L’aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale: profili di organizzazione e ruolo della dirigenza – abstract Quaderno n. 22 del Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet”, Milano, 2001

29.09.2001

Abstract – il lavoro definitivo è contenuto in Renato Balduzzi – Giuseppe Di Gaspare (a cura di), L’aziendalizzazione nel D.LGS. 229/99, Quaderno n. 22 del Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet”, Milano, 2001
(*) Le riflessioni proposte attengono al quadro del diritto positivo a tutto il mese di settembre 2001; non tengono conto, perciò, delle novità normative sopravvenute

Il processo di aziendalizzazione avviato con le riforme del 1992-93 ed implementato con il decreto legislativo 229 del 1999 ha riguardato sia il Servizio sanitario nazionale nel suo complesso che in particolar modo le relative forme di gestione e la dirigenza.

Sotto il profilo del servizio pubblico sanitario, la “storia” del processo di aziendalizzazione del S.s.n. ha avuto come ultima tappa il superamento dei dubbi che ne avevano caratterizzato i primi anni di vita. Il timore espresso da più parti consisteva nel rischio che la creazione di un mercato “interno” al S.s.n. attraverso la tendenziale separazione tra aziende u.s.l.-acquirenti e aziende ospedaliere-fornitrici di servizi così da introdurre meccanismi di concorrenza “amministrata” sul modello del National Health Service britannico, svuotasse dei propri contenuti il servizio sanitario pubblico e la stessa professione medica; solo il d.lgs. 229/99, mediante l’introduzione dei livelli uniformi ed essenziali di assistenza legati al concetto di appropriatezza, ha stabilizzato gli effetti già avviati nel 1992 e ha consentito una maggiore attenzione alle soluzioni organizzative. Sgombrato il campo da ogni dubbio sulla mission di pubblico servizio (integrato), quello che fino al 1998 era il principale rischio di trafigurazione per il S.s.n. (l’azienda in sanità) si è perciò trasformato in un obiettivo da verificare e completare soprattutto a livello delle forme di gestione. In queste brevi note si indagherà sull’oscillazione tra uniformità e differenziazione rispetto all’organizzazione pubblica tout court e sul nuovo nesso tra forme organizzative e forme di dirigenza.

Con riguardo all’azienda u.s.l., vero e proprio modulo gestionale a cui tutte le altre aziende del S.s.n. fanno riferimento, il processo di aziendalizzazione ha riguardato sia l’introduzione di strumenti privatistici nella gestione, sia la progressiva autonomia dell’ente sanitario rispetto all’ente territoriale di riferimento. Individuato nel rapporto tra la stessa e la Regione il vero nodo organizzativo sul quale il legislatore degli anni ’90 è intervenuto si è passati dalle sei diverse autonomie del 1992 all’autonomia imprenditoriale del 1999: se, da un lato, ciò lascia intravedere tutte le implicazioni della riconfermata personalità giuridica di diritto pubblico, dall’altro, pone una serie di interrogativi sulle potenzialità esplicative di tale attribuzione. Il contesto in cui essa dovrebbe essere calata è caratterizzato da tre elementi: a) l’autonomia “debole” del direttore generale rispetto all’ente nominante Regione, ben rappresentata dalla natura fiduciaria non solo della nomina bensì dell’intero rapporto, che ne limita fortemente le scelte gestionali; b) l’eterogenesi dei fini tipica del settore sanitario, dove la programmazione nazionale e regionale predeterminano gli obiettivi, lasciando alle aziende soltanto la scelta dei mezzi per il loro raggiungimento; c) l’imposizione del vincolo di pareggio del bilancio attenuata dai trasferimenti di risorse finanziarie e la frammentaria e lacunosa disciplina in materia di ingiustificati disavanzi. Ciò fa propendere per un ruolo sostanzialmente strumentale dell’azienda u.s.l. nei confronti della Regione, vera titolare del servizio pubblico sanitario.

Tali tre fattori oggettivi di freno vengono compensati dall’aumento di flessibilità organizzativa infra-aziendale mediante la previsione dell’atto aziendale di diritto privato, strumento inscindibilmente legato all’autonomia imprenditoriale.

Il ricongiungimento tra organizzazione e gestione può essere misurato a livello di natura giuridica della azienda u.s.l.: in assenza di una espressa qualificazione normativa, il dibattito ante d.lgs. 229/99 oscillava tra le figure dell’azienda speciale e dell’ente pubblico economico; risultava, peraltro, impossibile ricondurre esattamente l’ente de quo nell’alveo delle categorie note. Dall’analisi dell’impatto del riordino del 1999 e delle due novità dell’atto aziendale e dell’autonomia imprenditoriale emerge il sostanziale mantenimento della specialità delle aziende sanitarie, veri e propri enti pubblici con vincoli finalistici di diritto pubblico molto accentuati.

La dirigenza del S.s.n. dal canto suo, si distingue in dirigenza di gestione (top management) e dirigenza sanitaria tout court.

Con riferimento al primo tipo, occorre verificare se la “svolta manageriale” avviata con il d.lgs. 502/92 e perfezionata dal d.l. 512/94, conv. con l. 590/94 e dal d.lgs. 229/99, ha condotto ad una distinzione effettiva tra politica ed amministrazione; l’esame dei requisiti per la nomina a direttore generale e la presenza di un rapporto di fiducia tra ente nominante (Regione) e nominato (d.g.) che si proietta, anche grazie all’istituto della valutazione, lungo tutta la durata del rapporto fanno propendere per una risposta negativa. La linea di confine tra top management e dirigenza sanitaria, inoltre, diventa fluida a seguito della possibilità prevista in capo al direttore generale di delegare le competenze proprie ai dirigenti sanitari mediante l’atto aziendale.

Quanto al secondo tipo di dirigenza si sottolinea il progressivo riavvicinamento al modello previsto per altre pubbliche amministrazioni dal d.lgs. 29/93 e successive modificazioni, culminato nella previsione dell’unicità del relativo ruolo. Una siffatta previsione, peraltro, non ha attenuato le esigenze di articolazione professionale insite nel S.s.n., tanto che una distinzione di funzioni è stata riproposta tra dirigenti responsabili di struttura e dirigenti senza tale responsabilità.

Uno dei nodi centrali attiene all’esigenza di consentire l’esercizio della libera professione ai dirigenti del S.s.n., garantendo al contempo il conseguimento degli obblighi di servizio pubblico. Il problema che si poneva riguardava la già debole credibilità collettiva del S.s.n. oltrechè quella della professione medica ed aveva ad oggetto l’odiosa disparità di trattamento tra chi, da un lato, riceveva cure nelle strutture pubbliche differite nel tempo attraverso lunghe liste d’attesa e chi, dall’altro, poteva fruirne tempestivamente in strutture private rivolgendosi allo stesso medico. La risposta data dal legislatore già a partire dal 1991 non è mai stata in termini di incompatibilità “secca”, bensì si è cercato di modulare i contenuti ed i limiti della libera professione rispetto all’attività istituzionale del S.s.n. attraverso l’esclusività del rapporto di lavoro dei dirigenti..

Sotto tale profilo, le recenti pronunce giudiziarie relative all’opzione obbligatoria hanno evidenziato l’inscindibilità tra il momento dell’organizzazione infra-aziendale e rapporto di lavoro dirigenziale: ad un orientamento che, facendo leva sull’esigenza di una scelta “consapevole” da parte dei dirigenti medici, prospettava l’esistenza di un obbligo di organizzazione ex ante delle proprie strutture da parte dei direttori generali, si è sovrapposto un altro orientamento, maggiormente rispettoso del vincolo costituzionale del buon andamento nelle aziende sanitarie, il quale afferma a chiare lettere che “le strutture vanno approntate tenendo conto del numero effettivo di opzioni esercitate per l’attività intramoenia, e della tipologia di specializzazioni dei dirigenti sanitari che abbiano in concreto optato per l’intramoenia, fermo restando l’obbligo dell’amministrazione di predisporre in tempi ragionevoli le strutture e i servizi” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, ord. 24 marzo 2000 n. 1432, che annulla T.a.r. Lazio – Roma, sez. III, ord. n. 2096/2000, leggibili in: http://www.giust.it/).

Alla luce delle brevi considerazioni sopra esposte si può affermare che il processo di aziendalizzazione, avviato con la sola previsione dell’azienda in sanità, è sfociato in un modello di integrazione pubblicistica tra forme organizzative e forme di dirigenza. La costante esigenza di differenziazione del settore sanitario rispetto alle altre p.a., lungi dall’equivalere ad una privatizzazione delle forme di gestione, appare risolta nel senso di una originale saldatura tra organizzazione pubblica e rapporto di servizio privatizzato ed esclusivo, per il tramite dell’atto aziendale che individua le strutture, semplici e complesse in cui si articola l’azienda sanitaria e le attribuisce ai dirigenti che hanno optato per il rapporto di lavoro esclusivo con il S.s.n.


di Enrico Menichetti