L’art. 56, d. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come modificato dall’art. 25, d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, e dall’art. 15, d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 – oggi art. 52, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 – dispone che nel pubblico impiego l’esercizio di fatto di mansioni non coincidenti con la qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento (1° comma) e che si considera svolgimento di mansioni superiori solo la formale attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni (3° comma).
Non diversamente l’art. 3, 2° e 3° co., del CCNL del 31.3.1999 per la revisione del sistema di classificazione del personale del Comparto Regioni e Autonomie Locali – che suddivide il personale in quattro categorie (A, B, C e D) – stabilisce (in applicazione del citato art. 56, 1° co., d. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29) che l’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio da parte del datore di lavoro del c.d. potere determinativo dell’oggetto del contratti di lavoro, mentre l’adibizione formale a mansioni proprie della categoria immediatamente superiore – nelle ipotesi previste dall’art. 56, 2° e 4° co. -, costituisce il solo atto lecito di esercizio del c.d. potere modificativo.
Le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono tutte ugualmente esigibili dal datore di lavoro. Pertanto, lo svolgimento di varie mansioni nell’ambito della stessa categoria non costituisce titolo per rivendicare differenze retributive.
L’art. 5 del citato CCNL stabilisce che la progressione economica all’interno di ciascuna categoria può avvenire previa selezione da effettuarsi nei limiti delle risorse disponibili e nel rispetto dei criteri contrattualmente individuati.