Corte costituzionale 11 dicembre 2001, ord. n. 398
Giudizio di legittimità costituzionale avverso l’articolo 38, comma 4, della Legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), promosso con ordinanza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio.
La Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 38, comma 4, della Legge 400 del 1988, che dava facoltà al personale delle qualifiche funzionali e di quelle ad esaurimento comunque in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei ministri alla data di entrata in vigore della Legge, in posizione di comando o fuori ruolo, di chiedere l’inquadramento, anche in soprannumero e previo superamento di esame-colloquio, nella qualifica funzionale della carriera immediatamente superiore, col profilo professionale corrispondente alle mansioni superiori lodevolmente esercitate per almeno due anni (la ricorrente, dipendente di ruolo della Presidenza dal 14 marzo 1986 ed inquadrata, nella vigenza delle Leggi 312 del 1980, 432 del 1981 e 455 del 1985, nella VII qualifica funzionale, ha impugnato il provvedimento di esclusione dalla procedura prevista dal citato art. 38, c. 4, L. 400 del 1988).
La Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione osservando che la disciplina “di favore” contenuta nella disposizione oggetto di censura si configura come normativa transitoria ed eccezionale, emanata dal legislatore per disciplinare situazioni peculiari e contingenti.
In particolare, la ratio della disposizione impugnata, da inquadrare nell’ambito del più ampio contesto di riassetto e razionalizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri voluto dalla Legge 400 del 1988, era, chiaramente, quella di definire le posizioni di quel personale comandato o fuori ruolo che, in prevalenza, continuava a prestare servizio presso la Presidenza stessa.
Come la Corte ha avuto più volte occasione di affermare (sent. 431 del 1997), le disposizioni di favore, a carattere eccezionale o derogatorio, non sono estensibili ad altre ipotesi se non nel caso in cui, accertata la piena omogeneità delle situazioni poste a raffronto, lo esiga la ratio della disciplina invocata quale tertium comparationis. Nella specie, non è consentita alcuna assimilazione fra la situazione all’esame del giudice rimettente e quella dei soggetti beneficiari della norma censurata, attesa la peculiarità dei casi cui il legislatore ha inteso porre rimedio.
La situazione oggetto del giudizio principale va, invece, chiaramente ricondotta alla regola generale che esclude il diritto all’inquadramento in qualifiche superiori in relazione alle mansioni di fatto svolte, regola oggi codificata nell’articolo 9, comma 4, del Decreto legislativo 303 del 1999 (che richiama le norme del D. lgs. 29 del 1993, ora D. lgs. 165 del 2001).