Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza del 3 giugno 2002, n. 3061: ‘Pur essendo la regolarità fiscale un requisito di partecipazione agli appalti pubblici, in mancanza di atti di accertamento tributario precedentemente adottati dagli organi competenti nei riguardi di una impresa partecipante ad una gara d’appalto, non esiste un potere-dovere della Stazione Appaltante di disporre nei confronti di quest’ultima verifiche tese all’accertamento della veridicità delle dichiarazioni circa l’assolvimento degli obblighi fiscali.
Il Consiglio di Stato, con la decisione su menzionata, provvede a riformare la sentenza emessa nel merito dal giudice di primo grado della Campania: quest’ultimo, infatti, insistendo sulla esistenza di un obbligo in capo alla Stazione Appaltante di verificare il rispetto della normativa fiscale con riguardo all’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico – a cui l’Ente in discussione, invece, si sarebbe sottratto –, aveva ritenuto opportuno accogliere il ricorso dell’impresa risultata seconda in graduatoria nella gara di cui sopra dichiarando così illegittimo il provvedimento di aggiudicazione in favore della prima.
Il Supremo Consesso nega l’esistenza di un tale potere-dovere dell’Ente Appaltante e ciò, innanzitutto, perché ‘Nel nostro sistema, nel cui ambito tra l’altro non è prevista una tipica forma di certificazione pubblica di regolare assolvimento degli obblighi fiscali, i controlli sul corretto adempimento dei predetti obblighi sono disimpegnati esclusivamente dagli organi competenti dell’Amministrazione tributaria, e la situazione non può ritenersi mutata solo per l’espletamento di una procedura di gara’, senza dimenticare – proseguono i Giudici di Palazzo Spada – che effettuare una valutazione di merito sulla dichiarazione auto-attestativa dell’impresa concorrente circa la sua regolarità fiscale significherebbe, per le Stazioni Appaltanti, aprire ad indagini di natura presuntiva o meramente indiziaria, con tutte le immaginabili conseguenze sulla celerità del dispiegarsi della procedura di gara.
La presenza di una auto-dichiarazione di regolarità fiscale dell’impresa e la mancanza di atti di accertamento tributario adottatati dagli organi competenti nei confronti di quest’ultima – precisa il Consiglio di Stato -, tuttavia, non esimono la Pubblica Amministrazione, allorchè esistano prima facie palesi segnali di irregolarità tributaria dell’impresa, dal sollecitare gli organi competenti sul territorio – senza fermare la procedura di gara – affinchè dispongano gli accertamenti del caso, in esito ai quali possono intervenire misure sanzionatorie di vario profilo nei confronti della ditta che abbia reso dichiarazioni mendaci.
Dalla sentenza su richiamata discende, pertanto, la considerazione che se anche l’art. 12 del d.lgs. n. 157/1995 (trattandosi, nel caso di specie, di un appalto per la gestione e custodia del centro sportivo comunale di durata novennale), per il tramite del rinvio all’art. 11 del d.lgs. 24 luglio 1992, n. 358, prevede l’esclusione dalla partecipazione alle gare per i concorrenti che non fossero in regola con gli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti, ‘non per questo può dirsi che l’Amministrazione appaltante doveva, o che comunque era nelle sue possibilità (con gli strumenti e le professionalità necessarie), esprimere giudizi circa la regolarità fiscale dell’impresa concorrente.’.
Concludendo, la regolarità fiscale, come requisito di partecipazione agli appalti pubblici non è altro che una condizione attuale rilevante al momento della richiesta di partecipazione alla gara, sicché l’amministrazione non può escludere un concorrente perché pronostica che perderà tale requisito successivamente alla gara stessa.