.r. Toscana riconosce una competenza di carattere generale e residuale, invece, spettano prevalentemente le funzioni di monitoraggio (es: ll.rr. Toscana n. 88/98, Lazio n. 14/99, Marche n. 10/99, Molise n. 34/99, Umbria n. 3/99, Emilia Romagna 3/99, Puglia n. 17/00), di regolazione (es: ll.rr. Emilia Romagna n. 3/99, Lazio n. 14/99, Marche n. 10/99, Molise n. 34/99, Umbria n. 3/99, Puglia n. 17/00) e di autorizzazione (es: ll.rr. Basilicata n. 7/99, Lazio n. 14/99, Abruzzo n. 11/99, Umbria n. 3/99, Emilia Romagna n. 3/99, Puglia n. 17/00, Toscana, n. 88/98).
Quanto ai comuni, le leggi regionali conferiscono loro funzioni amministrative attinenti prevalentemente alle autorizzazioni ad alcuni tipi di scarichi (es: ll.rr. Emilia Romagna n. 3/99, Lazio n. 14/99, Molise n. 34/99, Piemonte n. 44/00, Abruzzo n. 11/99, Marche n. 10/99, Liguria n. 18/99, Puglia n. 17/00). I comuni, inoltre, esercitano anche funzioni propulsive ( l.r. Liguria 18/99) e funzioni esercitabili nei casi di necessità e d’urgenza (l.r. Lazio n. 14/99).
Nell’ambito delle leggi regionali adottate è da rilevare l’assenza di disposizioni di riordino della disciplina procedurale.

Inquinamento acustico

Nella presente materia la maggior parte delle leggi regionali opera una semplice ridistribuzione delle funzioni conferite dal d.lgs. 112/98. Solo le leggi delle regioni Lazio (l.r. n. 14/99) e Piemonte (l.r. n. 44/00) hanno realizzato una più generale ripartizione di funzioni, superando le aspettative del decreto 112 di semplice riallocazione delle funzioni amministrative a livello locale. Si rileva che Toscana (l.r. n. 89/98) e Liguria (l.r. n. 18/99), inoltre, hanno predisposto un testo normativo che ha introdotto nuove disposizioni, anche procedurali, di integrazione o modifica del quadro normativo precedente, in tal modo andando oltre le previsioni del decreto delegato.
Alcune regioni, peraltro, nel ridistribuire i compiti e le funzioni, rinviano al riparto di competenze previsto dalla normativa nazionale pregressa.
La materia dell’inquinamento acustico, infatti, è stata compiutamente disciplinata dall’apposita legge quadro 26 ottobre 1995 n. 447 che, alla luce di quanto emerso dall’analisi delle leggi regionali adottate in attuazione del decreto 112, sembra aver ispirato buona parte dei testi normativi regionali per quanto concerne l’individuazione e la distribuzione a livello locale delle funzioni amministrative.
Le leggi delle regioni Lazio (l.r. n. 14/99), Lombardia (l.r. n. 1/00), Basilicata (l.r. n. 7/99), Molise (l.r. n. 34/99), Emilia Romagna (l.r. n. 3/99), Abruzzo ( l.r. n. 11/99), Toscana (l.r. n. 89/98), Piemonte (l.r. n. 44/00) e Puglia (l.r. n. 17/00) rinviano, infatti, ancorché a vario titolo, alle disposizioni della legge nazionale menzionata.
Le leggi regionali della Toscana (l.r. n. 89/98) e della Liguria (l.r. n. 18/99), inoltre, allo stesso fine rinviano a testi normativi regionali precedenti (l.r. Toscana n. 5/95 e l.r. Liguria n. 12/98, recanti rispettivamente Norme per il governo del territorio e Disposizioni in materia di inquinamento acustico). La l.r. Veneto (l.r. n. 11/01), da un lato, rinvia alla ripartizione operata dalla normativa regionale previgente e, dall’altro, rimanda ad un futuro intervento legislativo di riordino sulla materia
Sebbene dalla lettura delle leggi regionali sia difficile individuare un modello di attuazione e ridistribuzione unitario, non essendo agevole individuare blocchi comuni di materie attribuiti ad uno stesso ente, occorre sottolineare che alle regioni sono riservate funzioni di indirizzo (es: ll.rr. Molise n. 34/99, Abruzzo n. 11/99, Toscana n. 89/98, Basilicata n. 7/99, Piemonte n. 44/00, Lombardia n. 1/00, Puglia l.r. n. 17/00), di pianificazione (es: ll.rr. Toscana n. 89/98 e Piemonte n. 44/00), di coordinamento (es: ll.rr. Molise n. 34/99 e Toscana n. 89/98), di regolazione (es: ll.rr. Abruzzo n. 11/99, Basilicata n. 7/99, Lombardia 1/00, Lazio n. 14/99, Puglia l.r. n. 17/00), nonché di promozione (es: ll.rr. Abruzzo n. 11/99, Basilicata n. 7/99, Lombardia 1/00).
Alle province, invece, spettano prevalentemente funzioni di controllo e coordinamento (ll.rr. Lazio n. 14/99, Basilicata n. 7/99, Abruzzo n. 11/99, Lombardia n. 1/00, Piemonte n. 44/00, Umbria n. 3/99, Puglia l.r. n. 17/00), di pianificazione (con particolare riferimento alla fase d’approvazione) (es: ll.rr. Abruzzo n. 11/99, Piemonte n. 44/00, Lombardia n. 1/00), e di monitoraggio (es: ll.rr. Piemonte n. 44/00, Toscana n. 89/98, Lazio n. 14/99, Puglia l.r. n. 17/00).
Quanto ai comuni, le leggi regionali adottate conferiscono loro funzioni amministrative di controllo (es: l.r. Lazio n. 14/99, Puglia l.r. n. 17/00), di pianificazione quale funzione di amministrazione attiva (es: ll.rr. Lazio n. 14/99, Lombardia n. 1/00, Toscana n. 89/98, Piemonte n. 44/00, Puglia l.r. n. 17/00), nonché di autorizzazione (es: l.r. Lazio n. 14/99, Puglia l.r. n. 17/00).

Inquinamento atmosferico e inquinamento elettromagnetico

Nella compilazione delle schede si è dovuto tenere conto di alcune specificità delle materie trattate.
In particolare la stesura è stata condizionata dall’incompletezza delle disposizioni dedicate dagli artt. 82-84 del d.lgs. n. 112/1998 all’inquinamento atmosferico e all’inquinamento elettromagnetico e dalla scarsa capacità innovativa di tali disposizioni rispetto alla disciplina di settore preesistente (il d.P.R. n. 203/1988 per l’inquinamento atmosferico).
Senza potere scendere nel dettaglio, vi è prima di tutto un art. 83, che, definendo i compiti di rilievo nazionale, non fa che ripetere in molti casi quanto già stabilito dal d.P.R. n. 203/1988.
Così è per la fissazione di valori limite e guida della qualità dell’aria (cfr. art. 83, c. 1, lett. b), d.lgs. n. 112/1998 e art. 3, c. 1, d.P.R. n. 203/1988; ma v. ora l’abrogazione compiuta dall’art. 13 del d.lgs. 351/1999); per la predisposizione della relazione annuale sullo stato di qualità dell’aria (cfr. art. 83, c. 1, lett. d), d.lgs. n. 112/1998 e art. 3, c. 4, lett. d), d.P.R. n. 203/1988; ma v. anche qui l’abrogazione compiuta ancora dall’art. 13 del d.lgs. n. 351/1999); per la individuazione di aree di carattere interregionale nelle quali le emissioni nell’atmosfera o la qualità dell’aria sono soggette a limiti o valori più restrittivi (cfr. art. 83, c. 1, lett. f), d.lgs. n. 112/1998 e art. 3, c. 4, lett. c), d.P.R. n. 203/1988).
Soprattutto l’art. 84 che fissa le funzioni conferite alle Regioni e agli enti locali contiene in realtà solo un caso che determina un nuovo passaggio di funzioni dal centro alla periferia, quello della lettera b), concernente il rilascio dell’abilitazione alla conduzione di impianti termici compresa l’istituzione dei relativi corsi di formazione; l’art. 16 della l. n. 615/1966, infatti, stabiliva che il personale addetto alla conduzione di un impianto termico doveva “essere munito di un patentino di abilitazione rilasciato dall’Ispettorato provinciale del lavoro, al termine di un corso per conduzione di impianti termici, previo superamento dell’esame finale”.
Le altre due funzioni esemplificate dall’art. 84, riferite all’individuazione di aree regionali o, d’intesa tra le Regioni interessate, interregionali “nelle quali le emissioni o la qualità dell’aria sono soggette a limiti o valori più restrittivi in relazione all’attuazione di piani regionali di risanamento” (da concordare, ovviamente con la previsione dell’art. 83, appena ricordata) e “alla tenuta e all’aggiornamento degli inventari delle fonti di emissione”, erano già state conferite in passato (cfr. rispettivamente art. 4, c. 1, lett. e), del d.P.R. n. 203/1988 e art. 3, c. 2, lett. d), d.m. 20 maggio 1991, nonché art. 5 del d.P.R. n. 203/1988).
In più gli art. 82-84 del d.lgs. n. 112/1998 sono anche soltanto un “guscio vuoto” per chi volesse cercare in essi un significativo riferimento alla tutela dell’inquinamento elettromagnetico, nonostante la Sezione che comprende i tre articoli si intitoli appunto “Inquinamento acustico, atmosferico ed elettromagnetico”.
In proposito si è, peraltro, osservato che tutte le norme della sezione che impiegano il termine emissione, senza un esplicito accostamento all’inquinamento atmosferico o a quello acustico, riguarderebbero (anche) l’inquinamento elettromagnetico, se non fosse che così, probabilmente, si prova troppo, perché, ad esempio, l’art. 83, c. 1, lett. e), che attribuisce rilievo nazionale ai compiti relativi “alla fissazione e aggiornamento delle linee guida per il contenimento delle emissioni, dei valori minimi e massimi di emissione, metodi di campionamento, criteri per l’utilizzazione delle migliori tecnologie disponibili e criteri di adeguamento degli impianti esistenti”, riprende quasi integralmente l’art. 3, c. 2, del d.P.R. n. 203/1988.
Indirettamente, poi, la mancanza di “gheriglio” normativo è colmata dalle previsioni dell’art. 29, c. 2, lett. g), dello stesso d.lgs. n. 112, in tema di ricerca, produzione, trasporto e distribuzione di energia, nella parte in cui conserva allo Stato “le reti per il trasporto con tensione superiore a 150 Kv” e “l’emanazione di norme tecniche relative alla realizzazione di elettrodotti”, e del successivo art. 94, c. 2, lett. b), che conferisce alle Regioni e agli enti locali le funzioni in materia di opere pubbliche relative all’autorizzazione “alla costruzione di elettrodotti con tensione normale sino a 150 Kv”.
Ma queste ultime disposizioni, oltre a intersecare in realtà altre materie, come quella dell’Energia e delle Opere pubbliche, sono davvero troppo esigue per indirizzare adeguatamente l’attuazione da parte delle leggi regionali.
Per tutti questi motivi, secondo quanto è stato precisato anche nelle schede, nella stesura non sempre si è potuto procedere a un elenco analitico delle funzioni conferite, ma si è dovuti ricorrere a esemplificazioni per tipi di funzioni. Ovviamente con il rischio di tutte le c.d. semplificazioni unificanti.

Gestione dei rifiuti

Il decreto n. 112/1998 dedica alla gestione dei rifiuti la Sezione V, contenuta nel Capo III (“Protezione della natura e dell’ambiente, tutela dell’ambiente dagli inquinamenti e gestione dei rifiuti”) e composta del solo art. 85, che individua funzioni e compiti mantenuti allo Stato esclusivamente mediante rinvio: alla norma-quadro statale (posta con d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22) per quanto concerne in generale la gestione dei rifiuti, ed a specifiche norme di settore per quanto riguarda particolari tipologie di rifiuti. Le leggi regionali di Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Toscana, Umbria e Veneto, che attuano il d.lgs. n. 112/1998, si presentano pertanto tutte come redistributive delle funzioni disciplinate dal d.lgs. n. 22/1997; il d.lgs. n. 96/1999, col quale il governo è intervenuto in via sostitutiva per la ripartizione di funzioni amministrative nelle regioni inadempienti all’attuazione al d.lgs. 112/1998 (Calabria e Campania), non contiene disposizioni sulla gestione dei rifiuti.
La legislazione esaminata individua frequentemente le funzioni mediante rinvio, sia a normative previgenti che a normative future. Due dunque le tipologie di rinvio contenute nelle leggi regionali esaminate: in un primo modello, cui sono riconducibili Abruzzo, Basilicata, Lazio, Liguria, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto, la disciplina sulla gestione dei rifiuti viene individuata per relationem a leggi regionali previgenti (la Puglia contiene anche talune modifiche a tali leggi), oppure alla normativa-quadro statale (adottata con d.lgs. n. 22/1997); in un secondo modello di legislazione regionale (talvolta la stessa regione aderisce ad entrambi i modelli), comprendente Abruzzo, Basilicata, Liguria, Veneto, il rinvio viene effettuato a norme future (es. Piano regionale di gestione dei rifiuti).
I frequenti rinvii alla legislazione previgente e futura non consentono di formulare alcun giudizio complessivo in ordine alla maggiore o minore centralizzazione o localizzazione delle competenze, giudizio che richiederebbe l’analisi delle disposizioni cui viene fatto rinvio. In base al disposto delle leggi regionali di attuazione del d.lgs. n. 112/1998, risulta esservi una prevalenza, sotto il profilo quantitativo, delle funzioni regionali rispetto a quelle provinciali; scarse le competenze comunali ed assenti quelle delle Comunità montane. Peraltro la mancata localizzazione delle funzioni agli Enti locali risulta essere la necessaria conseguenza della scelta di gestire i rifiuti in Ambiti Territoriali Ottimali, di dimensione generalmente provinciale, contenuta nella legge statale-quadro (d.lgs. n. 22/1997).
Anche la valutazione del tipo di funzioni che residuano alla Regione o che vengono conferite a Province e/o ad Enti locali è necessariamente relativa, dovendo essere integrata con un’analisi delle disposizioni cui viene fatto rinvio. Sulla base delle leggi regionali attuative del d.lgs. n. 112/1998, risulta che la Regione conserva poteri di regolamentazione (della gestione dei rifiuti e delle funzioni attribuite agli enti locali), di indirizzo (es. in ordine alla localizzazione degli impianti, alla bonifica delle aree inquinate, all’attività di pianificazione, etc.), di programmazione e pianificazione a livello regionale, funzioni promozionali (divulgazione di dati, formazione professionale), di incentivazione e finanziamento (es. degli interventi di bonifica), di vigilanza sulle attività delegate alle Province (e connessi poteri sostitutivi), taluni poteri di amministrazione attiva (es. approvazione dei progetti di bonifica, autorizzazione alla realizzazione ed esercizio degli impianti di smaltimento e gestione dei rifiuti, approvazione dell’elenco dei siti da bonificare, definizione degli interventi da finanziare). L’assunzione di interventi urgenti e necessitati è talvolta attribuita alla Regione, in altri casi alle Province. Alla Provincia spettano poteri di programmazione, pianificazione ed organizzazione dell’attività di smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, funzioni di amministrazione attiva (es. approvazione dei progetti di bonifica, autorizzazione alla realizzazione ed esercizio degli impianti di smaltimento e gestione dei rifiuti, individuazione delle zone idonee e delle zone non idonee all’ubicazione di impianti di smaltimento, poteri tariffari), funzioni conoscitive (anagrafe dei siti da bonificare, rilevamento dei dati), di vigilanza e controllo (es. degli interventi di bonifica) ed esercizio di poteri sostitutivi.
Da segnalare la seguente particolarità: Abruzzo (con riferimento ai soli rifiuti speciali e pericolosi), Marche e Molise si limitano a delegare talune funzioni alle Province.

Risorse idriche e difesa del suolo

Il d.lgs. n. 112/1998 dedica il Capo IV, composto degli artt. 86-92, alle “Risorse idriche e difesa del suolo”. Hanno dato attuazione a tale Capo le seguenti Regioni: Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto; per le regioni inadempienti (Calabria e Campania), le funzioni amministrative sono regolate dal d.lgs. n. 96/1999, emanato dal Governo in via sostitutiva. Analogamente che nel settore dei rifiuti, il processo di attuazione del d.lgs. n. 112 nei settori della difesa del suolo, tutela e gestione delle risorse idriche, deve essere collocato nel contesto delle innovazioni disposte da recenti leggi regionali attuative delle disposizioni statali di principio, contenute nelle leggi n. 36/1994 e n. 183/1989, attinenti rispettivamente la gestione delle risorse idriche e la difesa del suolo. Il processo di attuazione di queste leggi da un lato legittima, in sede di attuazione del d.lgs. n. 112/1998, il ricorso al rinvio a leggi regionali previgenti, dall’altro deve essere tenuto in considerazione al fine di completare il riparto di funzioni tra Regioni, Province ed Enti locali.
Il rinvio a leggi previgenti è contenuto nelle leggi regionali di Lazio, Lombardia e Puglia; le leggi di Basilicata, Molise ed Umbria individuano le funzioni degli enti locali anche mediante un ampio rinvio al d.lgs. n. 112/1998. Quanto ai rinvii a norme future (talvolta non necessariamente di rango primario), sono contenuti nelle leggi regionali di Abruzzo (la l.r. n. 11/1999 parrebbe aver soddisfatto tale rinvio), Basilicata, Emilia Romagna, Piemonte (queste ultime due rinviano la disciplina di talune funzioni a seguito del riordino delle strutture statali di cui al d.lgs. 112/1998) e Toscana (la l.r. n. 91/1998 ha successivamente provveduto a disciplinare la materia).
Sotto il profilo quantitativo, le funzioni risultano in genere equamente allocate tra Regioni e Province, mentre a Comuni e Comunità montane è conferito un numero più ridotto (sia pure significativo) di funzioni. Occorre segnalare che le scelte regionali oscillano tra la maggiore centralizzazione, attuata in Basilicata ed Emilia Romagna (non attribuiscono alcuna funzione alle Province né agli Enti locali), ed il maggiore decentramento, rilevabile in Liguria, Molise, Umbria e (con riferimento alle funzioni di Comuni e Comunità Montane) Piemonte; occorre peraltro precisare che questa valutazione di maggiore o minore decentramento è necessariamente relativa, dovendo essere integrata con l’analisi delle leggi regionali di settore. Rispetto alla generalità delle Regioni che hanno provveduto direttamente ad attuare il d.lgs. n. 112/1998, l’intervento sostitutivo del Governo (cfr. d.lgs. n. 96/1999), che interessa Calabria e Campania, ha realizzato una maggiore localizzazione delle funzioni a livello provinciale.
Il nucleo di funzioni regionali regolato dalla maggior parte delle leggi esaminate è il seguente: pianificazione e programmazione (dei bacini di rilievo regionale), funzioni di indirizzo (fissazione di criteri, indirizzi e procedure per l’utilizzazione delle acque pubbliche), funzioni di amministrazione attiva (es. rilascio delle concessioni di grandi derivazioni, difesa dai fenomeni di dissesto, autorizzazione a realizzare dighe e opere idrauliche in genere – per le quali sono disposte anche funzioni di regolamentazione, realizzazione e controllo), funzioni conoscitive (monitoraggio degli usi delle acque e conoscenza delle caratteristiche dei corpi idrici), “zonizzazione” del territorio (individuazione delle zone esposte a fenomeni di dissesto e di quelle che richiedono particolare protezione), nomina di regolatori per il riparto delle disponibilità idriche, determinazione dei canoni di concessione. Alle Province vengono conferite le seguenti funzioni amministrative: compiti di polizia idraulica, funzioni di amministrazione attiva (pronto intervento idraulico – ivi comprese le funzioni inerenti le opere idrauliche e gli interventi idrogeologici -, difesa della costa, funzioni inerenti le dighe, etc., gestione del demanio idrico -compreso il rilascio di autorizzazioni e concessioni), nomina dei regolatori per il riparto delle disponibilità idriche, determinazione dei canoni di concessione; ad eccezione del nucleo di funzioni evidenziate sopra, le funzioni provinciali sono fortemente diversificate tra le varie regioni (es. la Liguria si caratterizza per l’ampiezza ed il dettaglio con cui vengono individuate tali funzioni). L’attribuzione di funzioni ai Comuni è fortemente differenziata tra le varie Regioni: unica funzione allocata a livello comunale da parte di numerose leggi regionali è lo svolgimento di interventi di difesa dalle acque. Alle Comunità montane sono conferite funzioni in materia di boschi, opere di bonifica montana e tutela del vincolo idrogeologico; alle stesse Comunità Montane vengono trasferite numerose funzioni amministrative attribuite ai Comuni ricadenti in aree montane.
Occorre segnalare che la Basilicata enumera le sole funzioni regionali, senza nessuna indicazione degli altri livelli di governo. Per quanto concerne la Toscana, il Testo unico in materia di cave e torbiere (adottato con l.r. n. 78/1998) contiene talune disposizioni rilevanti in materia di vincolo idrogeologico. La Liguria ha accompagnato la legge organica di attuazione del d.lgs. n. 112/1998 con una normativa specifica per la difesa delle coste.

Opere pubbliche

Dopo un esame complessivo della normativa regionale di attuazione del d.lgs. n. 112/98, viene spontaneo dubitare che le opere pubbliche costituiscano una materia a sé stante. In tutti i testi normativi, difatti, è dato rilevare il carattere trasversale e strumentale delle opere pubbliche rispetto alle funzioni: la materia subisce, ad opera dei legislatori regionali, una forte frammentazione, dovuta al fatto che la disciplina delle varie categorie di opere pubbliche è assorbita da quella delle relative funzioni, di volta in volta, riguardanti le acque, i trasporti, la difesa del suolo, la viabilità. E’ per questo motivo che la disciplina delle opere marittime si rinviene nell’ambito dei trasporti, quella delle opere idrauliche in materia di difesa del suolo, e così via. Più che di una materia si tratta di una disciplina strumentale al governo di singole materie. Da ciò si spiega perché le norme regionali contenute nel capo sui lavori pubblici siano o disorganiche o laconiche (basti pensare che le leggi Abruzzo e Toscana contengono un solo articolo per tutta la materia).
Circa il rapporto fra il d.lgs. n. 112/98 e le leggi regionali di attuazione, occorre sottolineare due punti. In primo luogo, il d.lgs. n. 112/98 contiene un’elencazione solo esemplificativa delle funzioni che avrebbero dovuto costituire oggetto dei conferimenti. In secondo luogo, il d.lgs. n. 112/98 non prevede alcun criterio circa l’allocazione delle funzioni ai minori livelli di governo, limitandosi ad un generico conferimento alle regioni ed enti locali. Al riguardo, la reazione sul versante regionale è stata la seguente: in relazione al primo punto, a fronte di una mera indicazione di funzioni, i legislatori regionali, ben lungi da un tentativo di riordino analitico e sistematico, si sono in gran parte limitati ad un mero riparto delle stesse; in relazione al secondo, a fronte del riconoscimento di un’ampia discrezionalità, dopo aver chiaramente definito l’ambito funzionale della regione, essi hanno lasciato in ombra la linea di demarcazione degli ambiti di governo fra province ed altri enti locali: esemplari, a tal proposito, in materia di funzioni delegate, le esperienze attuative della L.r. Umbria (art. 72) che, nell’ambito di un generico conferimento agli enti locali, fa rinvio ad un impreciso criterio di ‘adeguatezza’, da valutarsi in ordine alle caratteristiche dell’opera pubblica; della L.r. Abruzzo (art. 62, c. 2) che si limita ad enunciare un generale principio di competenza (è da supporre territoriale); o ancora della L.r. Molise che rinvia ad un successivo intervento normativo di riordino.
E’ tuttavia degno di apprezzamento un profilo strategico che accomuna tutte le leggi di attuazione: le regioni sembrano aver colto la sollecitazione del legislatore delegato del 1998 nel voler istituire, ad un unico livello regionale, delle solide strutture tecniche dotate di strumenti adeguati e capaci di operare in via trasversale, non solo a supporto dell’amministrazione regionale, ma di tutte le amministrazioni pubbliche, spesso sprovviste delle necessarie professionalità, con il fine di implementarne la capacità progettuale ed esecutiva. Sono significative, al riguardo, le L.r. Basilicata, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Puglia, le quali riservano al livello regionale delle importanti funzioni di monitoraggio, assistenza e consulenza, con la costituzione di appositi organismi ad hoc.
Oltre a generali poteri di programmazione, alla regione risultano riservate rilevanti funzioni di amministrazione attiva, in materia di gestione dell’intero ciclo di vita (dalla programmazione alla manutenzione) delle opere di competenza regionale, individuazione delle zone sismiche, realizzazione e gestione dei programmi operativi nell’ambito dei quadri comunitari di sostegno. Risultano, invece, decentrate, seppur con eccezioni, le autorizzazioni alla costruzione ed esercizio di elettrodotti con tensione fino a 150 Kv e le attività collegate al soppresso intervento straordinario nel Mezzogiorno (conferite alle province), nonché gli interventi di ripristino conseguenti a danni bellici o calamità naturali e quelli riguardanti l’edilizia di culto (attribuiti ai comuni).
Circa le funzioni delegate alle regioni dal d.lgs. n. 112/98, in materia di progettazione, esecuzione e manutenzione straordinaria di tutte le opere pubbliche strumentali a funzioni statali, non espressamente riservate allo Stato, la scelta maggioritaria è stata quella di subdelegarle agli enti locali, con i conseguenti problemi di definizione delle competenze, ai quali si è fatto cenno sopra (con la sola eccezione dell’Emilia Romagna che ha individuato l’ente destinatario della subdelega in base ad un preciso criterio dimensionale).

Viabilità

Circa l’attuazione dei conferimenti in materia di viabilità, occorre rilevare che l’art. 99 del d.lgs. n. 112/98 non si è limitato a trasferire, con la consueta clausola di residualità alle regioni ed enti locali tutte le funzioni non espressamente riservate allo Stato ed, in particolare, tutte le funzioni amministrative non riguardanti la rete infrastrutturale nazionale (così come individuata dal d. P.C.M. di cui all’art. 101, comma 1), ma ha anche specificato un criterio di riparto delle stesse, a livello locale, stabilendo che alle regioni dovessero essere riservate le funzioni di programmazione e coordinamento della rete viaria ed alle province quelle operativo-gestionali, per le quali i legislatori regionali avrebbero dovuto fissare criteri e modalità di esercizio.
Le leggi regionali non sembrano, però, aver tenuto conto di questo modello organizzativo.
L’esame della normativa di attuazione dimostra che la regione non si configura solo come ente di programmazione (come era nelle intenzioni del legislatore delegato), ma anche come ente di amministrazione attiva.
Le più importanti competenze gestionali riguardano le tratte autostradali regionali, per le quali le regioni operano attraverso lo strumento concessorio. Si tratta delle medesime competenze che lo Stato gestisce, in materia di autostrade, attraverso l’ANAS: approvazione delle concessioni di costruzione e gestione; determinazione ed adeguamento delle tariffe di pedaggio; progettazione, esecuzione, manutenzione e gestione delle tratte, mediante affidamento a terzi; determinazione dei criteri per la fissazione delle tariffe relative a licenze, concessioni ed esposizioni pubblicitarie. In relazione a quest’ultima competenza, le LL.rr. Abruzzo, Veneto, Piemonte e Lombardia prevedono che sia la regione stessa a provvedere alla determinazione annuale delle tariffe, anziché dei relativi criteri.
Per quanto riguarda la rete viaria non autostradale, occorre dare atto che l’orientamento maggioritario delle regioni è quello di una maggiore localizzazione delle funzioni gestionali. In tal senso, la scelta prevalente è stata quella di trasferire alle province, le funzioni di progettazione, costruzione, gestione e manutenzione delle strade regionali e provinciali, talvolta in maniera decisa ed inequivoca (tale è il caso delle Marche, Molise, Lombardia, Liguria), talaltra, in modo poco chiaro (tale è il caso della L.r. Toscana, per la quale la regione provvede comunque all’approvazione di tutti i progetti, nonché alla realizzazione della progettazione preliminare).
In particolare, il rafforzamento del livello provinciale è evidente in quelle leggi regionali che accanto al conferimento delle funzioni prevedono anche il trasferimento della proprietà: così, per Molise, Lombardia, Liguria, Veneto, Emilia Romagna e Abruzzo si stabilisce che tutto il sistema viario non rientrante nella rete stradale ed autostradale nazionale venga trasferito non al demanio regionale, bensì direttamente a quello provinciale.
Tuttavia, anche in questo ambito, è dato riscontrare qualche atteggiamento di segno contrario, laddove alcune regioni hanno mantenuto a sé la titolarità delle funzioni relative alla rete regionale, delegandone alle province solo l’esercizio (Basilicata e Lazio).
Un’altra importante funzione di amministrazione attiva che le regioni hanno riservato a sé è quella della classificazione e declassificazione delle strade regionali e provinciali, per le quali è prevista talvolta una funzione consultiva o propositiva degli enti locali interessati.
Il livello del governo comunale sembra completamente negletto, a parte talune sporadiche disposizioni che attribuiscono ai comuni compiti di gestione in ordine alle strade comunali, vicinali e rurali, alla tenuta del piano catastale ed alle relative operazioni di classificazione e declassificazione. Lo stesso decreto sostitutivo n. 96/99 non prevede alcuna norma al riguardo.

Trasporti

Per il settore dei trasporti, generalmente le leggi regionali di attuazione del d.lgs. n. 112/98 contengono un rinvio ai precedenti testi legislativi, con i quali si è provveduto a dare attuazione al d.lgs. n. 422/97 in materia di trasporti pubblici locali. Fanno eccezione le regioni Abruzzo e Molise che, rimaste inadempienti, hanno colto l’occasione per dare contestuale attuazione ad entrambi i citati decreti legislativi.
La normativa regionale si pone in continuità rispetto alla precedente esperienza di attuazione del d.lgs. n. 422/97, per la presenza di un dato di fondo comune: nel definire il nuovo assetto di competenze, i legislatori regionali non hanno tenuto presente solo l’obiettivo del decentramento amministrativo, bensì anche quello dell’efficienza del sistema dei servizi di trasporto. Ne costituisce riprova un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, la suddivisione delle competenze fra i diversi livelli di governo non si basa su una visione modale del servizio (cioè rapportata, di volta in volta, ai vari tipi di trasporto, come si può rilevare nella legislazione precedente), ma si fonda su una concezione integrata dei trasporti (basti pensare alle funzioni regionali di programmazione in materia di interporti ed intermodalità di rilievo regionale). In secondo luogo, la legislazione regionale non si limita ad un riparto delle funzioni, ma spesso contiene la disciplina di nuove modalità procedimentali ed organizzative: così, se da un canto, la L.r. Emilia Romagna presenta un’apposita sezione normativa dedicata alla semplificazione dell’attività amministrativa, in materia di autorizzazioni per i trasporti eccezionali, delegate alle province, dall’altro, la L.r. Lombardia prevede la costituzione di un comitato interregionale e di società miste per azioni per la gestione dei servizi di trasporto su lago.
Occorre, tuttavia, segnalare che nella definizione degli ambiti funzionali, i legislatori regionali si sono limitati a riprendere l’elencazione esemplificativa delle funzioni contenuta nel d.lgs. n. 112/98, senza provvedere ad una loro sistemazione più analitica ed organica. Esemplare, al riguardo, la L.r. Umbria, la quale, priva di qualsiasi portata innovativa, contiene un mero rinvio alle norme del d.lgs. n. 112/98.
Circa i criteri di distribuzione delle funzioni fra i diversi livelli di governo, nelle scelte operate dai legislatori regionali, si può rilevare una logica unitaria comune, per la quale, in ottemperanza ai criteri posti dal d.lgs. n. 112/98, alle regioni è attribuito un ruolo di programmazione strategica, tale da garantire la pianificazione delle diverse modalità a livello regionale, fatta eccezione per talune attribuzioni di amministrazione attiva (concessioni beni demaniali, concessioni infrastrutture ferroviarie, estimo navale) richiedenti un esercizio unitario; alle province sono attribuite importanti funzioni di vigilanza e di autorizzazione (in materia di autoscuole, scuole nautiche, revisione autoveicoli, licenze autotrasportatori, trasporti in condizioni di eccezionalità); ai comuni – livello di governo alquanto trascurato – compiti prevalentemente gestionali (quali la progettazione e realizzazione di interventi infrastrutturali nei porti di rilievo regionale e interregionale, la gestione dei sistemi di trasporto a mezzo di impianti a fune).
Si differenziano da questo schema generalizzante, la regione Marche, la cui legge trascura completamente il livello provinciale, e le regioni Emilia Romagna e Basilicata, le cui leggi, utilizzano nei confronti delle province prevalentemente lo strumento della delega.
Pur presentando la normativa previgente una notevole frammentarietà e disorganicità, a causa della superata visione modale del trasporto, a cui si è fatto riferimento sopra, manca in tutte le leggi un tentativo di riordino sostanziale della disciplina di settore, talvolta rimandato ad un momento successivo (L.r. Molise), stante l’assenza nei testi regionali di interventi diretti alla modifica o abrogazione di disposizioni precedenti. Ne deriva, nonostante l’apparente carattere organico delle leggi, una stratificazione di norme nel tempo.
Le uniche leggi a stabilire una competenza delle Camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura sono quelle del Lazio e del Piemonte, le quali prevedono che esse provvedano alla gestione di un ruolo dei conducenti di veicoli e natanti adibiti a servizi non di linea.

Protezione civile

La protezione civile ha acquistato autonomia concettuale con la l. 996/1970. La disciplina dettata da questa legge è stata, poi, innovata con la l. 225/1992 (si vedano ora le modifiche introdotte dal d.lgs. 300/1999 e dal d.l. 343/2001), la quale prevede una ripartizione di compiti tra lo Stato, le regioni e gli enti locali ed individua una diversità di ruoli tra i vari livelli di governo.
Da ultimo, il d.lgs. 112/1998, attuando i principi direttivi della legge 59/1997, ha individuato, ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett. a) della citata legge di delega, in modo tassativo, i compiti che, avendo rilievo nazionale, sono riservati allo Stato ed ha determinato le funzioni devolute agli enti locali, mediante un criterio di carattere generale e residuale.
I criteri seguiti nelle leggi regionali di attuazione del d.lgs. 112/1998 per identificare le competenze regionali di protezione civile, che necessitando di unitario esercizio, sono, di conseguenza, riservate alla regione, non sono univoci.
La maggior parte delle leggi (l.r. Emilia Romagna, l.r. Umbria, l.r. Molise, l.r. Lazio, l.r. Marche, l.r. Toscana, l.r. Lombardia, l.r. Liguria, l.r. Piemonte, l.r. Puglia e l.r. Veneto) individua specifiche funzioni amministrative mantenute alla competenza regionale.
Si differenziano soltanto la l.r. Basilicata e la l.r. Abruzzo. La prima sostituisce la diretta ripartizione delle funzioni amministrative con un generale rinvio ad un futuro intervento del legislatore regionale, diretto ad innovare la disciplina regionale delle competenze di protezione civile, adeguandola alle disposizioni del decreto 112. La seconda, invece, per individuare i compiti che in subiecta materia sono conservati in capo alla regione e quelli che sono devoluti agli enti locali, adotta esclusivamente un rinvio all’elenco predisposto nell’art. 108 del d.lgs. 112/1998, senza operare un ulteriore riparto di competenze. La l.r. Abruzzo rinvia, inoltre, ad un successivo intervento legislativo di riordino della specifica normativa. Rimanda ad un futuro interessamento del legislatore regionale anche la l.r. Emilia Romagna e la l.r. Toscana. Tale previsione accompagna, però, tentativi di diretto riparto delle competenze.
Volgendo, poi, l’attenzione alla ripartizione effettuata nelle leggi regionali nelle quali sono direttamente enumerate le funzioni confermate alla competenza regionale, si rileva che, pur nella diversità delle scelte operate, è possibile ricondurre le singole competenze a tre tipologie, attinenti all’attività di indirizzo, all’attività di coordinamento e di programmazione ed alla attività di carattere operativo.
Per quanto concerne le funzioni conferite alle province ed ai comuni, nella l.r. Basilicata, nella l.r. Abruzzo e nella l.r. Umbria manca qualsiasi tentativo diretto alla redistribuzione delle competenze a livello provinciale e comunale, sostituito, nella prima, come sopra evidenziato, da un generale differimento ad un futuro interessamento del legislatore regionale e nelle altre da un rinvio, operato mediante il richiamo dell’elenco dettato dall’art. 108, alle attribuzioni direttamente disposte dal decreto 112.
Dagli specifici conferimenti operati nelle altre leggi regionali, le province appaiono competenti circa l’esercizio di funzioni di programmazione e di funzioni di carattere operativo.
Passando ai comuni, si rileva che la l.r. Lazio riconosce loro una competenza di carattere generale e residuale e che nelle ll.rr. della Toscana e delle Marche manca qualsiasi riferimento in ordine alla ripartizione delle competenze amministrative a livello comunale. Anche nelle ll.rr. del Piemonte, della Puglia (la quale evidenzia che ai comuni spettano in via esclusiva i compiti di protezione civile connessi ai rischi fronteggiabili nell’ambito delle proprie competenze) e del Molise (34/1999), per questo livello di governo, non viene operata una partizione ulteriore rispetto a quella dettata dal legislatore delegato del 1998. In quest’ultima regione, tuttavia, è stata emanata la l.r. 10/2000, specifica rispetto alla disciplina regionale della protezione civile, nella quale si è provveduto, nuovamente, al riparto delle competenze tra regione ed enti locali.
Da ultimo, si evidenzia che anche la l.r . Liguria 9/2000 riguarda solamente la materia della protezione civile e procede alla ricognizione complessiva del riparto delle funzioni e, in più momenti, alla disciplina di carattere sostanziale.

Tutela della salute

Sulla redistribuzione delle funzioni in tema di tutela della salute (salute umana e sanità veterinaria) sono intervenute le ll.rr. settoriali Liguria, Toscana e Puglia e le leggi “organiche” di attuazione del d.lgs. 112 Umbria, Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte.
Le ll.rr. Basilicata, Veneto e Molise si limitano invece a prevedere l’intervento di un successivo interessamento legislativo regionale (che ad oggi non risulta ancora adottato). Tra queste, la l.r. Veneto ritiene che, fino alla realizzazione di tale adempimento, continua a trovare applicazione la normativa regionale in materia sanitaria, mentre la l.r. Molise prevede che, fino all’adozione della legge di riordino del servizio sanitario regionale, sono confermate in capo alla regione le funzioni e i compiti amministrativi in tema di salute umana e sanità veterinaria ad essa “riferiti” in base al titolo IV, capo I, del decreto 112. Proprio in ragione di tale generale rinvio alla disciplina del decreto 112, la scheda contiene l’indicazione della l.r. Molise per le funzioni espressamente conferite dal d.lgs. 112 al livello regionale. Tale criterio è stato seguito anche per le ll.rr. Emilia-Romagna e Marche, le quali, pur intervenendo sulle funzioni di province e comuni, hanno disposto un rinvio alle funzioni conferite alle regioni dalle norme del d.lgs. 112 senza contenere alcuna elencazione, neppure esemplificativa, delle stesse.
Le ll.rr. intervenute sulla redistribuzione delle funzioni hanno prevalentemente considerato le funzioni espressamente conferite (o comunque riservate) dal d.lgs. 112. Solo la l.r. Lazio ha compiuto un’ampia ricognizione delle funzioni regionali in tema di tutela della salute, comprendente non solo quelle espressamente conferite dal decreto 112 ma anche quelle già trasferite dalla precedente legislazione statale in materia; tuttavia, a tale ricognizione non si è accompagnata una contestuale ed esaustiva riallocazione di compiti e funzioni in capo agli enti locali, per la quale è infatti disposto un rinvio a successive norme integrative. Considerata l’ampiezza dell’elencazione delle funzioni regionali contenuta nella l.r. Lazio, è parso opportuno indicare nella scheda solo le funzioni regionali corrispondenti a quelle previste nelle altre leggi regionali (ed espressamente conferite dal d.lgs. 112), rinviando al testo della l.r. per l’individuazione delle altre funzioni regionali.
Da sottolineare, altresì, la legge regionale Puglia, che ha incluso nel conferimento anche alcune funzioni in tema di tutela della salute umana previste dal d.lgs. 229/1999, nonché quelle di programmazione, organizzazione e controllo dei servizi sanitari negli istituti penitenziari di cui al d.lgs. 230/1999..
Con riferimento alla portata della redistribuzione delle funzioni di amministrazione “attiva” a province e comuni, si segnala che le ll. rr. Umbria e Lombardia non prevedono alcuna previsione in merito, mentre quelle dell’Abruzzo, del Piemonte, del Veneto e della Toscana dedicano a tale aspetto un’attenzione sostanzialmente marginale. In particolare, per quanto riguarda le funzioni delle province, le ll.rr. Emilia-Romagna, Marche, Lazio e Puglia dispongono conferimenti a favore della provincia, sia a titolo di attribuzione sia a titolo di delega. Sul conferimento ai comuni di funzioni amministrative attive intervengono specificamente le ll.rr. Marche, Lazio, Toscana, Liguria e Puglia. Le ll.rr. Toscana, Liguria, Puglia, Veneto e Piemonte, attribuiscono ai comuni tutte le funzioni amministrative concernenti la pubblicità sanitaria conferite alle regioni dall’art. 118, comma 2, del d.lgs. 112, analogamente a quanto disposto dal decreto sostitutivo nei confronti delle regioni inadempienti. La l.r. Liguria opera inoltre una subdelega ai comuni delle funzioni concernenti la disciplina dei prodotti cosmetici (la sola funzione conferita a titolo di delega alle regioni dal decreto 112). Solo la l.r. Lazio dispone una clausola generale sull’attribuzione ai comuni di tutte le funzioni e compiti non riservati espressamente alla regione e non conferiti agli altri enti locali, nonché delegati ai comuni stessi.
Infine, deve sottolinearsi che la scheda non prende in considerazione le disposizioni regionali in tema di integrazione sociosanitaria che hanno provveduto a dettare una specifica disciplina sull’erogazione delle relative prestazioni e sull’istituzione delle conferenze sanitarie territoriali (o a modificare, laddove già esistente, la legislazione in materia). Analogamente, non vengono menzionate in questa scheda le funzioni in materia di servizi sociali (capo II del Titolo IV del d.lgs. 112) anche qualora esse siano state ricomprese nella disciplina dettata con atti legislativi regionali dedicati per espressa indicazione del legislatore regionale alla sola “tutela della salute”.
Complessivamente, la tecnica del rinvio a futuri interventi regionali di generale riordino dei sistemi sanitari regionali o più specificamente mirati ad una ridistribuzione delle funzioni in attuazione del d.lgs. 112 è senz’altro prevalente rispetto all’intervento sostanziale di riallocazione delle funzioni in materia ed appare strettamente connessa all’evoluzione della legislazione statale nel settore sanitario.

Servizi sociali

La materia dei servizi sociali è disciplinata dal decreto legislativo n. 112/1998 nel Capo II (artt. 128-134) del Titolo IV, complessivamente dedicato ai “Servizi alla persona e alla comunità”.
I servizi sociali costituivano già uno dei settori organici di materie oggetto di trasferimento alle regioni ai sensi del D.P.R. n. 616/1977, il quale, tra l’altro, procedeva anche alla diretta attribuzione di funzioni (in base all’art. 118, co, 1 Cost.) a province e comuni, ritenuti – soprattutto questi ultimi – destinatari “naturali” dei compiti amministrativi in materia. Pertanto, in questo settore, come del resto in altri casi di materie già oggetto di ampia regionalizzazione e localizzazione, il decreto n. 112 interviene a completare un processo in gran parte già realizzato e consolidato, soprattutto in ordine alla titolarità di talune funzioni.
La ripartizione di competenze operata dal decreto n. 112 segue il metodo dell’individuazione delle funzioni che permangono in capo allo Stato (riconducibili in linea di massima alle competenze, necessariamente unitarie, connesse con la funzione di “governo” del sistema: determinazione degli obiettivi e delle caratteristiche organizzative della “rete” degli interventi; definizione degli standard dei servizi sociali; rapporti con gli organismi internazionali), procedendo poi al conferimento alle regioni e agli enti locali della generalità delle residue funzioni (senza precisa elencazione), e attribuendo alla legislazione regionale di attuazione il compito di provvedere all’ulteriore riparto di competenze, secondo alcuni criteri allocativi individuati dallo stesso decreto.
Nell’ambito delle funzioni conferite, il decreto n. 112 procede anche all’attribuzione diretta ai comuni – con possibilità di esercizio attraverso le comunità montane – dei compiti di erogazione dei servizi e delle prestazioni sociali, nonché dei compiti di progettazione e di realizzazione della rete dei servizi sociali, anche con il concorso delle province. Una specifica funzione in materia di erogazione di pensioni, assegni e indennità spettanti, in base alla normativa vigente, agli invalidi civili viene trasferita dal decreto stesso all’INPS.
Si fa presente che in materia è di recente intervenuta la legge 8 novembre 2000, n. 328 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”), di completo riordino del settore; l’analisi del suo contenuto, pur esulando dagli obiettivi del presente lavoro, è attualmente imprescindibile per un’esaustiva ricostruzione delle competenze in materia di servizi sociali, considerato che la riforma, pur facendo salve le disposizioni del decreto n. 112, conferisce una pluralità di nuove competenze agli enti territoriali e ne ridelinea complessivamente le modalità d’azione nel settore. Di conseguenza, le regioni sono tenute ad adeguare la propria normativa al dettato della legge quadro.
Tutte le leggi regionali che fino a questo momento hanno dato attuazione al d.lgs. n. 112/1998 (ovvero quelle di Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Toscana, Umbria e Veneto) contengono disposizioni in materia di servizi sociali; per le regioni ancora “inadempienti” vige quanto disposto dal d.lgs. sostitutivo n. 96/1999.
Metodologicamente, le regioni hanno provveduto al riparto di competenze in materia di servizi sociali attraverso le leggi “organiche” di attuazione del decreto n. 112; in due casi (Toscana e Liguria) si è provveduto con interventi legislativi settoriali. Nel merito, per l’individuazione del livello di governo più adeguato a curare i diversi interessi in materia, le regioni hanno di frequente operato un rinvio alla riparto di competenze contenuto nella precedente legislazione regionale; in un caso (Emilia-Romagna) in attesa di una riforma organica nazionale dell’assistenza sociale, si è rinviato ad una legislazione regionale molto risalente, dettando al contempo i principi per la futura riforma regionale. Rimanda ad un successivo intervento legislativo regionale di disciplina della materia e dei riparti di funzioni tra regioni ed enti locali anche la l.r. Veneto.
Nel complesso, le leggi regionali tendono a conservare alla regione le funzioni di carattere prevelentemente unitario, quali la programmazione degli interventi sociali nel territorio; il coordinamento con gli interventi in campo sanitario, educativo e del lavoro; la definizione e integrazione della “rete” di attori (pubblici e privati) operanti nel sociale (con specifica valorizzazione delle organizzazioni operanti senza fine di lucro) e la ripartizione delle risorse del fondo sociale. Sono talvolta previsti anche compiti di amministrazione attiva (la gestione di progetti speciali di intervento; l’adozione di schemi-tipo di regolamenti dei servizi; l’autorizzazione, la vigilanza e i controlli di qualità su istituzioni pubbliche e private, la gestione di un Osservatorio di analisi sui fenomeni sociali).
Alla provincia vengono conferite le funzioni di programmazione e rilevazione di bisogni nel rispettivo ambito; delegate funzioni specifiche; attribuiti in via definitiva compiti di tenuta di sezioni provinciali del registro delle organizzazioni di volontariato.
Ai comuni viene attribuita la generalità delle funzioni in materia; in alcuni casi si riscontra il passaggio ai comuni di funzioni prima esercitate dalle province.
La Liguria e la Toscana prevedono delega di funzioni a favore delle comunità montane; l’Abruzzo conferisce alle Camere di Commercio funzioni di promozione della cooperazione sociale.
E’ frequente la previsione di incentivi alla gestione associata delle funzioni.

Istruzione

Le materie dell’istruzione e della formazione professionale sono disciplinate, rispettivamente, nei capi III e IV del titolo IV del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, in una stretta connessione tra loro in quanto si collocano nell’ambito di un radicale ripensamento del sistema di istruzione operato dalla l. 15 marzo 1997, n. 59. L’art. 21 della legge n. 59/1997, infatti, ha posto le condizioni per una trasformazione del modello c.d. “ministeriale” – verticale in un modello orizzontale costituito da un insieme di comunità scolastiche dotate di autonomia e, soprattutto, caratterizzate da un alto livello di integrazione tra istruzione, ricerca e formazione professionale. Di qui anche la scelta di trattare queste due materie insieme e non separatamente nelle schede relative alle leggi regionali di attuazione.
In materia di istruzione, l’art. 135 del d.lgs. n. 112/1998 ha operato un trasferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali limitatamente alla programmazione e alla gestione del servizio scolastico, mentre allo Stato sono state riservate (ex art. 137 d.lgs. ult. cit.) le seguenti funzioni: a) definizione dei criteri e dei parametri per l’organizzazione della rete scolastica, previo parere della Conferenza Unificata; b) valutazione del sistema scolastico; c) determinazione e assegnazione delle risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato e del personale delle istituzioni scolastiche; c) attività amministrative relative alle scuole militari e ai corsi scolastici organizzati, con il patrocinio dello Stato, nell’ambito delle attività relative alla difesa e alla sicurezza pubblica, nonché i provvedimenti relativi agli organismi scolastici istituiti da soggetti extra-comunitari.
Per quanto riguarda le leggi regionali di attuazione, Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto, hanno provveduto alla redistribuzione delle competenze tra i vari livelli di governo in questa materia; in tale ripartizione, c’è stato, a volte il richiamo a precedenti leggi regionali (cfr. art. 17, l.r. Toscana n. 85/1998 che rinvia alla l.r. n. 77/1995)
Il quadro che si evince dall’esame delle leggi regionali è il seguente: le regioni e gli enti locali esercitano le funzioni di programmazione, a livello territoriale, dell’offerta formativa e promuovono lo sviluppo degli strumenti di raccordo e concertazione con le parti sociali ed istituzionali al fine di attivare un sistema di formazione effettivamente integrato.
Per quanto riguarda le funzioni che le leggi regionali in esame attribuiscono specificamente alle province e ai comuni, le prime svolgono soprattutto compiti di coordinamento della rete scolastica, mentre i comuni si occupano delle funzioni amministrative indicate dall’art. 139 del d.lgs. 112/1998, relative cioè ai gradi inferiori di scuola (risoluzione dei conflitti di competenza, interventi per la scuola dell’infanzia).

Formazione professionale

Per la formazione professionale, è noto che il trasferimento delle funzioni era stato già effettuato prima dal d.P.R. n. 10/1972 e poi dal d.P.R. n. 616/1977, mentre i principi fondamentali per le leggi regionali sono stati dettati dalla legge quadro 21 dicembre 1978, n. 845.
Il d.lgs. n. 112/1998 ha operato un’ulteriore “scrematura” delle funzioni riservate allo Stato mediante un nuovo elenco (di cui all’art 142): a) rapporti internazionali e coordinamento con l’UE; b) indirizzo e coordinamento; c) individuazione degli standard delle qualifiche professionali; d) definizione dei requisiti minimi per l’accreditamento delle strutture che gestiscono la formazione professionale; e) istituzione e autorizzazione di attività formative dei lavoratori italiani all’estero; f) formazione professionale svolta dalle Forze armate e dai Corpi militari; g) compiti relativi agli istituti d’arte.
Dall’esame delle leggi regionali di attuazione (Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Molise, Toscana, Umbria, Veneto) si desume che nella ripartizione delle competenze le regioni svolgono funzioni amministrative relative alla vigilanza e alla definizione dei requisiti tecnici per l’idoneità delle strutture e delle attrezzature di formazione professionale, oltreché azioni di orientamento.
Per quanto attiene alle funzioni riservate alle province, dalle leggi regionali si evincono differenti processi attuativi rispetto alle disposizioni del d.lgs. 112/1998. In qualche regione è stato fatto un rinvio alle leggi regioni di settore (Emilia-Romagna), in altre regioni sono state attribuite alle province soltanto le funzioni amministrative relative alla formazione e all’aggiornamento del personale impiegato nelle iniziative di formazione professionale di cui all’art. 144, co. 1, lett. a) del d.lgs. 112/1998 (Toscana).
Le leggi regionali non hanno attribuito ai comuni funzioni in materia di formazione professionale.

Beni e attività culturali

L’articolo 117, comma 1, della Costituzione si riferisce alla materia dei beni e delle attività culturali limitatamente ai “musei e alle biblioteche di enti locali”. Il D.P.R. n. 616/1977 si è occupato di “Beni culturali” nel Titolo III, Capo VII (articoli 47-49). Tale materia è ora più ampiamente disciplinata nel Titolo IV, Capo V (articoli 148-155), relativo a “Beni e attività culturali”, del d.lgs. n. 112/1998.
Le Regioni Liguria e Marche, pur avendo prodotto una normativa regionale di attuazione del d.lgs. n. 112/1998, non hanno ancora disciplinato la materia dei beni e delle attività culturali.
Dalla lettura delle altre leggi regionali attuative del d.lgs. n. 112/1998 (l.r. Abruzzo n. 72/1998 e l.r. Abruzzo n. 11/1999; l.r. Basilicata n. 7/1999; l.r. Emilia Romagna n. 3/1999; l.r. Lazio n. 14/1999, l.r. Lombardia n. 2/2000; l.r. Molise n. 34/1999; l.r. Piemonte n. 44/200; l.r. Puglia n. 24/2000; l.r. Toscana n. 85/1998; l.r. Umbria n. 3/1999; l.r. Veneto n. 11/2001), rispetto alla materia dei beni e delle attività culturali emergono, in sintesi, due dati: in primo luogo, le funzioni individuate e distribuite dalle leggi regionali ai vari livelli di governo sono prevalentemente di amministrazione attiva. Le funzioni di programmazione, inoltre, risultano più articolate rispetto alle funzioni di controllo. In secondo luogo, le funzioni sono allocate soprattutto a livello regionale e, seppure con minore frequenza, a livello provinciale. Poche volte, invece, le leggi regionali procedono ad individuare funzioni e compiti da allocare direttamente a livello comunale e quasi mai in favore delle Comunità montane.
Riguardo ai rimandi a legislazione futura contenuti nelle leggi regionali esaminate, in materia di beni e attività culturali, ricordiamo che la l.r. Basilicata n. 7/1999 prevede che la Regione provvede a determinare le norme per l’organizzazione e il funzionamento dei musei e degli altri beni culturali trasferiti in gestione ex articolo 150 del d.lgs. n. 112/1998, con successivo provvedimento legislativo da adottarsi entro sei mesi dall’entrata in vigore della propria legge regionale. La l.r. Lazio n. 14/1999 specifica che, in attesa dell’istituzione della Città metropolitana di Roma, la Provincia di Roma esercita le funzioni e i compiti amministrativi previsti dall’articolo 166 della l.r. Lazio n. 14/1999; inoltre, in attesa dell’istituzione della Città metropolitana, il Comune di Roma esercita, nell’ambito del territorio comunale, le funzioni e i compiti amministrativi conferiti alla Provincia ai sensi degli articoli 5 e 166 della l.r. Lazio n. 42/1997. La l.r. Lombardia provvederà entro un anno dall’entrata in vigore della propria legge regionale ad adottare una disciplina organica di semplificazione e di armonizzazione delle leggi in materia di beni e attività culturali. La l.r. Molise n. 34/1999 prevede che la Regione procede alla revisione della disciplina in materia di beni e attività culturali, anche in vista dei trasferimenti da effettuarsi ai sensi dell’articolo 150 del d.lgs. n. 112/1998, con successivo provvedimento legislativo da adottarsi ai sensi dell’articolo 19 della legge regionale. Anche la l.r. Emilia Romagna n. 3/1999 prevede che la Regione riordina la propria normativa in materia di biblioteche, musei e altri beni culturali ispirandosi ad una serie di criteri generali previsti all’articolo 208, comma 3.
Va infine rilevato che, nella materia esaminata, nulla è disposto nell’intervento sostitutivo del Governo, ossia nel d.lgs. n. 96/1999.

Spettacolo

Nel decreto legislativo n. 112/1998, la materia dello spettacolo è disciplinata dall’art. 156, contenuto nel Capo VI del settore organico dedicato ai “Servizi alla persona e alla comunità” (Titolo IV ).
La normativa in esame si limita a individuare i compiti di rilievo nazionale in materia, elencando analiticamente una pluralità di funzioni riservate allo Stato, in osservanza del disposto dell’art. 1, comma 4, lett. c) della legge n. 59/1997 che espressamente escludeva dall’ambito del conferimento di funzioni e compiti amministrativi a regioni ed enti locali “i compiti di rilievo nazionale (…) per gli indirizzi, le funzioni e i programmi nel settore dello spettacolo”.
L’art. 156 non contiene alcun riferimento alle funzioni e ai compiti amministrativi da intendersi residualmente conferiti alle regioni o agli enti locali.
A riguardo, sembra comunque opportuno precisare che il processo di attuazione del decreto 112 nella materia in esame risente complessivamente delle difficoltà di riordino del settore, conseguenti alla mancata adozione dei decreti legislativi di trasferimento di competenze e funzioni alle regioni (previsti dall’art. 2 della L. 30 maggio 1995, n. 203) e al persistente ritardo nell’adozione delle leggi-quadro di riforma dei singoli settori dello spettacolo.
Tra tutte le leggi regionali che fino a questo momento hanno dato attuazione al d.lgs. n. 112/1998, solo quelle delle regioni Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Molise, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto contengono disposizioni in materia di spettacolo; per le regioni ancora “inadempienti” (ovvero Calabria e Campania) il d.lgs. sostitutivo n. 96/1999 non reca norme a riguardo.
Nel merito, la normativa regionale considerata prevede in due casi (Molise e Toscana) il rinvio a futura legislazione regionale per la ripartizione e l’organizzazione delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di spettacolo. In particolare, la l.r. Toscana fa riferimento a una futura legge di riordino del settore che dovrà comunque prevedere l’attribuzione alle Province e ai Comuni di tutte le funzioni amministrative non riservate alla Regione, rinviando per la definizione di queste ultime a una norma di carattere generale che imputa alla regione funzioni di programmazione, di concorso all’elaborazione e all’attuazione delle politiche comunitarie e nazionali di settore e di cura di specifici interessi di carattere unitario.
In un caso (Emilia-Romagna) si individua analiticamente il riparto di funzioni tra regioni ed enti locali, ma si prevede comunque una clausola di futuro adeguamento della legislazione regionale esistente in materia.
Le leggi regionali che espressamente prevedono, più o meno analiticamente, un riparto di funzioni (ll.rr. Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Piemonte, Puglia, Umbria e Veneto), tendono a conservare alla regione le funzioni di: programmazione (degli interventi diretti alla promozione, allo sviluppo e al riequilibrio territoriale delle attività nel settore); pianificazione specifica; allocazione delle risorse regionali; sostegno agli operatori del settore (con particolare riguardo all’imprenditoria giovanile); concorso nella definizione dei requisiti per la formazione del personale artistico e tecnico. Si prevedono anche interventi di gestione, quali la partecipazione alle fondazioni enti lirici (Lazio) e l’istituzione di un Osservatorio sulle realtà dello spettacolo (Lazio, E.R.).
Agli enti locali (spesso senza distinguere) vengono in genere conferite specifiche funzioni di gestione (ad es., compiti attinenti all’erogazione dei servizi teatrali o all’adeguamento di sedi destinate allo spettacolo) ma anche di concorso alla definizione dei programmi e di altre attività regionali.
Si segnala il caso della regione Abruzzo che delega alle province una pluralità di funzioni (individuazione di poli territoriali di produzione e propulsione dei vari generi del settore dello spettacolo; organizzazione dell’informazione delle attività che si svolgono sul territorio; incentivazione dei comuni per la realizzazione di infrastrutture destinate ad attività di spettacolo; incentivazione di attività di spettacolo collegate a itinerari turistico-culturali d’area).
E’ quasi sempre previsto un principio di cooperazione e coordinamento tra i diversi livelli di governo nello svolgimento delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia.

Sport

Il decreto legislativo n. 112/1998 dedica al riparto di competenze in materia di sport l’art. 157, contenuto nel Capo VII del titolo IV (“Servizi alla persona e alla comunità”).
La materia in oggetto era stata già ampiamente “regionalizzata” dal D.P.R. n. 616/1977, pertanto la normativa in esame individua come sola competenza trasferita alle regioni l’elaborazione dei programmi straordinari di interventi per l’impiantistica sportiva previsti dall’art. 1 (specie commi 4 e 5) del decreto legge 3 gennaio 1987, n. 2, convertito con modificazioni dalla legge 6 marzo 1987, n. 65. Si tratta, in particolare, di competenza finora riservata a una commissione tecnica – prevista dalla normativa statale richiamata – che l’art. 157 del decreto n. 112/1998 provvede direttamente a sopprimere.
Parallelamente, il decreto 112 riserva allo Stato unicamente la funzione di vigilanza sul CONI e sull’Istituto di credito sportivo.
Di tutte le leggi regionali che fino a questo momento hanno dato attuazione al d.lgs. n. 112/1998, solo quelle di Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto, contengono disposizioni in materia di sport; per le regioni ancora “inadempienti” (ovvero Calabria e Campania) il d.lgs. sostitutivo n. 96/1999 non reca norme a riguardo.
Nel merito, il dettato delle leggi regionali esaminate risulta piuttosto scarno in materia, considerato che il decreto 112 poco innova rispetto all’esistente; pertanto, la redistribuzione delle funzioni avviene per lo più con riferimento alla preesistente normativa regionale di settore.
Nell’attuazione del decreto 112, tutte le leggi regionali mantengono in capo alla regione la funzione conferita dall’art. 157 (richiamata in apertura), con l’unica eccezione della regione Marche, che attribuisce tale competenza alle province e della regione Veneto, che nulla rileva al riguardo.
In via generale, le leggi regionali conservano alla regione funzioni di programmazione (degli impianti sportivi, delle iniziative di promozione sportiva, e delle manifestazioni sportive) e di tutela della salute nell’esercizio della pratica sportiva. La regione Puglia affida al livello regionale il compito di tutelare i cittadini che praticano lo sport anche definendo standard e requisiti minimi per lo svolgimento di attività sportive. La regione Lazio individua analiticamente le funzioni di competenza regionale, e tra di esse ricomprende anche compiti di gestione (organizzazione di mostre e convegni su attività rivolte al tempo libero; acquisizione di dati, studi e indagini in materia; autorizzazione per l’esercizio delle scuole di sci).
Agli enti locali vengono in genere conferite singole funzioni di gestione; si segnalano però i casi delle regioni Abruzzo e Veneto (quest’ultima esclusivamente per le province), che procedono attraverso delega e della legge regionale del Lazio, che conferisce in via residuale e generale ai comuni tutte le funzioni e i compiti amministrativi non riservati dalla stessa legge alla regione e non conferiti espressamente ad altri enti locali.
Il livello di governo maggiormente considerato è quello provinciale, ad esso vengono per lo più conferite funzioni relative alla concessione di contributi per promozione e sostegno di attività non specificate, ma individuate attraverso rinvio a previgente legislazione regionale. Risultano assenti le comunità montane.
Da segnalare, infine, che nonostante il decreto n. 112/1998 abbia collocato la materia dello sport nell’ambito generale dei “Servizi alla persona e alla comunità” – innovando rispetto al D.P.R. n. 616/1977 che, invece, ne abbinava la disciplina a quella del turismo, all’interno del settore organico “Sviluppo economico e attività produttive” – alcune leggi regionali (Toscana, Abruzzo, Basilicata) continuano a riferirsi a “Turismo e sport”, pur nella distinzione di disciplina attuativa, o a inserirne la regolazione nel contesto del precedente ambito materiale.

Polizia amministrativa

Per quanto concerne il riordino delle funzioni di polizia amministrativa attuato successivamente al d.lgs. 112/1998, la l.r. Abruzzo e la l.r. Molise rinviano semplicemente alla ripartizione operata nel titolo V del d.lgs. 112/1998, mentre la l.r. Umbria prevede che la regione e gli enti locali, nelle materie oggetto dei conferimenti, disciplinati dalla stessa legge regionale, esercitano tutte le competenze di polizia amministrativa non riservate allo Stato, ivi compreso l’accertamento delle violazioni e la irrogazione delle sanzioni amministrative ai sensi della l.r. 15/1983.
La l.r. Marche fa riferimento solo alle funzioni degli enti locali, disponendo che “sono rispettivamente attribuiti o delegati agli enti locali le funzioni ed i compiti di polizia amministrativa inerenti alle funzioni attribuite o delegate dalla regione ai sensi della presente legge”; la l.r. Lombardia, invece, richiama solo le funzioni regionali, laddove prevede che “la regione è titolare delle funzioni e dei compiti di polizia amministrativa nelle materie di sua competenza o ad essa delegate ai sensi della normativa vigente”.
La l.r. Emilia Romagna ritiene, per contro, che il servizio di polizia amministrativa sia esercitato dall’insieme delle strutture di polizia locale operanti nel territorio della regione e che essa, nella specifica materia, eserciti funzioni di indirizzo, di coordinamento e di sostegno all’attività operativa, nonché alla formazione ed all’aggiornamento professionale dei corpi di polizia, promuovendo forme di collaborazione con le forze di pubblica sicurezza. Quest’ultima previsione è dettata pure dalla l.r. Piemonte, subito dopo aver individuato la titolarità da parte della regione delle funzioni di polizia amministrativa nelle materie riservate alla propria competenza.
Anche la l.r. Lazio definisce le competenze della regione e degli enti locali, collegandole alle funzioni conferite nei singoli settori organici di materie.
La l.r. Basilicata, invece, utilizza la tecnica del rinvio a futuro intervento legislativo regionale. Analogamente, opera la l.r. Veneto, per la disciplina delle funzioni che richiedono unitario esercizio a livello regionale.
La l.r. Lazio elenca le funzioni riservate alla regione ed alloca funzioni in favore dei comuni e delle comunità montane.
Le ll.rr. del Lazio, del Piemonte, del Veneto (nella disciplina della materia della viabilità), della Toscana (nella disciplina della materia dello sport – si tratta dell’unico cenno ad una funzione afferente la polizia amministrativa) e dell’Emilia Romagna prevedono il conferimento di funzioni amministrative a beneficio delle province.
La l.r. Lazio, anche attraverso la ricognizione di riparti di competenze già compiuti, si presenta come una sorta di “testo unico” delle funzioni che competono alla regione ed agli enti locali.

di Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet”