La definizione di rifiuto sotto accusa da parte della Commissione Europea

26.11.2002

La definizione di rifiuto contenuta nel neo art. 14 del decreto-legge n.138 dell’ 8 luglio 2002 sotto accusa da parte della Commissione Europea.

La procedura di infrazione della Commissione Europea

Come era prevedibile, la definizione di rifiuto contenuta nell’art 14 del decreto legge n.138/2002, convertito nella legge n.178 dell’8 agosto 2002, non cessa di far discutere ma, anzi, determina la promozione di una procedura di infrazione nei confronti dello Stato Italiano da parte della Commissione Europea per violazione degli obblighi previsti dalla direttiva 75/442/Cee come modificata dalla direttiva 91/156/Cee.
Cio’ che viene posto sotto accusa e’ il carattere fortemente restrittivo della definizione proposta dal legislatore italiano che avrebbe, di fatto, l’effetto di sottrarre dalla nozione di rifiuto, e dalla relativa disciplina, diversi materiali e merci contravvenendo, in questo modo, all’opposto intento della disciplina comunitaria.
Come piu’ volte ribadito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, la normativa comunitaria in materia di rifiuti, che trova la sua radice nel significato attribuito al termine “disfarsi” (nelle sue diverse accezioni di “volontà” e “obbligo”) contenuto nella direttiva 75/442/Cee, non può essere derogata da una norma di diritto interno. Viceversa, secondo le chiavi interpretative contenute nell’art 14, per il legislatore italiano dovrebbe intendersi per:
“a) si disfi: qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n.22/1997;
b) abbia deciso: la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n.22/1997, sostanze, materiali o beni;
c) abbia l’obbligo di disfarsi: l’obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza o del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell’elenco dei rifiuti pericolosi di cui all’allegato D del decreto legislativo n.22/1997”. Mentre, “non ricorrono le fattispecie di cui alle lettere b) e c) del comma a) per beni o stanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:
(a) se gli stessi possono essere o sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all’ambiente,
(b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell’Allegato C del decreto legislativo n.22/1997”.
Appare evidente come suddette regole interpretative producano l’effetto di limitare il contenuto della nozione di rifiuto di radice comunitaria, escludendovi di fatto non solo tutte le sostanze non elencate agli allegati B e C, destinate alle operazioni di smaltimento e recupero, ma, oltremodo, tutti quegli scarti di produzione o consumo che siano o possano essere riutilizzati nel medesimo, analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo dopo aver subito un trattamento preventivo, siano o meno necessaria una vera e propria operazione di recupero.
Secondo l’opinione della Commissione Europea, questa restrizione della nozione di rifiuto nonché, di conseguenza, la limitazione dell’ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti e’ illegittima e contraria ai principi ispiratori della normativa europea in materia che, viceversa, tende ad ampliare il più possibile l’operatività’della stessa.
Il fatto in sé della, anche solo potenziale, recuperabilita’ del bene quale criterio di esclusione dalla nozione di rifiuto apre la strada alla creazione di numerose e quasi incontrollabili eccezioni. Così, ad esempio, molti imballaggi metallici, ferrosi, in acciaio, o materiali prodotti da operazioni di frantumazione o trattamento di rifiuti contenenti metalli, e simili, non dovrebbero più considerarsi rifiuti. Stessa sorte subirebbero gli imballaggi e i materiali di carta e cartone riutilizzati per la realizzazione di carta riciclata.
Altro profilo sottoposto a critica e’ rappresentato dalle espressioni, generiche e a loro volta necessitanti di idonea definizione, a cui viene ricondotta la limitazione rappresentata nell’14 (…purché “non rechino pregiudizio all’ambiente”… e “qualora non venga effettuato un intervento preventivo di trattamento”…) tanto che il risultato finale e’ una totale incertezza, e dunque discrezionalità, rispetto ai confini di operatività della interpretazione e della correlata eccezione.
Conformemente all’art.226 del Trattato istitutivo della Comunità Europea entro due mesi dal ricevimento della notifica di infrazione il nostro Governo e’ chiamato ad inviare le proprie osservazioni sulle sopra esaminate accuse mosse dalla Commissione europea.

a cura di Emanuela Gallo