La decisione segnalata affonda le sue radici nell’annosa controversia che ha visto contrapposte al Governo alcune Regioni a maggioranza politica non omogenea rispetto all’indirizzo politico-parlamentare dell’epoca (Puglia, Veneto e Lombardia come “capofila”, cui si sono unite, ma solo per profili parziali, le Province autonome di Trento e di Bolzano).
Le ricorrenti lamentavano l’intervento “intrusivo” del legislatore statale rispetto alla loro autonomia legislativa ed organizzativa in materia sanitaria, asseritamente garantita sin dal livello costituzionale. Le fonti ritenute lesive della sfera di competenza regionale erano sia la legge delega n. 419 del 1998 che il decreto legislativo n. 229 del 1999, emanate allo scopo dichiarato di verificare e completare la riforma del Servizio sanitario nazionale avviata con il d.lgs. n. 502 del 1992, lungo le due linee direttrici della aziendalizzazione e della regionalizzazione.
Le censure sollevate dalle ricorrenti all’indomani delle riforme del 1998-99 possono essere ricondotte a due gruppi: da un lato, si lamentava l’estremo dettaglio, quando non l’eccessiva restrittività, di gran parte delle disposizioni contenute nelle due fonti citate, al punto tale da comprimere e sacrificare l’autonomia regionale nel settore (es. disposizioni in materia di: contenuti del P.s.n.; requisiti per la nomina dei direttori generali; organizzazione dei distretti; organizzazione delle aziende ospedaliere; autorizzazione e accreditamento; sperimentazioni gestionali etc.); dall’altro, si evidenziava in più punti la violazione o l’assoluta carenza di legge delega.
Le novità normative in materia sanitaria intercorse nelle more della decisione hanno indotto le stesse Regioni ricorrenti ad affermare la cessazione della materia del contendere rispetto ad alcune norme censurate ed ormai superate. In particolare, le difese regionali hanno indicato i settori delle sperimentazioni gestionali e dell’organizzazione ospedaliera, espressamente “derubricati” dalla qualifica di “principi fondamentali” e ricondotti nell’alveo delle competenze regionali (art. 19, comma 2-bis, d.lgs. n. 502 del 1992, così come introdotto dall’art. 3, d.l. 8 settembre 2001, n. 347, convertito con modificazioni dalla legge 16 novembre 2001, n. 405).
Inoltre, le stesse difese hanno affermato che in altri segmenti (es. autorizzazione e accreditamento), la riforma-ter è rimasta sostanzialmente inattuata, non essendo stati emanati i pur previsti atti di indirizzo e coordinamento: conseguentemente, il d.lgs. n. 229 non avrebbe assunto alcuna efficacia lesiva dell’autonomia regionale rimanendo ad uno stadio meramente potenziale. Da ultimo, le Regioni hanno prospettato un argomento di natura costituzionale, ritenendo pacifico che con l’approvazione della legge cost. n. 3 del 2001, le materie dell’“assistenza sanitaria e ospedaliera ed il loro ordinamento e organizzazione” siano ormai riconducibili alla “competenza esclusiva” delle Regioni.
La difesa erariale, dal canto suo, ha sottolineare la cessata materia del contendere su tutte le questioni sollevate, evidenziando, oltre alle fonti già richiamate dalle difese regionali, l’emanazione del D.p.c.m. 29 novembre 2001 sui livelli essenziali di assistenza sanitaria.
La Corte, senza aderire alle prospettazioni di rilievo costituzionale delle difese regionali, si è limitata a prender atto dei mutamenti dell’assetto delle competenze intervenuti tra le riforme del 1998-99 e l’approvazione della legge cost. 3 del 2001, dando rilievo agli atti, di natura non solo legislativa ma anche negoziale (es. Accordo 8 agosto 2001 in sede di Conferenza unificata Stato – Regioni), che hanno avuto una forte incidenza sul quadro di riparto delle attribuzioni tra Stato, Regioni e Province autonome in materia sanitaria. Per tale via ha ritenuto di distinguere nettamente tra situazione ante 2001 – laddove ha riscontrato l’assenza di qualsivoglia effetto lesivo del d.lgs. n. 229 del 1999 rispetto alla sfera di autonomia regionale, in quanto le relative disposizioni sono rimaste inattuate o senza “copertura” amministrativa per stessa dichiarazione delle difese regionali – e situazione post legge cost. n. 3 del 2001.
Con riguardo a quest’ultima, le affermazioni della Consulta costituiscono importanti parametri interpretativi per la sua attuazione in tema di riparto della potestà legislativa tra Stato e Regioni, non solo in materia sanitaria, ma anche con riferimento ad ogni altra materia:
“Con la riforma del Titolo V il quadro delle competenze è stato profondamente rinnovato e in tale quadro le regioni possono esercitare le attribuzioni, di cui ritengano di essere titolari, approvando – fatto naturalmente salvo il potere governativo di ricorso previsto dall’art. 127 della Costituzione – una propria disciplina legislativa anche sostitutiva di quella statale. […] Proprio a partire da tale data le medesime norme possono essere sostituite, nei limiti ovviamente delle rispettive competenze, da un’apposita legislazione regionale.”
Per consultare il testo integrale della decisione:
http://www.giurcost.org