La Corte ribadisce che la privatizzazione del rapporto di impiego pubblico non rappresenta di per sé un pregiudizio per l’imparzialità del dipendente pubblico.

30.01.2002

Corte Costituzionale 30 gennaio 2002, ord. 11

Giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 4, lettera a), secondo periodo, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa ) e degli artt. 15, comma 1, 19, 21, 23 e 24, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e successive modificazioni, promosso con ordinanza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio.

La Corte ha dichiarato l’inammissibilità della questione concernente il ruolo unico della dirigenza pubblica (artt. 15, comma 1, e 23 del d.lgs. n.29 del 1993, trasfusi nei corrispondenti artt. 15, comma 1, e 23 del d.lgs. n.165 del 2001) in quanto il Tribunale amministrativo regionale non ha censurato anche lo specifico criterio di delega posto dalla lettera b) del quarto comma dell’art. 11 della legge n.59 del 1997, che prevede l’istituzione di tale ruolo unico.

Rispetto alle censure delle altre disposizioni impugnate (art. 11, comma 4, lettera a), secondo periodo, della legge 15 marzo 1997, n. 59) la Corte ha ribadito che la privatizzazione del rapporto di impiego pubblico (intesa quale applicazione della disciplina giuslavoristica di diritto privato) non rappresenta di per sé un pregiudizio per l’imparzialità del dipendente pubblico, posto che per questi (dirigente o no) non vi è – come accade per i magistrati – una garanzia costituzionale di autonomia da attuarsi necessariamente con legge attraverso uno stato giuridico particolare che assicuri, ad es., stabilità ed inamovibilità, per cui rientra nella discrezionalità del legislatore disegnare l’ambito di estensione di tale privatizzazione, con il limite del rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione e della non irragionevolezza della disciplina differenziata; l’estensione della privatizzazione anche ai dirigenti generali rientra quindi nella rilevata discrezionalità del legislatore in materia.

La Corte evidenzia inoltre che, pur nel contesto della generalizzata privatizzazione del rapporto di impiego dei dirigenti, la posizione del dirigente generale rimane in ogni caso differenziata anche all’interno del ruolo unico, considerando che esso contempla comunque due distinte <> (art. 23 del d.lgs. n. 29 del 1993, ed ora art. 23 del d.lgs. n. 165 del 2001), e che la disciplina di significativi momenti del rapporto (come il conferimento degli incarichi: art. 19 d.lgs. n. 29 del 1993, ed ora l’art. 19 d.lgs. n. 165 del 2001) riserva ai dirigenti di prima fascia uno speciale e più favorevole trattamento.

Più in generale la disciplina del rapporto di lavoro dirigenziale nei suoi aspetti qualificanti (conferimento degli incarichi dirigenziali, la loro eventuale revoca nonché la procedimentalizzazione dell’accertamento di tale responsabilità) è connotata da specifiche garanzie, mirate a presidiare il rapporto di impiego dei dirigenti generali, la cui stabilità non implica necessariamente anche stabilità dell’incarico, che, proprio al fine di assicurare il buon andamento e l’efficienza dell’amministrazione pubblica, può essere soggetto alla verifica dell’azione svolta e dei risultati perseguiti;

Risulta quindi evidente che i dirigenti generali sono posti in condizione di svolgere le loro funzioni nel rispetto del principio di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, tanto più che il legislatore delegato – nel riformulare gli artt. 3 e 14 del d.lgs. n. 29 del 1993, con gli artt. 3 e 9 del d.lgs. n. 80 del 1998, trasfusi ora negli artt. 4 e 14 del d.lgs. n. 165 del 2001 – ha accentuato il principio della distinzione tra funzione di indirizzo politico-amministrativo degli organi di governo e funzione di gestione e attuazione amministrativa dei dirigenti, escludendo, tra l’altro, che il Ministro possa revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti;

La Corte infine ha ricordato che con sentenza n. 275 del 2001 ha anche ritenuto la legittimità, in materia, della giurisdizione del giudice ordinario proprio con riferimento ai dirigenti generali sul presupposto dell’intervenuta privatizzazione del loro rapporto di impiego.

a cura di Laura Lamberti