Appalti – impugnazione del lodo arbitrale- sospensione della esecuzione – presuppostiApp. Roma- Sez.4°civ., istruttore D’Auria, ordinanza del 14.02.2002 – App. Roma, Sez. 3°civ., istruttore Redivo, ordinanza del 01.03.2002

14.02.2002

App. Roma- Sez.4°civ., istruttore D’Auria, ordinanza del 14.02.2002.

Rilevato che l’art.830 cpc, consente la sospensione del lodo , per qualsiasi motivo rilevante, non prevedendo la irreparabilità del danno….ritiene opportuno sospendere il lodo’;

App. Roma, Sez. 3°civ., istruttore Redivo, ordinanza del 01.03.2002

Ai fini della sospensione dell’esecutività del lodo impugnato devono sussistere i presupposti del fumus boni iuris e del grave ed irreparabile danno: posto che nel caso di specie le ragioni a fondamento della richiesta di sospensione sono riconducibili a mere ragioni di opportunità, si rigetta l’istanza

Con le due recenti ordinanze, la Corte D’Appello di Roma, conferma la insussistenza di un orientamento giurisprudenziale univoco in ordine ai presupposti per la concessione della sospensione dell’efficacia esecutiva del lodo arbitrale.

Va premesso che l’efficacia esecutiva del lodo deriva come effetto ex lege dal decreto emesso dal giudice togato a norma dell’art.825 cpc. Trattandosi di esecutività ex lege – anche se connessa all’accertamento del giudice che, vistato il lodo sotto il profilo della regolarità formale, lo dichiara esecutivo, può essere sospesa, ma non revocata con provvedimento del giudice.

Ciò premesso, a fronte della correttezza terminologica che caratterizza il 3° comma dell’art.830 cpc, laddove parla, appunto, di sospensione e non di revoca della efficacia esecutiva del lodo, la incompletezza della norma si fa sentire in relazione alle ragioni che possono abilitare il giudice dell’impugnazione a concedere la richiesta sospensione (‘in pendenza del giudizio su istanza di parte, la Corte d’Appello può sospendere la esecutività del lodo‘) .

Sulla interpretazione della norma e dei presupposti legittimanti la sospensione si sono sviluppate due correnti giurisprudenziali.

Una prima corrente giurisprudenziale ha ravvisato nell’art.830 cpc una lacuna legislativa, sanabile in virtù dell’analogia corrente tra impugnazione per nullità ex art.829 cpc e la impugnazione per Cassazione (art.373 cpc), o per revocazione (art.401 cpc) o con l’opposizione di terzo ( art.407 cpc).

L’analogia in questione ha consentito di affermare che la sospensione dell’esecuzione può essere accordata dal giudice solo se dalla esecuzione possa derivare un danno grave ed irreparabile (‘l’esecuzione del lodo arbitrale impugnato per nullità può essere sospesa, in applicazione analogica dell’art. 373 c.p.c., solo quando dall’esecuzione possa derivare un danno grave ed irreparabile tra le tante, App. Firenze, 02.04.1999; App. Roma 09.10.1996 in Riv. Arbitrato 1997;App. Roma, Sez. II, Ord. 20.5.1996, in Rivista dell’Arbitrato, 1997, 79; App. Roma, Sez. I, Ord. 9.10.1996, ibidem, p. 80, App. Roma, 26.2.1994, in Giur. 1994, fasc. 7, 149; conforme App. Salerno, Ord. 1° luglio 1993; App. Bologna, Ord. 7 gennaio 1992; App. Napoli, Ord. 9 maggio 1991; App. Roma, Ord. 3 luglio 1978), circostanza questa che deve naturalmente essere provata dalla parte che chiede la sospensione.

Di diverso avviso, una corrente giurisprudenziale minoritaria ha negato l’applicazione analogica tra i due istituti, configurando la sospensione dell’esecuzione in materia arbitrale come qualche cosa di diverso dalla revoca della esecuzione provvisoria e dalla sospensione della sentenza esecutiva ex lege ai sensi dell’art.373 cpc.

In questa direzione si pone l’ordinanza della 4° Sez. della Corte di Appello di Roma che ha ravvisato nelle ragioni di opportunità l’unico limite alla libertà di azione e di apprezzamento del giudice.

La soluzione adottata dai giudici romani della 4° sezione, sebbene in contrasto con l’orientamento più diffuso, si pone sul solco di quella tradizione giurisprudenzale (cfr. App. Torino ‘la sospensione della esecutività del lodo arbitrale non è subordinata alla ricorrenza di particolari presupposti ma è rimessa al potere discrezionale del giudice di impugnazione per nullità, che può concederla sulla base di valutazioni di mera opportunità‘), e dottrinaria (si veda a proposito App. Genova, ord. 20 maggio 1955, in Riv. Dir. Porc. 1956 II, pag. 60, con nota di Carnelutti) che afferma il principio che il giudice della nullità può disporre la sospensione dell’esecuzione della sentenza arbitrale anche per semplici motivi di opportunità.

Invero, dopo la novella del 1990 – per effetto della quale la valutazione del giudice dell’impugnazione per nullità, ai fini dell’inibitoria, è del tutto analoga a quella compiuta dal giudice di appello ai sensi dell’art.283 cpc – mentre parte della dottrina si è fatta fautrice della necessaria sussistenza, ai fini della sospensione della esecutività del lodo, dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum ( Fazzalari, Sospensione della esecutività del lodo, commento a App. Roma ord. 09.10.1997, in riv. Arb.1997, pag. 80; Consolo, Sospensione della esecutività, in Riv. Arb. 1997, pag.493), molti autori ( cfr. Carmine Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, pag. 255) hanno ravvisato nella introduzione nell’attuale sistema normativo della regola della esecutività immediata della sentenza di primo grado, la fine del disegno in virtù del quale si rintracciava nell’art.373 cpc, il modello dell’inibitoria delle sentenze esecutive ex lege.

Ciò detto, a prescindere dalla prevalenza dell’uno o dell’altro indirizzo interpretativo, la insussistenza di un orientamento univoco in seno al medesimo organo giudiziario – come nel caso della Corte d’Appello di Roma – crea un clima di grave incertezza che si ripercuote negativamente sullo stesso istituto arbitrale.

E’ infatti evidente che, laddove l’opportunità della scelta in ordine alla sospensione della esecutività di lodo è svincolata da ogni criterio direttivo, l’opzione a favore del giudice privato in luogo di quello ordinario risente di un forte condizionamento legato alla possibilità di dare esecuzione alla decisione arbitrale.

Senza poi considerare la frequenza dei casi in cui le amministrazioni coinvolte nei giudizi arbitrali, assumono quale presupposto legittimante la sospensione della esecuzione dei lodi, il mancato inserimento nel bilancio dell’Ente degli importi liquidati, ovvero impediscono la esecuzione del lodo con delibere di impignorabilità che di fatto paralizzano l’azione di recupero da parte del privato.

Nell’un caso e nell’altro, lasciare la piena discrezionalità al giudice di appello in ordine alla sussistenza dei presupposti per la sospensione della esecutività del lodo, significa valutare la opportunità di una sospensione disposta al solo scopo di evitare eventuali limitazioni alla normale azione amministrativa discendenti dalla attivazione di quei meccanismi introdotti dal D.lgsl 267/2000 ( TU degli Enti Locali) a salvaguardia degli equilibri di bilancio ( art. da 191 a 194 e 141, 2° comma, D.lsgl.267/2000).

In altri termini, il timore che il mancato rispetto degli equilibri di bilancio derivante dalla esecuzione di sentenze esecutive ( qual è il lodo arbitrale) possa produrre gli effetti di cui al comma 5° dell’art.191 del TU citato (‘agli enti locali che presentino nell’ultimo rendiconto deliberato, disavanzo di amministrazione ovvero indichino debiti fuori bilancio per i quali non sono stati validamente adottati i provvedimenti di cui all’art.193. È fatto divieto di assumere impegni e pagare spese per servizi non espressamente previsti per legge’) può, in assenza di una parametro di riferimento – quale quello del danno grave ed irreparabile – consentire la sospensione della esecuzione del lodo in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale per cui ‘lo scopo di consentire alla PA di esercitare il potere di individuare le finalità pubbliche da perseguire con priorità, accantonando i relativi mezzi finanziari non significa di certo consentire ad alcuno (ed ancora meno ad un soggetto pubblico) di sottrarsi all’obbligo di soddisfare i crediti riconosciuti con pronunce di condanna (Cfr. Cass. Sez. Un. 18.12.1997, n. 9407; n. 4071/79).

A ciò si aggiunga l’unanime indirizzo giurisprudenziale per cui non può considerarsi irreparabile il danno causato dalla esecuzione di una sentenza di condanna al pagamento di somme di danaro, posto che quest’ultimo è bene fungibile per eccellenza e che pertanto l’esecuzione della condanna non può provocare all’Ente pubblico un pregiudizio irreversibile ed insuscettibile di reintegrazione per equivalente nel denegato caso in cui la sentenza arbitrale, in base alla quale si sta procedendo alla esecuzione forzata, venga poi dichiarata nulla (App. Bologna 27 aprile 1967; Trib. Foggia 6 aprile 1973).

In tal senso, la Corte di Appello di Firenze ha ritenuto che ‘non può considerarsi danno grave e irreparabile il pericolo di non poter ripetere le somme, eventualmente versate in esecuzione del lodo stesso, a motivo dell’incombente fallimento del creditore, tenuto altresì conto che, versandosi in tema di pagamento di somme di denaro, il danno non potrebbe mai essere irreparabile, trattandosi di bene fungibile’ (Corte d’Appello di Firenze, 02.04.1999 n.1408).

In questa direzione ancora più chiara risulta essere la pronuncia della Corte di Appello di Bari (ordinanza 1.12.1993, Regione Puglia c / Italscavi SpA, in Rivista dell’Arbitrato, n. 2/1995, pag. 257) in cui testualmente si afferma ‘che l’ipotesi del danno grave ed irreparabile non ricorre nel caso in cui la prestazione dovuta consiste nel versamento di una somma di denaro

Escludendo che le esposte valutazioni possano far propendere a favore dell’una o dell’altra interpretazione, esse sono sintomatiche delle problematiche connesse alla possibilità di un giudizio rimesso alla completa discrezionalità del giudice di Appello.

a cura di Dover Scalera