Sul ‘pluralismo esterno’ nei mezzi di informazione

07.05.2002

Corte Costituzionale, 7 maggio 2002, sent. n.155

Le disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica non ledono il principio del c.d. ?pluralismo esterno?.

Giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 7 della legge 22 febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica), promosso dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio.

Il TAR Lazio ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt.1, 2, 3, 4, 5 e 7 della legge 22 febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica) per contrasto con gli artt. 3, 21 e 42 della Costituzione.

Secondo il giudice rimettente, la disciplina della “comunicazione politica” radiotelevisiva di cui agli artt.2 e 4 della l. n.28/00 non fisserebbe “limiti” all’esercizio di specifiche attività, ma renderebbe il mezzo radiotelevisivo funzionale all’interesse per il quale è stato posto il limite, in contrasto con il riconoscimento della libertà dei mezzi di diffusione garantita dall’art.21 Cost.

Le disposizioni impugnate, inoltre, non considerano che l’emittente privata, in quanto “impresa di opinione”, è titolare di un’autonoma posizione soggettiva che, nel caso di specie, verrebbe a mancare. Viene così a vanificarsi l’importanza del regime pluralistico c.d. “esterno” dell’informazione radiotelevisiva, estensione del più generale principio del pluralismo, cui anche in passato la stessa Corte ha riconosciuto un valore centrale nell?ordinamento democratico (Corte costituzionale, sentenza n.826/88).

Ma privare le singole emittenti della libertà di esprimere le proprie opinioni politiche svuoterebbe di contenuti anche la liberalizzazione del settore radiotelevisivo, realizzando altresì un livellamento “funzionale” di tutte le emittenti sia con alla RAI che ai soggetti privati. In tal modo, diventerebbe irragionevole la stessa esistenza di un regime radiotelevisivo misto pubblico-privato.

Per altro verso, l’art.7 della l. n.28/00 viola l’art.3 Cost. laddove, diversamente da quanto previsto per la stampa periodica, limita la propaganda elettorale per le imprese del settore radiotelevisivo realizzando un’ingiustificata disparità di trattamento.

Con riguardo alla disposizione in tema di “messaggi politici autogestiti”, l’art. 4, co.3, lett. b, stabilisce invece che, durante la campagna elettorale, i messaggi devono essere trasmessi “gratuitamente” dalle emittenti nazionali, mentre per le emittenti locali è previsto un rimborso da parte dello Stato. Secondo il rimettente, tale disciplina arrecherebbe un arbitrario svantaggio alle emittenti nazionali e risulterebbe altresì in contrasto con l’art.42 della Costituzione, imponendo atti ablatori della proprietà privata senza corresponsione di indennizzo.

La difesa erariale, ritiene che la ricostruzione interpretativa effettuata dal giudice a quo non sia conforme a quanto disposto dagli artt.2 e 4 della l. n.28/00. Questi, infatti, si limitano ad assicurare parità di condizioni nell’esposizione di opinioni e posizioni politiche nei programmi di comunicazione politica. In particolare, poiché ai programmi di comunicazione politica non si applicano le regole previste per i programmi di “informazione”, non sembra che l’emittente privata possa vedersi negata la possibilità di manifestare la propria identità politica. Similmente, è infondato il dubbio di legittimità derivante dal raffronto con la disciplina prevista per la stampa, per cui la giurisprudenza costituzionale ha già riconosciuto la specificità dell’informazione radiotelevisiva, facendone derivare l’inapplicabilità del regime stabilito per le altre tipologie di comunicazione.

Quanto al rimborso per i messaggi politici autogestiti, la difesa erariale non ritiene che vi sia alcuna disparità di trattamento tra emittenti nazionali e locali. La legge, infatti, tiene conto della diversa consistenza economica delle emittenti nazionali rispetto alle locali.

Secondo la Corte Costituzionale, le questioni prospettate non sono fondate.

L’ordinanza di rimessione si fonda, infatti, sull?assunto che la disciplina della comunicazione politica radiotelevisiva di cui agli artt.2 e 4 della l. n.28/00, implicando la “piena funzionalizzazione” del mezzo radiotelevisivo e negando all’emittente privata la possibilità di manifestare una propria identità politica, contrasti con il riconoscimento della libertà dei mezzi di diffusione garantita dall’art.21 Cost.

L?orientamento non è condivisibile. L’art.1 della l. n.223/90 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato) fissa, infatti, alcuni principi generali che tutti i soggetti operanti nel settore sono tenuti ad osservare in quanto “soggetti in grado di concorrere insieme al servizio pubblico nella realizzazione dei valori costituzionali posti a presidio dell’informazione radiotelevisiva?.

La Corte ribadisce, pertanto, l?orientamento già espresso in passato e giustifica gli interventi volti a realizzare una partecipazione intensa e concomitante di partiti e cittadini alla propaganda politica durante la campagna elettorale (sentenza n.48/64). In tal senso, la Corte ha sottolineato come sia necessario che il diritto all’informazione venga caratterizzato dal pluralismo delle fonti e dall’obiettività ed imparzialità dei dati forniti, ma anche dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell’attività di informazione erogata (sentenza n.112/93).

E’ in questa prospettiva di necessaria democraticità del processo di informazione e formazione dell’opinione pubblica che la Corte ritiene di valutare la congruità del bilanciamento tra principi ed interessi diversi attuato dalla disciplina censurata. Questa, infatti, prevedendo modalità e forme della “comunicazione politica”, consente di esplicitare la libertà di espressione delle singole emittenti private.

Allo stesso modo, la Corte ritiene opportuno chiarire se il c.d. pluralismo “esterno” dell’emittenza privata sia sufficiente a garantire sempre la completezza e l’obiettività della comunicazione politica o se debbano essere previste ulteriori misure ispirate al principio della parità di accesso delle forze politiche e dei rispettivi candidati.

Poste dette premesse, la Corte ricorda come l’attuale sistema radiotelevisivo misto pubblico-privato è governato dal “principio della concessione”, da cui derivano alcuni obblighi di facere incidenti sull’esercizio dell’attività radiotelevisiva. Tali obblighi gravano sugli imprenditori privati del settore, in quanto la concessione, per ciò che riguarda gli aspetti relativi ai controlli sull’attività erogata e sull’organizzazione dell’impresa, “costituisce uno strumento di ordinazione nei confronti di facoltà e di doveri connessi alla garanzia costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà di iniziativa economica privata, nonché ai correlativi limiti posti a tutela di beni d’interesse generale” (sentenza n.112/93).

In quest?ottica, lo svolgimento dei programmi politici “paritari” deve rispettare precisi limiti relativi a profili organizzativo-imprenditoriali dell’iniziativa economica e, infatti, le norme censurate prevedono l’obbligo di predisporre specifiche tipologie di trasmissioni, nel cui ambito deve essere rigorosamente osservato il criterio della partecipazione in contraddittorio e del confronto dialettico tra i soggetti intervenienti. È ovvio come gli obblighi in questione discendano dal regime di concessione che è volto a regolare facoltà e doveri a tutela di un interesse costituzionale generale.

La Corte non reputa, tuttavia, che in tal modo si esproprino le emittenti private di ogni manifestazione “politica” e, in effetti, la legge censurata non pone limiti alla diffusione di notizie nei programmi di informazione, programmi che costituiscono un momento ordinario, anche se tra i più caratterizzanti dell’attività radiotelevisiva.

Si esclude, quindi, che vi siano forme di “funzionalizzazione” del mezzo radiotelevisivo o di “espropriazione” della identità politica delle singole emittenti private, anche se è vero che durante le campagne elettorali sono previsti alcuni criteri limitativi ispirati dalla volontà di prevenire qualsiasi influenza sulle scelte degli elettori.

La Corte non condivide neppure quanto affermato dal giudice a quo circa il c.d. pluralismo “esterno” e ricorda, in proposito, come questo non possa dirsi realizzato solo a causa del concorso fra polo pubblico e privato, giacché non si verifica l?accesso al sistema radiotelevisivo del ?massimo numero possibile di voci diverse? (sentenza n. 112 del 1993).

Il pluralismo esterno, infatti, può non essere sufficiente nel garantire la possibilità di espressione delle opinioni politiche attraverso il mezzo televisivo ed è per questo che le norme censurate impongono un ragionevole bilanciamento di contrapposti interessi, richiedendo modalità che assicurino il pluralismo sostanziale.

Sotto il profilo della disparità di trattamento a danno del settore radiotelevisivo rispetto alla stampa periodica, la Corte sostiene la non sussistenza della prospettata violazione dell’art.3 Cost. in quanto trattasi di emittenze con regimi giuridici nettamente diversi tali da impedire comparazioni. In tal senso, è proprio la disomogeneità dei mezzi in comparazione che esclude qualsiasi disparità di trattamento e, inoltre, già in passato si è ritenuto che la peculiare diffusività e pervasività del messaggio televisivo giustifichi l’adozione di una disciplina rigorosa solo confronti della emittenza radiotelevisiva (sentenze n.225/74, n.148/81, n.826/88).

Infine, sul diverso regime cui sono soggetti i “messaggi politici autogestiti”, la cui trasmissione durante le campagne elettorali prevede un rimborso per le emittenti locali e non per quelle nazionali, la Corte giudica inesatto il riferimento all??esproprio? di spazi radiotelevisivi privati, giacché per le emittenti nazionali la trasmissione dei predetti messaggi non rappresenta un obbligo, ma una scelta dipendente da valutazioni di carattere imprenditoriale.

Rileva, inoltre, la differenza tra emittenti di ambito nazionale ed emittenti di ambito locale, anche con riguardo alle limitate risorse finanziarie disponibili per queste ultime, il che giustificherebbe la previsione di un rimborso da parte dello Stato nelle spese per la trasmissione di messaggi autogestiti.

Alla luce delle considerazioni esposte, la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale prospettate.

Giurisprudenza richiamata:

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sul valore centrale del principio del pluralismo in un ordinamento democratico: Corte Costituzionale, sentenza n.826 del 1988;
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sulla garanzia che l’obbligo di consentire la parità di accesso da con riguardo alla pluralità di fonti, al libero accesso alle stesse e all’assenza di ingiustificati ostacoli legali alla libertà di cui all?art.21 della Costituzione: Corte Costituzionale, sentenza n.61 del 1995;
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sulla giustificazione accordata all’intervento del legislatore diretto a regolare, durante la campagna elettorale, la concomitante e più intensa partecipazione di partiti e cittadini alla propaganda politica: Corte Costituzionale, sentenza n.48 del 1964;
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sulla necessità che i mezzi di informazione di massa siano tenuti alla parità di trattamento nei confronti dei soggetti politici: Corte Costituzionale, sentenza n.161 del 1995;
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sulla natura della concessione quale strumento di ordinazione nei confronti di facoltà e di doveri connessi alla garanzia costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà di iniziativa economica privata, nonché ai correlativi limiti posti a tutela di beni d’interesse generale: Corte Costituzionale, sentenza n.112 del 1993;
*
sul riconoscimento della peculiare diffusività e pervasività del messaggio televisivo quale giustificazione all’adozione di una rigorosa disciplina capace di impedire qualsiasi improprio condizionamento nella formazione della volontà degli elettori: Corte Costituzionale, sentenze n.225 del 1974, n.148 del 1981, n.826 del 1988;
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sull?assenza di barriere all?accesso nel settore della stampa a confronto col settore televisivo e sulla necessità del ricorso al regime concessorio data dalla particolare forza penetrativa di quest?ultimo strumento di comunicazione: Corte Costituzionale, sentenza n. 420 del 1994.

a cura di Francesca Di Lascio