La Corte di Giustizia ha ritenuto che la Repubblica francese, mantenendo in vigore l’art. 2, nn. 1 e 3, del decreto 13 dicembre 1993, n. 93-1298, che istituisce una golden share dello Stato nella Société Nationale Elf-Aquitaine, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art 73 B del Trattato CE (divenuto art. 56 CE) non avendo previsto criteri sufficientemente precisi ed obiettivi per quanto riguarda l’approvazione o l’opposizione contro le operazioni per le quali è prevista la possibilità di ricorrere ai diritti conferiti dalla golden share. La normativa sottoposta all’apprezzamento della Corte prevede che ogni superamento, da parte di una persona fisica o giuridica, che agisca da sola o di concerto, dei limiti massimi di detenzione diretta o indiretta di titoli del decimo, del quinto o del terzo del capitale o dei diritti di voto della società deve essere previamente approvato dal Ministro dell’Economia ed è possibile proporre opposizione contro le decisioni di cessione o di attribuzione a titolo di garanzia degli elementi patrimoniali che figurano nell’allegato del detto decreto, ossia la maggioranza del capitale di quattro consociate di tale società: la Elf-Aquitaine Production, la Elf-Antar France, la Elf-Gabon SA e la Elf-Congo SA.
Il giudice comunitario, infatti, pur riconoscendo che l’obiettivo perseguito dalla normativa controversa – garanzia dell’approvvigionamento di prodotti petroliferi in caso di crisi – rientri nell’ambito di un legittimo interesse pubblico che può giustificare un ostacolo alla libera circolazione dei capitali, ha precisato che ‘le esigenze della pubblica sicurezza, particolarmente in quanto autorizzano una deroga al principio fondamentale della libera circolazione dei capitali, devono essere interpretate in senso restrittivo, di guisa che la loro portata non può essere determinata unilateralmente da ciascuno Stato membro senza il controllo delle Istituzioni comunitarie’ (punto 48). In questa prospettiva, disposizioni come la normativa francese che attribuiscono all’Autorità pubblica un ampio margine di discrezionalità in ordine all’esercizio dei diritti riconosciuti dalla golden share senza far riferimento all’esistenza di nessuna condizione – ad eccezione di un generico riferimento alla protezione degli interessi generali – che ne giustificano l’esercizio non consente agli investitori interessati di conoscere quali siano le circostanze specifiche ed obiettive in presenza delle quali sarà concessa o autorizzata l’autorizzazione.
La Corte conclude, quindi, che una siffatta indeterminatezza non permette ai singoli di conoscere l’estensione dei loro diritti ed obblighi derivanti dall’art. 73 b (ora art. 56) e pregiudica il principio della certezza del diritto. Un potere discrezionale così ampio rappresenta un grave pregiudizio alla libera circolazione dei capitali che può portare anche alla relativa soppressione. Il regime controverso va quindi oltre quanto necessario per conseguire l’obiettivo fatto valere dal Governo francese e deve essere ritenuto contrario al Trattato. Più precisamente, la libera circolazione dei capitali, in quanto principio fondamentale del Trattato, può essere limitata da una normativa nazionale solo se quest’ultima sia giustificata da motivi previsti all’art. 73 d), n. 1, del Trattato o da ragioni imperative di interesse pubblico e che si applichino ad ogni persona o impresa che eserciti un’attività sul territorio dello Stato membro ospitante. Inoltre, per essere così giustificata, la normativa nazionale deve essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di quest’ultimo, al fine di soddisfare il criterio di proporzionalità.