Corte Costituzionale, 23 luglio 2002, n. 375
La polisistemicità dell’ordinamento tributario e l’esigenza di garantire un regolare funzionamento degli uffici tributari consentono al legislatore di adattare in modo differenziato ai vari tributi istituti comuni, quali la prescrizione e la decadenza della pretesa fiscale.
Giudizio di legittimità costituzionale dell’art.57, comma 2, secondo periodo, della legge 30 dicembre 1991, n.413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), promosso con ordinanza dalla Commissione tributaria regionale di Milano.
La Commissione tributaria regionale di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale avverso l’art.57, comma 2, secondo periodo, della legge 30 dicembre 1991, n.413, per presunto contrasto con l’art.3 Cost., nella parte in cui dispone la proroga (rectius: sospensione) dei termini degli accertamenti tributari anche con riguardo alle situazioni escluse ratione temporis dal condono fiscale previsto nella legge medesima.
La norma impugnata (come modificata dall’art.4 del decreto-legge 23 gennaio 1993, n.16), in relazione alla disciplina del condono, proroga di due anni i termini per l’accertamento dei periodi di imposta per i quali non può essere presentata dichiarazione integrativa e che non siano ancora scaduti alla data del 31 dicembre 1991. Parallelamente, la norma impugnata dispone anche la sospensione – fino al 31 dicembre 1993 – dei termini di prescrizione e di decadenza relativi alla riscossione (e, in virtù della novella apportata dall’art.4 del d.l. n.16 del 1993, anche all’accertamento) delle imposte supplementari e complementari concernenti le imposte di registro catastali e ipotecarie, le imposte sulle successioni e donazioni e l’imposta comunale di valore sugli immobili.
La presunta incostituzionalità della norma impugnata è argomentata dalla ricorrente sia in relazione al principio di ragionevolezza (perché, protraendo i tempi del contenzioso relativamente alle situazioni escluse dal condono, risulterebbe contraddittoria rispetto alla ratio del condono, volto a risolvere le pendenze tributarie relative ai tributi condonabili), sia in relazione al principio di eguaglianza (perché, in relazione a situazioni tra di loro differenti – quali quelle relative ai tributi condonabili e a quelli non condonabili – si verrebbe a prevedere il medesimo strumento della sospensione dei termini).
Il Presidente del Consiglio dei Ministri è intervenuto in giudizio rappresentato dall’Avvocatura di Stato, pronunciandosi per la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità. L’Avvocatura sostiene che la norma impugnata non viola né l’art.3 della Costituzione, né il principio di ragionevolezza, in quanto volta ad agevolare l’attività degli uffici finanziari che, a causa del condono, risultavano sottoposti ad un non indifferente aggravio di lavoro.
La Corte si pronuncia in primo luogo per la rilevanza della questione, evidenziando la non implausibilità della duplice interpretazione sostenuta dalla Commissione per cui, da una parte, l’atto di liquidazione dell’imposta non dovrebbe necessariamente essere anticipato da un atto di accertamento e, dall’altra parte, la sospensione dei termini di cui all’art.57, secondo comma della legge n.413 del 1991 non sarebbe limitata ai soli atti condonabili.
Nel merito, la Corte giudica la questione non fondata, confermando – a sostegno della ragionevolezza della norma impugnata – l’interpretazione della difesa per cui il regime differenziato previsto nella norma impugnata sarebbe giustificato dall’esigenza di sgravare gli uffici tributari di parte dell’aggravio di lavoro conseguente al condono. Nello specifico, la Corte fa derivare la tutela della pretesa fiscale dell’amministrazione direttamente dall’art.53 Cost, per cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche. Sulla specialità dell’attività di accertamento e di riscossione delle imposte, che giustifica una dilazione dei termini previsti dalla legge qualora in situazioni particolari vi sia il rischio di comprometterla, la Corte richiama le sentenze n.177 del 1992 e n.238 del 1984. Non viene accolta neanche l’argomentazione della ricorrente per cui la sospensione prevista nella norma impugnata risulterebbe contraddittoria nei confronti della ratio del condono di definire le pendenze tributarie.
In relazione alla presunta violazione del principio di eguaglianza, la Corte, ricordando il principio della polisistemicità dell’ordinamento tributario già enunciato in una sua precedente sentenza, sostiene che spetta alla discrezionalità del legislatore differenziare l’applicazione degli istituti della sospensione e della prescrizione tra le varie imposte, prevedendo – come nel caso in esame – per alcune di esse la proroga dei termini di accertamento (art. 57, comma 2, primo periodo della legge n.413 del 1991) e per altre la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza per l’accertamento e la riscossione (art. 57, comma 2, secondo periodo della legge n.413 del 1991).
Alla luce di queste considerazioni, la Corte giudica la questione non fondata.
Giurisprudenza richiamata:
– sulla facoltà di una dilatazione dei termini di decadenza e di prescrizione relativi alle attività di accertamento e di riscossione delle imposte qualora una situazione contingente, come il disservizio degli uffici, possa comprometterla: Corte Costituzionale, sent. n.177 del 1992; sent. n.238 del 1984
– sul principio della polisistematicità dell’ordinamento tributario: Corte Costituzionale, sent. n. 430 del 1995
– sulla possibilità di una proroga dei termini limitata ad una sola tipologia d’imposta: Corte Costituzionale, sent. n.575 del 1988