Pubblico impiego – Rapporto di lavoro part time – Disciplina prevista dall’art. 1, commi 56 e 56-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 – Omessa previsione di una incompatibilità tra esercizio della professione forense e la condizione di pubblico dipendente – Questione di costituzionalità – Infondatezza.
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 56 e 56-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) – sollevate dal Consiglio nazionale forense in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 97 e 98 della Costituzione – nella parte in cui rimuovono l’incompatibilità tra l’attività di dipendente pubblico part-time e l’esercizio di tutte le professioni intellettuali, e, più in particolare, nella parte in cui prevedono l’abrogazione parziale delle disposizioni che sanciscono l’incompatibilità tra esercizio della professione forense e la condizione di pubblico dipendente (art. 3 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578) in regime di part-time, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno.
Nell’elidere il vincolo di esclusività della prestazione in favore del datore di lavoro pubblico, infatti, il legislatore, proprio per evitare eventuali conflitti di interessi, ha provveduto a porre direttamente (ovvero ha consentito alle amministrazioni di porre) rigorosi limiti all’esercizio, da parte del dipendente che richieda il regime di part-time ridotto, di ulteriori attività lavorative e, in particolare, di quella professionale forense. Limiti che le ordinanze omettono, invero, di ponderare adeguatamente, solo ove si consideri che essi non vanno rinvenuti unicamente nel comma 56-bis dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996 (che contempla l’impossibilità di un conferimento di incarichi da parte delle amministrazioni pubbliche in favore del dipendente part-time e il contestuale divieto di esercitare il patrocinio in controversie in cui sia parte la pubblica amministrazione), ma anche nel comma 58 (che consente la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto di interesse), e nel comma 58-bis del medesimo articolo (il quale riserva alle stesse amministrazioni pubbliche la potestà di indicare le attività “comunque non consentite” in “ragione della interferenza con i compiti istituzionali”).
Inoltre, il divieto posto dal comma 2-ter dell’art. 18 della legge n. 109 del 1994 (inserito dall’art. 9, comma 30, della legge n. 415 del 1998), il quale esclude che i pubblici dipendenti possano espletare, nell’ambito territoriale del proprio ufficio, incarichi professionali per conto delle amministrazioni di appartenenza, finisce per prevedere un divieto ancora più restrittivo di quello discendente dal comma 56-bis, interpretato, infatti, nel senso che quest’ultimo riguardi esclusivamente gli incarichi professionali che non trovino assegnazione in base a procedure concorsuali di scelta adottate dall’amministrazione (v. in tal senso la circolare 18 luglio 1997 della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica).
Per quanto riguarda poi i doveri propri della professione forense, non è dubbio che il diritto di difesa risulta garantito solo se l’avvocato, in piena fedeltà al mandato, è in grado di esercitare compiutamente il ministero tecnico a lui affidato ed in relazione a tale basilare principio, non sembrano, invero, porsi, per i professionisti legati da un rapporto di dipendenza con la pubblica amministrazione, in regime di part-time ridotto, particolari esigenze che non possano trovare soddisfazione, così come per l’opera di tutti i professionisti, in quella disciplina generale dell’attività da essi svolta, che giunge a contemplare anche il presidio, ove occorra, della sanzione penale (artt. 380 e 622 cod. pen.).
Scarica il documento: Dipendenti pubblici a tempo parziale ed esercizio della professione forense: le ultime parole della Corte Costituzionale (pdf 63Kb)